Skip to content

I trattati sull'arte nel Rinascimento

I trattati sull'arte nel Rinascimento


Dunque già nella bottega tardomedievale ci si apriva alle problematiche teoriche che saranno poi del Rinascimento, anche se, nonostante il proposito di parlare “con più grassa Minerva”, l'idioma del mestiere sembra molto lontano dalle enunciazioni molto più teoriche del primo dei teorici del Quattrocento, Leon Battista Alberti (1404 – 1472) che nel suo De pictura, trattato in latino del 1435, tradotto poi in volgare l'anno successivo, non può fare a meno di risentire della situazione artistica che egli percepisce a Firenze al ritorno dal suo esilio.
A Firenze l'ambiente artistico era molto variegato, così la teoria di Alberti risulta poco coerente e compatta, poggiata su definizioni dissonanti, che i moderni hanno fatto risalire ora a Masaccio, ora a Domenico Veneziano, ora all'orafo e scultore Lorenzo Ghiberti.
La versione volgare dell'opera di Alberti è dedicata a Brunelleschi, i cui studi prospettici devono avere influenzato la trattazione della costruzione prospettica proposta da Alberti.
Diversamente dagli scritti medievali, il De pictura si richiama continuamente ai testi canonici dell'antichità (Plinio il Vecchio e Vitruvio Pollione), sforzandosi di ricostruire una continuità ideale, se non storica, tra l'antico e, come li definisce Alberti, “i nuovi trovati dell'ingegno” degli artisti fiorentini coevi.

Uno sviluppo in senso eminentemente scientifico della ricerca artistica si ritrova nelle opere di Francesco di Giorgio Martini (famoso soprattutto come ingegnere militare alla corte di Urbino e autore di un famoso trattato sulla fortificazione alla moderna), Piero della Francesca (coi suoi studi sulla prospettica), Luca Pacioli (matematico e autore del De divina proportione) e nel Prospectivo milanese, dentro il quale sarebbero confluite famose opere accomunate dal tentativo di interpretare matematicamente la rappresentazione del visibile.

Leonardo da Vinci (1452 – 1519) tenterà una sistemazione trattatistica, rimasta poi incompiuta e inedita fino al Seicento. Negli scritti di Leonardo torna l'abitudine, caratteristica delle cerchie quattrocentesche fiorentine, di guardare la natura con occhio sperimentale (non solo teorico dunque) e di considerare il “moto” come il solo esito figurativo possibile dell'espressione psicologica. Ma in Leonardo c'è di più, c'è la suggestione di un uomo che considera il mondo come un qualcosa da possedere completamente in senso conoscitivo, e che proprio per questa sua ansia di quantità perviene a nuova oscurità.
Questa situazione torna in moltissimi testi di primo Cinquecento, fatti di teorie decisamente a posteriori rispetto all'esperienza artistica. La teoria delle proporzioni del tedesco Albrecht Durer, per esempio, si basa sull'esempio dell'antico e dell'arte italiana (specialmente Leonardo), e sulla prassi degli studi e delle botteghe, non alimentandosi, quindi, solo di fonti letterarie.

Tratto da STORIA E CRITICA DELL'ARTE di Gherardo Fabretti
Valuta questi appunti:

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo riassunto in versione integrale.