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Il vizio di mente nel codice penale


Il codice penale distingue il vizio totale e il vizio parziale di mente: il primo esclude l’imputabilità, il secondo comporta diminuzione della pena.
Il giudizio sull’effettiva esistenza del vizio totale o parziale di mente è di tipo “storico”, nel senso che deve essere riferito dal perito al preciso momento in cui quella data persona ha commesso il fatto.
In riferimento a tale preciso momento, occorre valutare:
1. la natura e l’entità dell’infermità da cui soggetto era affetto;
2. la gravità delle eventuali ripercussioni di quell’infermità sulla capacità di intendere e di volere;
3. l’esclusione totale o una notevole compromissione anche di una sola delle due capacità;
4. la derivazione causale diretta tra il vizio di mente obiettivato e il comportamento delittuoso in discussione.
È opportuno precisare a tale riguardo che il concetto di infermità è più ampio di quello di malattia: è intuitivo, ad esempio, che se una malattia è da ritenere in ogni caso un’infermità, non è sempre vero il contrario; possono infatti acquistare il significato di infermità anche quelle condizioni cliniche che non presentano note di dinamicità e di evolutività che sono caratteristiche proprie della malattia.
L’infermità di mente deve però sempre dipendere da una causa patologica che sia tale da alterare i processi intellettivi o volitivi.
Non è l’infermità in sé che il perito deve cercare, ma soprattutto il rapporto che essa assume con quella condotta o con quella personalità, cioè l’alienazione eventuale del soggetto rispetto al comportamento tenuto e di questo rispetto al normale vivere sociale.
Tutto ciò si riassume affermando che il compito del perito è quello di stabilire l’effettivo grado di compromissione della capacità di intendere di volere che quel soggetto manifesta nel suo comportamento.
Il compito del perito, dunque, non deve mai considerarsi concluso con il giudizio diagnostico sulla infermità o sulla malattia riscontrate.

Tratto da MEDICINA LEGALE di Stefano Civitelli
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