Skip to content

Il segreto nella Legge 241/1990


Tutela del segreto: a garanzia di interessi dello Stato, compromessi dalla loro pubblicità. Vale per il segreto di Stato, il segreto istruttorio, il segreto d’ufficio e quello amministrativo.
La Corte Costituzionale nel 1977 è intervenuta sul segreto di Stato, ritenendo non sufficiente la normativa del codice penale, che tutela il segreto politico e militare. La sentenza ha portato all’approvazione di una legge che attribuisce al governo il potere, in entrambi i casi, di apporre e togliere il segreto di Stato In tali casi la motivazione non è necessaria, poiché il segreto è concepito come strumento a salvaguardia dell’integrità dello Stato. Unico obbligo del Governo è di informare il Parlamento. Nemmeno l’autorità giudiziaria può accedere a questi documenti. A volte la prova è proprio contenuta in tali atti e, specie nell’azione penale, può consistere in una limitazione al dovere di esercitarla. La Corte Costituzionale ha ritenuto che tale limite non arresti l’azione penale, in quanto la prova può essere raggiunta con la testimonianza di chi conosce i fatti. É un paradosso, in quanto i testimoni dovrebbero violare il segreto di Stato; non rispondendo, compiono il reato di omessa testimonianza, rispondendo il falso, quello di falsa testimonianza.

- Il segreto amministrativo si identifica di norma con quello d’ufficio. A causa della particolare attività compiuta (si pensi ai provvedimenti tributari, alla Consob) si potrebbe negare l’accesso, poiché coinvolgerebbe i fini stessi dell’attività della PA

- Il segreto d’ufficio era in passato la regola; oggi l’accesso è consentito. Esiste ancora l’obbligo, in capo ai dipendenti, di mantenere il segreto sull’attività del proprio ufficio. Quando nell’attività amministrativa si riscontra un reato, la PA deve comunicare il fatto alle autorità competenti. Quando ciò avviene, l’accesso non si può consentire (si violerebbe il segreto istruttorio).
L’accesso può essere negato o limitato per non pregiudicare i diritti dei terzi. A tale scopo, l’atto può escludere le parti che interessano il terzo, anche se ciò può vanificare l’accesso. Oppure è consentita la visione dell’atto ma non l’estrazione di copia.  La PA non può concedere l’accesso a quegli atti la cui conoscenza può ledere i diritti dei terzi. In altri casi il diritto può essere differito, ad esempio, alla conclusione del procedimento (es concorso).

- Nell'ISTANZA DI ACCESSO occorre individuare specificatamente gli atti: non è consentito un accesso generico a tutti gli atti del procedimento (sul punto però, Consiglio di Stato sentenza 1443/2002, che dispone come non sia necessaria la puntuale individuazione dell’atto, essendo sufficiente fornire elementi che consentano la loro individuazione); l’istanza deve essere motivata (fornire la prova dell’interesse giuridicamente rilevante). Se l’istanza è irregolare, la PA deve informarne entro 10 giorni il richiedente con raccomandata o mezzo idoneo a provare il ricevimento. La PA deve procedere al riconoscimento del richiedente; qualora l’accesso sia differito o limitato, la PA deve motivare. Il differimento è consentito nei casi in cui la conoscenza ostacoli l’azione amministrativa. É possibile anche l’accesso informale, di norma previsto dai regolamenti dell’ente: l’atto si può visionare ma non estrarre copia. Di fronte al diniego di accesso informale (verbale) diventa necessario effettuarlo per iscritto (la PA può anche negare l’accesso se nutre dubbi sulla legittimità dell’interesse del soggetto). Il silenzio della PA (30 giorni) vale come rifiuto.

Privacy: Il Consiglio di Stato afferma la prevalenza del principio di pubblicità, escludendo ipotesi di negazione del diritto di accesso per motivi di privacy.
Nel caso di dati sensibili deve essere la legge a disciplinarne l’accesso.
Per l’utilizzo di dati sensibili prima occorre rivolgersi al Garante: invertito il principio, garantendo la privacy (specie in materia sanitaria), anche se in sede giurisprudenziale si favorisce la pubblicità.
Qualsiasi atto detenuto dalla PA, anche se proveniente da un privato, è accessibile, a patto di preservare l'altrui riservatezza. Per riservatezza si intende quel complesso di dati personali che riguardano la sfera privata dei terzi. La legge non prevede un diritto dei terzi, a sapere che nei propri confronti è stato richiesto l’accesso agli atti; inoltre la legge, nei conflitti tra privacy e diritto di accesso, consente di prendere visione degli atti, ma non l’estrazione di copia. La tutela della privacy è oggi disciplinata dalla legge 675/1996, che circonda l’accesso di limiti e garanzie. La PA può comunicare e diffondere dati personali solo se previsto da norme di legge o regolamento.  Nel caso di dati sensibili, occorre anche il consenso dell’interessato e l‘autorizzazione del garante, nonché una legge ad hoc, che ne individui scopi, oggetto, categorie di atti ecc.: es archivio nazionale di PS, è già gestito da legge specifica del 1981; lo stesso dicasi per il casellario giudiziario.
La più recente normativa tuttavia (135/1999) non fa più riferimento al consenso dell’interessato, ed anche la giurisprudenza mostra una preferenza per la trasparenza e l’accesso. Il dlgs 135/99 ha inoltre previsto una serie di casi riguardanti finalità di interesse pubblico (ma tutta l’attività della PA persegue l’interesse pubblico…), per i quali la trasparenza prevale sempre: in materia di immigrazione, cittadinanza, anagrafe, stato civile, liste elettorali, istruzione.  Normative specifiche interessano poi settori particolari come la sanità, le telecomunicazioni, la ricerca scientifica ecc.

Tutela giurisdizionale: contro il differimento o la negazione all’accesso, è consentito proporre ricorso dinanzi al GA (TAR in primo grado, Consiglio di Stato in appello). La giurisprudenza ha considerato per lungo tempo il diritto di accesso come un interesse legittimo, stante il potere delle PA di disporre l’accesso. Le pronunce più recenti tendono tuttavia a considerarlo un diritto soggettivo, tutelabile a prescindere dalla necessità di tutelarsi in sede giurisdizionale (Consiglio di Stato sentenze 728/94, 216/94 e 4078/2002), pur ribadendo che l’accesso non costituisce attività di controllo sull’operato della PA.  
L’accesso può essere esperito anche in pendenza di ricorso; i tempi sono brevi (30 giorni dal diniego, 30 giorni per la sentenza, con possibilità di appello entro i 30 giorni successivi). É possibile chiedere al difensore civico di intercedere nei confronti della PA che ha negato l’accesso; se la PA emana provvedimento confermativo, l’interessato può proporre ricorso. Il ricorrente può agire in giudizio senza essere assistito da un difensore; qualora il GA accolga il ricorso, può obbligare la PA a concedere l’accesso, eventualmente dettandone le modalità (actio ad exhibendum).

Continua a leggere:

Dettagli appunto:

Altri appunti correlati:

Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:

Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.