Il lavoro dei Cahiers du Cinéma
“Siamo arrivati a un punto per cui il cinema è un mezzo espressivo per dire qualcosa. Ma il dramma è che il cinema francese non ha niente da dire, i francesi non dicono niente”. Così tuonava Andrè Bazin, ispiratore, padre e protettore dei ragazzi della nouvelle vague. Bazin, come lo definiva Truffaut, era un cattolico di sinistra. Figura vulcanica, direttore di cineclub, pubblicista, insegnante; sotto la sua guida il cinema francese termina di essere semplice cronaca di aneddoti, per diventare fertile campo di ricerca e di analisi. Bazin diceva che il regista esiste come tale solo se possiede uno stile, che troverà lo stile quando troverà l’ispirazione, e che lo stile non cade dal cielo, essendo la coscienza del proprio essere. Dunque, non c’è stile senza coscienza morale.
In nome della parole di Bazin, i giovani redattori dei Cahiers, come detto prima, salvano solo gli autori considerati stilisticamente unici, come Jean Vigo, Jean Renoir, Roberto Rossellini, Alfred Hitchcock e Howard Hawks, sparando nel contempo a zero sul cinema accademico, definito mediocre, artigianale,film da sceneggiatori.
È interessante soffermarsi sul senso dispregiativo che i giovani della nouvelle vague attribuiscono alla figura dello sceneggiatore.
I “Cahiers” accusavano i vecchi registi di considerare il cinema unicamente come un divertimento e un affare economico, di fare un cinema di mestiere, tecnico, non realmente sentito, non realmente artistico e stilistico.
Se il regista è un semplice tecnico, dicono provocatoriamente, la grammatica cinematografica la si può apprendere in quattro ore, essendo solo una barriera tra l’autore e la sua creazione, e il regista avrà comunque bisogno di un inventore di storie, lo sceneggiatore. Ed è innegabile che la tradizione cinematografica francese fino agli anni ’60 abbia seguito questa strada duale tra regia e sceneggiatura. Basti pensare alle coppie Prèvert – Carnet o Ferry – Clouzot.
Queste coppie sono detestate da Truffaut, perché impediscono di pensare al regista come ad un artista, come Marcel Proust o Pablo Picasso. Il cinema deve essere, invece, una scrittura,e la regia deve affermare il cinema come arte, perché il cinema può avere pari dignità con la letteratura. Nasce così il termine camera – stylo, che esplicitava il concetto secondo il quale la macchina da presa può essere utilizzata come uno scrittore usa la stilografica; il cinema non è un codice ma un linguaggio, tutti possono fare cinema.
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia e critica del cinema
- Docente: Sarah Zappulla Muscarà
- Titolo del libro: Breve storia del cinema
- Autore del libro: Massimo Moscati
- Editore: Bompiani
- Anno pubblicazione: 2003
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