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La visione storica del Vasari


Per analizzare la visione storica del Vasari dobbia partire dai Proemi dell'opera collettiva e delle tre parti, dall'epilogo e dalla Conclusione. Vasari ha una visione essenzialmente ottimistica dello sviluppo storico, diversa ad esempio da un Machiavelli che vede nella storia attuale una decadenza dall'antica età aurea della libertà e dignità repubblicana.
Per il Vasari il presente è l'epoca che ha prodotto il più grande artista vivente, Michelangelo, il culmine e la corona del progresso. Naturalmente si intuisce il pensiero epigonico della discesa inevitabile, successiva a Michelangelo.
L'immagine della crescenza e della fioritura, Vasari l'aveva certamente presa dagli antichi pensatori, ispirandosi come loro alle immagini della natura organica: Velleio Patercolo e Floro l'avevano utilizzata già per esplicitare i concetti di vita delle nazioni e degli stati. Anche l'immagine di una latinità aurea, argentea e bronzea, anche se utilizzata in chiave pessimistica, aveva da tempo trovato applicazione nella critica stilistica. Da quello che possiamo vedere, però, questo concetto finisce per diventare, nell'ambito della storia dell'arte, patrimonio esclusivo del Vasari. Questa tripartizione è presente in tutta la sua opera. Le tre età prima nominate (dette anche maniere) sono le stesse che dividono l'opera in tre parti, che sono poi i tre periodi del Rinascimento, i soli che Vasari vuole rappresentare. Vasari segue una idea più antica, già usata dagli umanisti e dal Ghiberti, quella dell'arte “rinata”, morta dalla fine dell'antichità, perchè quella del Medioevo non si può considerare arte nel senso del Rinascimento, cioè arte dello spazio e dominio dell'immagine naturale. Così la sua esposizione ha una divisione naturale:
- Primo periodo e prima parte delle Vite. Contiene i princìpi e l'infanzia, che timidamente si affaccia liberandosi dalle caricature del medioevo. Cimabue, i Pisani, Giotto, Arnolfo, e così via fino alla fine del Trecento.
- Secondo periodo e seconda parte delle Vite. Contiene la gioventù e la preparazione: da Jacopo della Quercia, Masaccio, Donatello, Ghiberti e Brunelleschi fino alla fine del Quattrocento. Qui la piena naturalezza è raggiunta solo dopo faticosi studi anatomici e prospettici; la perfezione stilistica è raggiunta per mezzo della regolarità ma tutto ciò non è ancora fuso in un unico blocco armonico. Sono opere di maniera secca, ancora attaccate al modello; gli artisti danno soltanto quello che vedono e niente di più
- Terzo periodo e terza parte delle Vite. Il pieno sviluppo. Tempo della fioritura. Età dell'oro che trova il suo apice con Leone X. Il Cinquecento. Ecco i grandi nomi di Giorgione, Tiziano, Andrea del Sarto, Fra Bartolomeo e soprattutto la triade per eccellenza già indicata dal Giovio: Leonardo, Raffaello e Michelangelo.

Tratto da STORIA DELLA CRITICA D'ARTE di Gherardo Fabretti
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