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"San Francesco" di Caravaggio


Il tema della penitenza, della contrizione, dell’auto mortificazione fisica e spirituale, ai fini della riaffermazione della fede e dell’accostamento dell’uomo con Dio, fu così importante per la chiesa post-conciliale, che anche Francesco d’Assisi, il più umile e semplice dei santi, che certo non aveva grandi peccati da confessare e dei quali pentirsi e farsi perdonare, il santo che nell’iconografia giottesca e medievale aveva predicato agli uccelli e parlato con il lupo e di cui si erano raffigurati i fatti della vita, dopo il concilio di Trento, anche lui viene riproposto attraverso un’iconografia di autentico spirito contro riformato. Dalle vicende della sua vita si passa alla figura del santo in meditazione della morte dinanzi ad un teschio o al crocifisso mentre regge l’uno o l’altro nelle mani o sempre più spesso sorpreso in estasi mistica. I suggerimenti conciliari tridentini sulla raffigurazione dei temi sacri biblici o evangelici, di martiri e santi sono naturalmente molto generali e valgono per tutti i temi sacri, ma in definitiva prevalsero le raffigurazioni dei santi e dei martirii, dei loro sacrifici, dei loro pentimenti, delle loro esaltazioni dagli abissi della colpa e del peccato alla gloria del paradiso. Francesco d’Assisi era una figura troppo importante per l’intera comunità dei cattolici per essere lasciato al suo destino, di santo emarginato, un po’ eretico, che parlava agli uccellini e ai lupi, che curava agli appestati e viveva la più misera delle esistenze offrendo tutto quanto ai poveri. Bisognava recuperargli una nuova identità che rispondesse ai fini del decoro controriformato. Così a San Francesco vennero conferiti nuovi segni iconografici completamente estranei alla sua persona storica. Non fu dipinta o scolpita una sua figura senza la presenza delle stigmate e si ricorse sempre di più alla mezza figura dinanzi al teschio o al crocifisso. Ma grande fortuna ebbe anche la figura di Francesco abbracciato a Gesù crocifisso confortato dagli angeli che accoglie tra le sue braccia il Gesù bambino offertogli dalla Vergine che ha la visione dell’acqua in un cristallo che allude alla sua purezza sacerdotale. Ancora comune era la figura di Francesco nudo nel roseto per vincere la tentazione sessuale e il suo trapasso confortato dagli angeli.
Anche Caravaggio dipinse San Francesco adottando l’iconografia post-riconciliare e tridentina con un’interpretazione molto personale e di grande portata umana che punta sulla figura terrena, sulla verità della sua sofferenza, sulla funzione spirituale del suo rapporto con Gesù. Certo non si può credere che Caravaggio ignorasse l’esistenza di un’iconografia precedente come quella di Giotto. Non si sa se Caravaggio fosse all’oscuro di tutto il dibattito critico sul ruolo di Francesco, della regola, del suo rapporto difficile con la Chiesa o se fosse a causa della volontà della committenza, fatto sta che Caravaggio dipinse per ben due volte San Francesco in atto di dipingere le stigmate. Poi eseguì anche altre due interpretazioni di Francesco in preghiera e in meditazione.

San Francesco: tela conservata ad Hartford nel Connecticut.
Il dipinto raffigura la stigmatizzazione avvenuta sul monte Verna in presenza di frate Leone e dei pastori che assistano spaventati al miracolo. Un angelo regge il santo che è tra l’estasi  e la morte. Per questo Caravaggio viene definito il primo post tridentino di un nuovo tema iconologico che privilegia la stigmatizzazione in quanto imitazione di Cristo che accetta la sofferenza della Passione per amore dell’uomo. Anche la figura dell’angelo è un motivo nuovo, decisamente tra le più accattivanti creazioni dell’arte conciliare tridentina; Caravaggio ha dipinto San Francesco con una sola ferita in petto sul lato destro della tonica, mancano le ferite delle mani per lasciare vivere la scena nel suo valore esclusivo di esperienza spirituale. Caravaggio privilegia il rapporto diretto che Francesco stabilisce con Cristo.
San Francesco: tela dipinta tra il 1608 e il 1610 per la cappella Feranoli della Chiesa di Sant’Anna dei Lombardi a Napoli.
La tela è stata distrutta nei primi anni dell’Ottocento e non possiamo parlarne perché non ne è rimasta nessuna testimonianza.
San Francesco: tela di Carpineto Romano, oggi presso la Galleria Nazionale d’Arte antica di palazzo Barberini a Roma.
Alle spalle del santo, che ha un ginocchio poggiato a terra, ad aumentare l’atmosfera drammatica, si scorge un ulivo dal tronco tormentato dalla nella torsione dalla sua naturale esistenza. Questa iconografia del santo di Assisi assorto e concentrato nella meditazione, accentua più degli altri dipinti quel senso di colpa, quel desiderio di espiazione e di penitenza che in Francesco, come nella maddalena, nasce dalla consapevolezza di aver causato la passione e morte di Gesù e il destino di sofferenza dell’umanità per la redenzione dei peccatori.
La datazione al 1606 è accettata e da ciò deriva anche quella diffusa opinione che l’opera potrebbe far pensare all’omicidio del Tomassoni del 28 maggio dello stesso anno e quindi un riflesso autobiografico evocato anche dal probabile autoritratto del pittore nel volto di Francesco che medita sul tragico evento commesso e del quale si avverte tutta la verità del pentimento.

San Francesco: tela conservata nel Museo Civico di Cremona.
Caravaggio negli ultimi anni della sua vita, torna a dipingere San Francesco ancora una volta come una figura isolata, quale simbolo dell’interiorità più assoluta: inginocchiato in meditazione della morte. Vestito della tonica da cappuccino, consunta, rattoppata e bucata, Francesco, anche in questo dipinto ha il segno delle stigmate, tiene tra le mani un teschio e in basso, poggiata su una pietra, una piccola croce di legno. 

Tratto da CARAVAGGIO, LA VITA E LE OPERE MAGGIORI di Katia D'angelo
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