L’internazionalizzazione della R&S
Si tratta della dislocazione dei laboratori all’estero, processo accelerato negli ultimi anni anche grazie alle Ict che consentono una più semplice gestione delle attività di ricerca in reti transnazionali. Cosa spinge le imprese (di fatto le multinazionali) a farlo? La pressione della domanda (soddisfare i mercati locali con innovazioni loro adatte) e dell’offerta (voler accedere alle conoscenze del Paese ospitante). Nel passato la prima aveva la prevalenza, negli ultimi anni l’ha avuta la seconda (ottenere vantaggi competitivi sui mercati mondiali sviluppando interazioni col sistema locale di competenze tecnologiche e con gli utenti finali con l’attivazione di processi di apprendimento e di trasferimento di tecnologie tra differenti unità locali e tra la funzione R&S e la produzione).
Tale processo ha dato spesso luogo, tra la fine degli anni 80 e l’inizio degli anni 90, a inefficienze e duplicazioni, cosicché dalla metà degli anni 90 si è cercato di focalizzare le attività presso un numero selezionato di centri di eccellenza.
Le multinazionali tendono a concentrare presso la casa madre la strategia, la finanza e la tecnologia, mantenendo la ricerca di punta (strategica e di lungo periodo) nei laboratori centrali, e svolgendo all’estero il solo sviluppo sperimentale e progettazione per adattare i prodotti al mercato locale. Tuttavia, a volte la ricerca di punta viene dislocata in Paesi leader tecnologici, quali gli Usa (si verifica quando le conoscenze e le strutture di alta qualificazione non sono disponibili nel Paese di appartenenza).
I governi tendono ad adoperarsi per attrarre le multinazionali ad installare sul proprio territorio grandi laboratori di R&S, che creano posti di lavoro ben retribuiti, diffondono tecnologie e nuove forme di management. Vi è tuttavia preoccupazione quando la filiale svolge modeste attività di R&S e la sua vera missione è acquisire a basso costo know-how dalle imprese nazionali e università, o beneficiare dei finanziamenti pubblici per la ricerca. Alla fine degli anni 90 la quota media di R&S svolta nei singoli Paesi (industrializzati) dalle filiali di imprese straniere era del 10%; nel settore dell’industria oscillava tra il 40 e il 64% (Italia 23%, più o meno come gli altri Paesi europei), con Giappone al 2% (difficile penetrazione) e Usa che passa da meno del 4% del 1980 al 16% del 1998 (testimonia l’attrattività del sistema scientifico Usa).
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Autore:
Moreno Marcucci
[Visita la sua tesi: "L'Internal Auditing nella Letteratura Internazionale"]
- Università: Università degli Studi Roma Tre
- Facoltà: Economia
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