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Valore delle scritture contabili nell'accertamento contabile ed extracontabile


Diversa cosa è il problema concernente da un lato la rilevanza probatoria delle scritture contabili poste in essere dal contribuente e, dall’altro, il grado di attendibilità degli strumenti sui quali l’amministrazione può fondare la dimostrazione della sua pretesa in relazione al maggior reddito accertato.
Quanto alle scritture contabili, è piuttosto radicato il convincimento per cui esse sarebbero assistite, se regolarmente tenute, da una presunzione di veridicità a favore del contribuente: con la duplice conseguenza che incomberebbe sull’amministrazione l’onere di fornire la prova contraria alle risultanze delle medesime nell’ambito dell’accertamento cosiddetto contabile; mentre, una volta dimostrata la mancanza di siffatta regolarità, si determinerebbe un’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente, cui spetterebbe di contrastare la ricostruzione del reddito operata dall’ufficio in sede di accertamento extracontabile.
Sennonché, non v’è regola o principio giuridico in grado di sorreggere una tesi del genere, posto che i libri e le altre scritture contabili dell’imprenditore fanno prova contro di lui e non a suo favore.
La realtà è ben diversa, giacché il ruolo attribuibile alla regolare tenuta delle scritture consiste semplicemente nel vincolare l’amministrazione ad operare la quantificazione del reddito imponibile secondo moduli procedurali più rigorosi.
Per contro, l’assenza della suddetta regolarità legittima la finanza ad esperire un metodo di accertamento incentrato sulla ricostruzione globale del reddito e con il corredo di un apparato probatorio dotato di una forza dimostrativa attenuata.

Tratto da CONCETTI SUL DIRITTO TRIBUTARIO E SULL'IVA di Stefano Civitelli
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