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Il Settecento artistico, Italia, Francia e Inghilterra


Italia e Francia

Nel Settecento l'Italia perde sempre più manifestamente il suo primato artistico e teorico, ormai appannaggio di Francia e Inghilterra prima e di Germania poi.
Il temporaneo dissolvimento di una estetica normativa univoca, prima del ricompattamento neoclassico, lascia spazio alla espressione soggettiva dei critici e si manifesta nella nascita e nella affermazione di strutture artistiche e letterarie nuove, come le mostre d'arte contemporanea, a Parigi istituzione fissa dal 1737 col nome di Salons.
Ad esse si affiancano gli interventi critici di Denis Diderot, sotto forma di recensioni giornalistiche per la Corrispondence Litteraire. Non sono interventi di un teorico, né di un conoscitore in senso stretto. Sono le reazioni immediate, le impressioni di un uomo di gusto, di un amatore, di un laico della pittura. Le sua osservazioni puntano direttamente alla notazione psicologica più che alla discussione dell'artificio stilistico o della fonte letteraria a monte dell'invenzione.

Inghilterra.

In Inghilterra, dominata dal linguaggio pittorico olandese e fiammingo, il classicismo non alligna, e già con Anthony Shaftesbury, che pure possedeva una solida base classicistica, si esalta la superiorità della natura incontaminata sul freddo e misurato artificio dell'uomo, con un tono che sembrerebbe quasi “romantico” ma che in realtà poggia le sue radici in quella estetica dell pittoresco nata proprio in quegli anni in Inghilterra.
Ma è con William Hogarth e Sir Joshua Reynolds, il primo con Analisi della bellezza e il secondo con Discorsi che si fonda teoricamente, oltre che artisticamente, una scuola pittorica britannica autonoma.
Il primo parte dalla pretesa di dare voce ad una autoctona tradizione classica, proponendo una ideale “linea della bellezza” che altro non è che la “linea ondeggiante e serpentinata” di cui già parlava Lomazzo.
Il secondo produrrà una sintesi critica felice ed originale delle esperienze pittoriche continentali coeve ed anteriori, divenuta subito punto di riferimento visivo e teorico imprescindibile non solo per i suoi detrattori (Fussli e Blake ad esempio) ma anche per i suoi continuatori e sparuti seguaci.
Edmund Burke, infine, con la sua distinzione fondamentale tra “bello” e “sublime” del 1756 sembra partecipare pienamente alla temperie romantica di lì a poco nascente in senso stretto.

Tratto da STORIA E CRITICA DELL'ARTE di Gherardo Fabretti
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