Diritto Amministrativo:
Appunti delle lezioni di Diritto Amministrativo del Prof. Sticchi, a.a. 2009/10
Dettagli appunto:
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Autore:
Mariarita Antonella Romeo
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- Università: Università degli Studi di Lecce
- Facoltà: Economia
- Esame: Diritto Amministrativo
- Docente: Saverio Sticchi
Indice dei contenuti:
- 1. Il diritto amministrativo, diritto della Pubblica Amministrazione
- 2. L’organizzazione amministrativa e gli atti
- 3. I principi nel diritto amministrativo
- 4. Gerarchia delle fonti del diritto
- 5. Atti normativi: i regolamenti
- 6. Regolamenti e fonti secondarie
- 7. Fonti dell'ordinamento comunitario e contrarietà della legge nazionale rispetto al diritto comunitario
- 8. Attività della Pubblica Amministrazione
- 9. Analisi dell’Azione amministrativa: l'Amministrazione dinamica
- 10. Legge Crispi, Enti pubblici e Agenzie
- 11. Criteri per la definizione di interesse legittimo e diritto soggettivo in un contrasto tra privati e P.A.
- 12. Definizioni del potere amministrativo
- 13. La discrezionalità amminstrativa
- 14. Sentenza n. 2292/09
- 15. Legge 15 marzo 1997, n. 59
- 16. L. 7 agosto 1990, n. 241 (1)
- 17. Legge delega del '97
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Diritto Amministrativo di Mariarita Antonella Romeo Appunti delle lezioni di Diritto Amministrativo del Prof. Sticchi, a.a. 2009/10 Università: Università degli Studi di Lecce Facoltà: Economia Esame: Diritto Amministrativo Docente: Saverio Sticchi1. Il diritto amministrativo, diritto della Pubblica Amministrazione Parlando di diritto amministrativo ci riferiamo agli ordinamenti ed agli Stati cosiddetti a regime amministrativo (come Italia, Francia, Germania). Si tratta di Stati che hanno un diritto speciale, finalizzato a regolare i rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione. Gli stati a regime amministrativo hanno un apposito settore del diritto, cosiddetto diritto speciale, che serve a disciplinare i rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione. Per comprendere bene l’essenza degli stati a diritto amministrativo ci dobbiamo porre il problema opposto, ovvero: quali sono gli stati senza diritto amministrativo? Secondo la ricostruzione classica (ormai un po’ superata) gli stati senza diritto amministrativo erano principalmente gli ordinamenti di common law (Regno Unito, etc.). Gli ordinamenti di common law hanno come caratteristica principale il fatto che il diritto viene creato dal giudice; il precedente giusisprudenziale e giurisdizionale costituisce una fonte del diritto. Da noi le fonti del diritto sono la Costituzione, le leggi, i regolamenti; nell’ordinamento inglese, oltre ad alcuni principi generali scritti nelle leggi, il diritto viene formato dal giudice. Il giudice, con i suoi precedenti, oltre a regolare il caso concreto, crea un nuovo precedente che si applica alle fattispecie analoghe. Ma questa (“il giudice crea diritto”) non è l’unica caratteristica degli ordinamenti di common law. Infatti common law significa diritto comune, e questa è una differenza fondamentale rispetto agli Stati a regime amministrativo. Nell’ordinamento inglese, di common law o diritto comune, non esiste un diritto speciale che regola i rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione, ma esiste un solo diritto, comune appunto, che si applica a tutti indistintamente. Cioè nell’ipotesi di un’eventuale controversia tra due privati si applica il diritto comune, ma anche nell’ipotesi di controversia tra un privato ed una Pubblica Amministrazione si applica il diritto comune. In Italia un discorso di questo tipo sarebbe impossibile perché ad esempio: se litigano due condomini si applica il diritto privato, con la disciplina del Codice Civile; se c’è una controversia tra un privato cittadino ed una Pubblica Amministrazione, perché il cittadino ha chiesto una concessione per costruire e la suddetta gli è stata negata, si applica il Diritto Amministrativo. Un altro esempio concreto: nel nostro ordinamento, quando la Pubblica Amministrazione deve realizzare un’opera pubblica come una tangenziale, e per realizzarla deve intervenire su aree di proprietà dei privati, la Pubblica Amministrazione espropria i terreni d’interesse; nel diritto inglese, fino a qualche tempo fa (ora qualcosa sta cambiando) se la Pubblica Amministrazione doveva costruire un’opera pubblica laddove era presente una casa, o una villa, o un’abitazione, non aveva lo strumento dell’espropriazione, che non è prevista nei sistemi di common law in quanto essi non hanno il diritto speciale. Quindi la Pubblica Amministrazione doveva applicare le regole del diritto comune sulla vendita e l’acquisto, e comprare il luogo di interesse. Il diritto amministrativo, negli ordinamenti a regime amministrativo, è una grande prerogativa, uno strumento in più che viene concesso alla Pubblica Amministrazione, sebbene la Pubblica Amministrazione possa agire anche iure privatorum ovvero come se fosse un soggetto privato (ad esempio se il Comune di Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Lecce vuole acquistare un palazzo per fare un investimento, può acquistarlo agendo come un privato). La P.A. ha la possibilità di utilizzare, oltre alle regole del diritto privato, anche il diritto speciale (amministrativo) che attribuisce alla Pubblica Amministrazione una posizione di supremazia. Il diritto amministrativo attribuisce alla P.A. una posizione di supremazia rispetto ai privati (si veda l’esempio dell’esproprio: la supremazia della P.A. è talmente netta che non richiede il consenso del privato per acquisire la proprietà; basta un atto unilaterale da parte della P.A., senza consenso da parte di chi subisce l’esproprio) ; la P.A. in questo caso agisce autoritativamente. Supremazia della P.A. sul cittadino Il diritto amministrativo è il diritto della supremazia della P.A. rispetto alla sfera privata. Il privato che vuole costruire, deve chiedere l’autorizzazione all’amministrazione, che in posizione di supremazia accetta o rifiuta di concedere l’autorizzazione (indipendentemente dai modi per sindacare sulla correttezza del procedimento). Altro elemento tipico degli ordinamenti a diritto amministrativo è quello di avere un giudice speciale che applica il diritto speciale. Le regole particolari individuate dal diritto speciale amministrativo sono applicate da un giudice speciale (il giudice amministrativo). Chi sono i giudici amministrativi in Italia? i Tribunali Amministrativi Regionali TAR, organi di primo grado; c’è un TAR per ogni Regione in genere, in realtà ne abbiamo uno per ogni sede di Corte d’Appello, e ci sono regioni in Italia che hanno più di una sede di Corte d’Appello. Ad esempio la Puglia ha sedi di Corte d’Appello a Bari e Lecce; essere sede di Corte d’Appello significa avere una sede riconosciuta a livello regionale, presso la quale ad esempio si svolgono gli esami di Stato per avvocato (Brindisi e Taranto fanno riferimento al TAR di Lecce, quindi per sempio un atto illegittimo adottato dal Comune di Brindisi si impugna davanti al TAR di Lecce, un atto illegittimo adottato dal Comune di Bari si impugna davanti al TAR di Bari; in ambedue i casi l’appello si fa a Roma al Consiglio di Stato) il Consiglio di Stato (unica sede a Roma), che si occupa di tutte le cause di appello del giudizio amministrativo. Nei Paesi di common law non c’è il diritto amministrativo, e non c’è neppure un giudice speciale che lo possa applicare. Nei Paesi di common law non esistono i corrispondenti del TAR o del Consiglio di Stato, tutte le controversie vengono decise dagli stessi giudici, ovvero dalle corts o tribunali ordinari, che dirimono sia le liti tra condomini, sia le liti tra privati e Pubblica Amministrazione. Per completezza però dobbiamo dire che nei Paesi di common law c’è una recente tendenza a far emergere lentamente alcune regole fondamentali che si applicano solo rispetto alla Pubblica Amministrazione (c’è la tendenza recente ad elaborare alcuni principi generalissimi di diritto amministrativo). Nel nostro ordinamento ci sono ormai oltre 7000 leggi che disciplinano i rapporti tra privati e Pubblica Amministrazione, ma non esiste un codice del diritto amministrativo (esiste il Codice Civile che raccoglie le leggi che disciplinano i rapporti tra privati), solo tante leggi (sull’edilizia, sull’urbanistica, sul pubblico Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo impiego, etc.) che disciplinano in modo speciale il rapporto tra privati e Pubblica Amministrazione. In Gran Bretagna qualche principio di diritto che si applica solo alla Pubblica Amministrazione sta lentamente emergendo. Anche nei Paesi di common law sta quindi diffondendosi la tendenza a creare una parte di diritto che riguardi il rapporto privati-P.A., l’esistenza del solo diritto comune è gradualmente messa in discussione, si stanno introducendo principi di diritto amministrativo. Ma alla luce di ciò si inizia a prevedere, nei regimi di common law, la presenza di un giudice speciale? Allo stato attuale non è stato istituito un giudice amministrativo ma esistono degli administrative tribunals (tribunali amministrativi che però non sono come i nostri TAR perché non sono veri e propri organi giurisdizionali ma sono organi che appartengono alla Pubblica Amministrazione, apparati della P.A. che esercitano funzioni paragiurisdizionali). Quindi se un cittadino inglese è in lite con la pubblica amministrazione inglese, ha due possibilità: andare davanti al giudice ordinario ovvero alle corts (cosa impossibile in Italia, da noi in questo caso ci si deve recare necessariamente innanzi al TAR); andare davanti agli administrative tribunals che sono apparati della pubblica amministrazione con funzioni paragiurisdizionali. Ciò espone questi apparati al problema dell’indipendenza, in quanto i componenti dei tribunals appartengono alla pubblica amministrazione e non sempre riescono a decidere con imparzialità. Da noi esistono forme simili agli administrative tribunals? Un ruolo simile è quello svolto dal prefetto (parte della pubblica amministrazione, con funzione paragiurisdizionale) in caso di ricorso amministrativo (chi ha subito una multa per eccesso di velocità ad esempio può scegliere: rivolgersi al giudice oppure presentare reclamo al prefetto; questa seconda soluzione è più economica e non richiede l’assistenza di un avvocato; in seguito il prefetto sceglie di accogliere o meno il ricorso). Quindi gli administrative tribunals non sono giudici amministrativi (come i nostri TAR), ma apparati della Pubblica Amministrazione che dirimono controversie tra privati e Pubblica Amministrazione, in forma di organi paragiurisdizionali che hanno un limite insito nell’indipendenza e imparzialità (non sempre garantita). Riassumendo: il nostro ordinamento è in regime di diritto amministrativo, riconosce una legislazione speciale ed una giurisdizione ad hoc, costituita dai giudici amministrativi. L’Italia appartiene all’Unione Europea ed all’ordinamento comunitario. L’ordinamento comunitario è a diritto amministrativo (come in Italia, Francia, Germania) o di common law? Ovvero: ha un giudice amministrativo? riconosce una legislazione speciale? L’ordinamento comunitario prevede la Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo grado (giudici comunitari). Per molti anni si è negata l’esistenza di un diritto amministrativo comunitario, asserendo che la Comunità Europea rientra nel modello di common law, perché non prevede un giudice amministrativo e perché nell’ordinamento comunitario la Corte di Giustizia (con i suoi precedenti) crea diritto. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo La P.A. è un soggetto con una pluralità di fini Chi porta avanti la tesi dell’inesistenza del diritto amministrativo europeo (teoria negativa, che associava la Comunità Europea ai sistemi di common law), oltre alle suddette considerazioni formali, pone una considerazione di ordine sostanziale: “il diritto amministrativo non può esistere nell’ordinamento comunitario in quanto esso non è necessario” – ciò alla luce del fatto che il diritto amministrativo serve a regolare i rapporti tra privati e P.A., con la Pubblica Amministrazione definita come soggetto con una pluralità di fini (in Italia ad esempio la Pubblica Amministrazione si occupa di sanità, istruzione, gare di appalto, concorsi pubblici, incolumità pubblica, ambiente, etc., ovvero è una P.A. che esercita il suo potere autoritativo a 360°; certificati di laurea, concessioni edilizie, etc. sono tutti atti sotto il controllo della P.A., la P.A. copre una pluralità di interessi che riguardano soggetti privati). I sostenitori della tesi dell’inesistenza del diritto amministrativo europeo ovvero comunitario sostengono che a livello europeo il diritto amministrativo non serve in quanto: manca una pubblica amministrazione che abbia una pluralità di fini mancano i privati da contrapporre alla P.A., in quanto soggetti dell’ordinamento comunitario sono gli Stati membri Esempio: per laurearsi non si chiede il certificato alla Comunità Europea, perché non rientra nelle competenze dell’UE (non fa parte dei suoi fini). Ciò in quanto la Comunità Europea (con le sue tre comunità) non ha una pluralità di fini (sempre secondo la tesi negativa). Le 3 comunità che formavano l’Unione Europea erano: CEE Comunità Economica Europea, poi divenuta Comunità Europea (scopo: creazione del mercato unico); CECA (non esiste più, alla sua costituzione era stato previsto che dovesse durare 50 anni e dunque nel 2002 è venuta meno) Comunità Europea del carbone e dell’acciaio (scopo: consentire il libero scambio di carbone e acciaio); EURATOM. Le tre comunità non avevano fini generali, ma erano state istituite per finalità esclusivamente economiche (e circoscritte), dunque non era necessario il diritto amministrativo perché mancava la caratteristica della molteplicità dei fini (questo secondo i fautori della tesi negativa). Inoltre le tre comunità avevano come interlocutori gli Stati, e non i privati: mancava così la dicotomia tra sfera pubblica complessa ed autonomia privata. In questo scenario il diritto amministrativo non aveva una raison d’etre. Questa tesi, che prevalse fino alla fine degli anni ’60, è stata radicalmente superata, perché i due fattori che giustificavano l’inesistenza del diritto amministrativo comunitario (mancanza di una pubblica amministrazione con pluralità di fini e assenza di soggetti interlocutori privati) con il passare del tempo sono venuti meno. Infatti con i Trattati di Maastricht e Amsterdam, gli Stati membri hanno deciso di cedere alla Comunità Europea una sovranità sempre più ampia, trasferendo la sovranità in merito ad alcune materie: agricoltura, pesca, appalti, etc. Sempre maggiori materie sono state cedute alla Comunità, con conseguente perdita di sovranità degli stati membri, che hanno perso la possibilità di decidere in quello specifico settore. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Esempio: la Comunità decide che non è più possibile pescare il tonno pinna gialla, anche se in Italia la pratica era molto diffusa e redditizia. L’Italia non può opporsi e subisce l’imposizione. Oggi l’ordinamento comunitario si occupa di tantissime politiche, non solo economiche ma anche giudiziarie, e le sue competenze sono in continua espansione. Così viene meno uno dei presupposti della teoria negativa (che sosteneva che la Comunità Europea avesse scopi solo economici). Infatti anche la Comunità Economica Europea è divenuta Comunità Europea, in quanto aveva tante finalità e non era più corretto considerarla una comunità con finalità solo economiche. Oggi l’amministrazione comunitaria ha tante finalità, è quasi un ordinamento a fini generali. Per quanto riguarda il secondo aspetto (dopo aver concluso che la Comunità Europea è divenuta complessa e con tante finalità), possiamo dire che anche il secondo assioma della teoria negativa (soggetti dell’ordinamento comunitario sono gli stati e non i privati) è venuto meno in quanto sempre più spesso anche i privati diventano soggetti dell’ordinamento comunitario. Ciò perché nel 1992 il Trattato di Maastricht ha introdotto la cittadinanza dell’ Unione Europea (accanto alla cittadinanza dello stato di appartenenza), ed ogni privato cittadino è divenuto giuridicamente rilevante per l’ordinamento comunitario. Ogni cittadino ad esempio elegge il Parlamento Europeo ed è soggetto all’ordinamento comunitario, mentre nei primi anni di vita della comunità i parlamentari erano designati dagli stati (il Parlamento Europeo non era un organo elettivo, eletto dal popolo). Solo con il riconoscimento pieno della soggettività anche l’ordinamento comunitario ha ammesso l’elezione popolare a suffragio universale del Parlamento Europeo; inoltre oggi i privati se vogliono possono adire direttamente il Tribunale di primo grado o la Corte di Giustizia, oppure possono rivolgersi al mediatore europeo. Dunque i privati sono ormai diventati soggetti dell’ordinamento comunitario. I due fattori della teoria negativa che non ammettevano la possibilità del diritto amministrativo comunitario sono venuti meno perché: L’amministrazione comunitaria è a fini generali; L’amministrazione comunitaria si rivolge sia agli stati che ai privati. Con la dicotomia tra sfera pubblica e privata nasce il diritto amministrativo comunitario (perché è giusto che esista un diritto amministrativo che disciplini questa contrapposizione). In apparenza manca però un giudice speciale a livello comunitario. In realtà l’art. 230 del Trattato CE prevede che davanti alla Corte di Giustizia o al Tribunale di primo grado si possa svolgere un giudizio per l’annullamento degli atti adottati dalle istituzioni comunitarie che siano viziati da: Incompetenza Violazione dei trattati Sviamento di potere Violazione delle forme Questi 4 vizi ricordano i vizi di illegittimità dell’atto amministrativo. Corte di Giustizia e Tribunale Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo A livello comunitario esiste un diritto amministrativo ed anche un giudice amministrativo (che però non si occupa solo di diritto amministrativo come fanno i TAR in Italia); la Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo grado svolgono sia funzione di giudice ordinario che funzione di giudice amministrativo. Non c’è un giudice ad hoc, la Corte di Giustizia ed il Tribunale di primo grado hanno, nell’ambito dell’indirizzo dato dall’art.230 del Trattato, funzioni di giudice amministrativo. Quindi: Abbiamo confutato il fatto che l’ordinamento comunitario non riconosca la dicotomia sfera pubblica – autonomia privata; I privati esistono (come soggetti dell’autonomia privata contrapposta alla sfera pubblica) grazie all’istituzione della cittadinanza dell’Unione Europea; La sfera pubblica ha una pluralità di fini; Un rapporto dicotomico pubblico-privato esiste ed è regolato dal diritto amministrativo; L’art.230 istituisce la competenza della Corte di Giustizia a valutare l’eventuale annullamento di atti amministrativi. Diritto dell’Unione Europea e diritto comunitario L’ordinamento comunitario oggigiorno somiglia quindi più ai sistemi di civil law che a quelli di common law. Ora opereremo una precisazione contenutistica tra diritto dell’Unione Europea e diritto comunitario, tra Unione Europea e Comunità europea. Nell’ordinamento europeo esistono 3 pilastri: 1° PILASTRO 2°PILASTRO 3°PILASTRO Nel primo pilastro opera il metodo comunitario, ovvero vi operano le tre comunità storiche (CEE, CECA ed EURATOM). Il metodo comunitario attiene ai settori nei quali davvero gli stati membri hanno ceduto la propria sovranità, quindi con il metodo comunitario si decidono le politiche relative alle materie nelle quali gli stati membri hanno ceduto il loro potere decisionale (pesca, agricoltura, aiuti di stato, appalti, etc.). In questi campi le comunità possono decidere al posto dello stato membro. Se una proposta passa a maggioranza, anche i Paesi contrari subiscono le conseguenze del procedimento relativo agli atti adottati. Gli stati, se la proposta passa a maggioranza, devono subire, sia se hanno votato a favore, sia se hanno votato contro. Gli atti adottati sono vincolanti (questi atti sono: regolamenti, direttive e decisioni). Nel secondo pilastro opera il metodo intergovernativo. Il secondo pilastro riguarda il PESC ovvero Politica Estera e Sicurezza Comune. Nel terzo pilastro opera il metodo intergovernativo. Il terzo pilastro riguarda il GAI ovvero Giustizia ed Affari Interni. Nel secondo e terzo pilastro gli stati membri non hanno ceduto totalmente la propria sovranità, perché i Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo settori in oggetto riguardano argomenti molto delicati. Ad esempio in materia di giustizia l’Italia e gli altri Paesi mantengono la propria sovranità (perché non si può equiparare, ad esempio, la decisione sull’adozione della pena di morte al caso del tonno pinna gialla). Quindi nel secondo e terzo pilastro non si usa il metodo comunitario ma quello intergovernativo. Caratteristiche del metodo intergovernativo: Riunione dei capi di stato e di governo che deliberano non a maggioranza ma all’unanimità; Gli atti, seppur adottati all’unanimità, non sono vincolanti; Lo scopo è quello di stabilire un indirizzo comune. Il diritto comunitario dunque è solo quello che si produce con il metodo comunitario. Tutti e tre i pilastri fanno parte dell’Unione Europea. L’Unione Europea è il contenitore generale; mentre il diritto comunitario è solo nel primo pilastro, il diritto dell’Unione europea è tutto. Quindi Unione Europea e Comunità Europea sono due cose molto diverse. La costituzione europea, bocciata in sede referendaria da Francia ed Olanda, intendeva eliminare i pilastri per introdurre il metodo comunitario in tutti i settori e su tutte le materie dei tre pilastri. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 2. L’organizzazione amministrativa e gli atti Si tratta della l’organizzazione statica dei singoli uffici, mentre la parte dinamica è l’attività che svolgono i singoli uffici. Si fa un esempio: un gruppo di comuni decidono di riunirsi insieme e creare un soggetto giuridico che sta tra un comune e un provincia. Possono farlo ? Si può creare una società di comuni? Questi comuni non vogliono creare né una società , ne un consorzio; vorrebbero creare un soggetto giuridico nuovo, non previsto; vorrebbero creare un apparato amministrativo in comune. Questo in Italia non è possibile, perché solo la legge Statale o Regionale può prevedere la creazione di nuovi Enti o nuovi Organi, se non c’è una legge nazionale che prevede quel soggetto giuridico, non si può creare un modello nuovo, in quanto non esistente nell’ordinamento. Quindi se i comuni, vorrebbero creare una società di comuni, non si potrebbe costituire quest’ultima in quanto non prevista dalla legge. Definiamo cos’è un ENTE. Ogni ENTE è dotato di una pluralità di attributi, all’interno di ogni ENTE operano degli ORGANI che invece svolgono delle competenze. Gli ENTI sono : enti locali, le province i comuni ,le regioni ,ecc… Ogni ENTE ha delle attribuzioni, all’ interno di ogni ENTE operano gli ORGANI che hanno una serie di competenze. Il comune di Lecce è un ENTE che ha una pluralità di attribuzioni, come: la politica locale, la polizia municipale , i pubblici esercizi , il verde pubblico,ecc... Quali sono gli organi dell’ ENTE ? Gli ORGANI sono : il Sindaco, la giunta comunale,ecc.. La somma degli ORGANI da luogo all’ ENTE. Bisogna fare attenzione perché i livelli organizzativi dell’amministrazione sono tre ; infatti esistono i così detti MERI UFFICI che sono composti da coloro che svolgono una semplice attività preparatoria. Qual è l’attività preparatoria? Per esempio il capo di gabinetto del sindaco di Lecce, prepara tutte le delibere; è un mero ufficio. Differenza tra gli Organi e i Meri Uffici? La differenza è fondamentale, infatti solo gli ORGANI sono in grado di adottare atti che hanno rilevanza verso l’esterno ,cioè che incidono sulla sfera dei soggetti; ad esempio solo il Sindaco può con una propria ordinanza prevedere la chiusura del centro storico per consentire lo svolgimento della festa di S. Oronzo. Il consiglio comunale o la giunta sono organi che emettono atti di rilevanza verso l’ esterno. Negli uffici svolgono attività che non hanno rilevanza esterna; ad esempio il capo di gabinetto prepara gli atti che il sindaco eventualmente sarà in grado di adottare. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Nel comune di Lecce: il Dirigente dell’ufficio urbanistico, al quale i cittadini richiedono il permesso di costruire, il quale autorizza o meno la costruzione dell’opera. Tale sarà un Organo, in quanto emette degli atti che hanno rilevanza verso l’esterno, in quanto svolge un’attività che hanno rilevanza esterna. Se il dirigente nega la costruzione, perché ha convocato la commissione urbanistica che in base ad una perizia ha verificato che in quella zona della città non è possibile costruire l’opera, sì può dire che la commissione urbanistica è un mero ufficio, il quale ha posto un’attività preparatorio, richiesta dal Dirigente. Con un decreto legislativo anche i semplici dirigenti da semplice ufficio , sono diventati dei veri e propri organi al pari del sindaco; quindi gli atti emanati dai dirigenti hanno rilevanza esterna; d. Lgs. 165/2001(vi allego il decreto legislativo). Anche l’ Università è un ENTE , dove il Consiglio di facoltà e i Professori sono degli Organi, perché possono emettere degli atti che hanno rilevanza esterna. L’ufficio di Presidenza che prepara il calendario delle sedute di laurea è un Organo. Questo modello Organizzativo vale per tutte le pubbliche amministrazioni. Poniamoci ora il problema della TUTELA ,che cosa significa? La tutela che ha un cittadino rispetto all’attività svolta da un ENTE , da un ORGANO e da un MERO UFFICIO. La TUTELA è prevista verso gli ENTI e gli ORGANI, ma non per i MERI UFFICI. Solo gli organi e gli enti possono emettere degli atti che hanno rilevanza esterna. Ad esempio: se si richiede un permesso a costruire, la commissione urbanistica nega la costruzione, mandando il parere al cittadino; ma deve ancora intervenire il Dirigente all’urbanistica. Se si riceve un atto emesso dalla commissione (mero ufficio ), l’errore che non bisogna fare e pensare che si possa andare di fronte al giudice amministrativo; perché tale ricorso non è ammissibile. Nel nostro ordinamento questi atti non possono essere impugnati, bisogna aspettare la decisione dell’organo o dell’ente. Altro esempio: se si svolge l’esame di diritto amministrativo in presenza solo del collaboratore in mancanza del docente; si può fare ricorso, perché la commissione è illegittimamente formata ed è un atto che è stato adottato da un organo. Atti del procedimento amministrativo Gli atti interni al procedimento amministrativo adottati dai MERI UFFUCI, sono detti ATTI ENDOPROCEDIMENTALI, non possono essere impugnati di fronte al giudice amministrativo, perché non hanno rilevanza esterna. Gli atti endoprocedimentali vengo detti meri atti amministrativi; mentre gli atti emessi dagli ENTI e dagli ORGANI sono detti PROVVEDIMENTI AMMINISTRATIVI , proprio perché hanno rilevanza verso l’ esterno e in quanto provvedono verso l’ esterno. Quindi di fronte al giudice amministrativo si possono impugnare solo i provvedimenti amministrativi. Se si decide di costituire un ENTE nuovo che la legge non prevede; che non è una provincia, un comune , ecc…; si può ? Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo No, e non si possono neanche creare nuovi organi,infatti tutti i comuni hanno gli stessi organi come : la giunta, il sindaco, il difensore civico; sono previsti dalla legge, infatti sono richiamati da una riserva di legge; che non è assoluta in quanto impone e disciplina l’intera disciplina; ma è relativa perché disciplina solo i primi 2 livelli. Infatti la RISERVA RELATIVA prevede che la legge descriva gli elementi principali, infatti i meri uffici possono essere istituiti con un atto amministrativo, non sono previsti dalla legge. Il DIFENSORE CIVICO che ha competenza per liti fra cittadini (caso in cui i residenti nel centro di Lecce, litigano con i pubs collocati in centro che vogliono lavorare fino a tarda serata). I comuni al di sopra degli ottomila abitanti devono dotarsi del DIFENSORE CIVICO, il quale è previsto dalla legge ed è, dunque un ORAGANO. Ultima considerazione riguardo ai vizi degli atti amministrativi che nel nostro ordinamento sono tre, quali(NELL’ ORDINAMENTO COMUNITARIO SONO 4): VIOLAZIONE DI LEGGE ECCESSO DI POTERE INCOMPETENZA Il vizio di in competenza Consiste nel fatto che l’ atto amministrativo è stato adottato da un organo incompetente, ad esempio : il permesso a costruire viene rilasciato dal Sindaco piuttosto che dal Dirigente all’ urbanistica, siamo nell’ ENTE corretto , ma è l’ organo che è sbagliato; perciò si tratta di un INCOMPENZA RELATIVA, quindi non molto grave . Se invece è sbagliato l’ ENTE , si tratta di INCOMPETENZA ASSOLUTA . Riguardo la materia sui rifiuti la legge prevede compiti sia per la REGIONE che per i COMUNI; ad esempio il comune adotta un provvedimento per l’apertura di una discarica a cielo aperto, qui siamo in una incompetenza assoluta, perché è sbagliato l’ente; tale è molto grave , infatti l’atto si considera NULLO(atto molto grave); cioè quasi inesistente; ma esiste un altro atto detto annullabile(che è meno grave); che è ancora più grave, ma né vedremo più in là la differenza. Se ad esempio: vi è una incompetenza tra uffici, non si tratta di incompetenza né assoluta , ne relativa; perché emettono dei meri atti amministrativi; che non hanno rilevanza all’esterno, perciò non riguardano i vizi, ma lo sono invece i provvedimenti amministrativi. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 3. I principi nel diritto amministrativo Riserva di legge o principio di legalità La riserva di legge è una riserva di legge relativa che impone che sia la legge a prevedere l’esistenza di enti e di organi e le loro attribuzioni e competenze, mentre i meri uffici possono anche essere previsti con semplici atti amministrativi. Inoltre esiste una tutela del giudice amministrativo solo rispetto agli enti che adottano atti nell’ambito delle proprie attribuzioni e degli organi che adottano atti nell’ambito delle proprie competenze perché queste hanno rilevanza esterna; mentre i meri uffici che svolgono compiti adottano meri atti amministrativi che non hanno rilevanza esterna e che non possono essere impugnati davanti al giudice amministrativo perché il ricorso sarebbe inammissibile. La riserva di legge è prevista espressamente dall’art. 97 della Costituzione. Tale articolo però, si esprime in maniera tecnicamente impropria (il nostro costituente voleva dire una cosa e sostanzialmente ne ha detta un’altra). Il nostro costituente voleva dire che la previsione, l’istituzione di nuovi enti e di nuovi organi con le relative attribuzioni e competenze è riservata alla legge. 1° comma art. 97: i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione. Perché l’art. 97 non è corretto? L’art. 97 non è corretto perché parla di pubblici uffici, mentre bisognerebbe parlare di enti ed organi (la Costituzione utilizza un termine improprio, dice che la riserva di legge riguarda i pubblici uffici come se il concetto di pubblico ufficio potesse riassumere sia gli enti che gli organi). Non fa altro che confondere, perché i pubblici uffici al più fanno pensare ai meri uffici che però sono proprio quelli che non sono oggetto della riserva di legge, l’esatto contrario. La Cost. quando parla di pubblici uffici oggetto di riserva di legge si sta riferendo in maniera impropria agli enti e agli organi. L’errore terminologico della Costituzione lo si coglie poi nel 2° comma. 2° comma art. 97: nell’ordinamento degli uffici sono determinate (dalla legge) le sfere di competenza e le attribuzioni. Quindi nel 2° comma si capisce che la riserva di legge riguarda proprio le competenze e le attribuzioni, quindi questa è la prova che nel 1° comma ci stavamo riferendo agli enti e agli organi. Dal punto di vista terminologico l’art. 97 dovrebbe dire: gli enti e gli organi sono organizzati secondo disposizioni di legge (1° comma) e poi nell’ordinamento degli enti e degli organi bisogna determinare le sfere di attribuzione e di competenza (2° comma). L’art. 97 è fondamentale perché non dice solo che gli enti e gli organi vanno previsti per legge, ma anche le loro competenze e le loro attribuzioni vanno previste con legge, cioè per esempio, non basta una legge che preveda l’esistenza dei Comuni ma c’è bisogno che la stessa legge dica anche quale attribuzioni ha il Comune; non basta che ci sia una legge che preveda la figura del sindaco o del Consiglio Comunale ma c’è bisogno che la stessa legge dica anche quali competenze abbia il Sindaco o il Consiglio Comunale, quanto deve restare in carica (non può il Sindaco di Lecce durare in carica 7 anni e quello di Bari 3 anni, la durata è prevista per legge ed è uguale per tutti i sindaci). Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo In passato in Italia, con riferimento ad alcuni organi, c’era spesso l’usanza che questi organi dovevano durare ad esempio per legge 4 anni, aspettavano la scadenza e poi dicevano che avevano bisogno di tempo per nominare il nuovo consiglio di amministrazione così prorogavano l’attuale consiglio finché non nominavano il nuovo, poi la nomina del nuovo consiglio avveniva 2 – 3 anni dopo, quindi in questo modo un consiglio di amministrazione che doveva durare 5 anni così ne durava 8, questo avveniva con lo strumento della PROROGA. La richiesta di proroga cos’è? È la decisione con cui si crea un atto amministrativo (con cui il Comune di Lecce proroga il suo difensore civico). Così è intervenuta la Corte Costituzionale che ha affermato che, prorogare la durata degli organi o degli enti, configura l’ipotesi della riserva di legge che è prevista dall’art. 97 perché se un organo deve durare 4 anni e con una proroga, che è un atto amministrativo, lo si porta a 7, si sta facendo qualcosa che la nostra Costituzione riserva alla legge. Lo strumento della proroga degli organi venne usato per molti anni in Italia, poi intervenne la Corte Costituzionale in quanto con tale strumento si stava violando l’art. 97 che pone una riserva di legge per tutto ciò che attiene gli enti e gli organi, la durata di un organo è previsto dalla legge, che non può essere cambiata con un atto amministrativo di proroga. Sui meri uffici è diverso: il Capo di Gabinetto del Sindaco abbiamo previsto con un nostro atto amministrativo che duri 2 anni, se vogliamo prorogarlo per altri 2 anni, allora facciamo un altro atto amministrativo e lo proroghiamo per 2 anni, non sussiste nessun problema, siamo fuori dalla riserva di legge. Il principio analizzato ora, quello relativo alla riserva di legge relativa, si chiama PRINCIPIO DI LEGALITA’. Questo principio di legalità impone che enti ed organi con le rispettive attribuzioni e competenze devono essere sempre previsti con legge. Non si può creare un ente o un organo senza legge, non si può attribuire a un ente un’attribuzione e a un organo una competenza se non ci sia una legge che lo prevede espressamente. Il principio di legalità è il primo dei 3 principi fondamentali che caratterizzano questa parte dell’organizzazione amministrativa. Principio di imparzialità Il secondo principio fondamentale è il PRINCIPIO DI IMPARZIALITA’. Alla domanda cos’è il principio di imparzialità?, tutti rispondono che l’imparzialità consiste nel fatto che quando l’amministrazione agisce ed opera si deve comportare in modo imparziale, cioè per es. in un pubblico concorso deve far vincere il più bravo e non il più raccomandato. Questa imparzialità non attiene però all’organizzazione, ma attiene all’attività dell’amministrazione. Ci stiamo riferendo al principio di imparzialità riferito alla parte statica cioè all’organizzazione, cioè riferito a come si formano gli enti e a come si formano gli organi. L’imparzialità riferita all’organizzazione attiene a tutta quella parte in cui per es. la legge nel momento in cui prevede l’esistenza degli organi deve prevedere tutta una serie di garanzie che assicurino l’imparzialità Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo dell’organo stesso, questo vuol dire che l’imparzialità viene garantita attraverso delle norme, delle leggi che prevedono tutte le ipotesi di conflitto di interessi, i quali devono essere previsti e tipizzati dalla legge che istituisce un organo e sono finalizzati appunto a garantire l’imparzialità dell’organo stesso. Se io faccio il magistrato posso anche fare allo stesso tempo il sindaco? È impossibile, c’è una legge che prevede espressamente che è incompatibile la carica di magistrato con quella di sindaco, questo per garantire il principio di imparzialità, perché per es. se il magistrato sia il magistrato del Tar può mai fare il Sindaco e giudicare sulla legittimità dei suoi atti? Impossibile, c’è il rischio che non sia parziale. Quelle sui conflitti di interesse sono tutte previsioni che vengono previste in astratto, cioè intanto eliminiamo in astratto tutte quelle ipotesi in cui si può creare un’ipotesi di imparzialità. La legge tipizza tanti casi in cui un soggetto non può essere eletto Sindaco perché si trova nella situazione che potrebbe pregiudicarne l’imparzialità. Vediamo quindi che nel nostro ordinamento ci sono già delle leggi che nell’ambito della riserva di legge dicono quali sono i casi in cui un soggetto non può diventare parte di un organo. È questa l’imparzialità che si riferisce all’organizzazione, perché la legge che prevede l’istituzione dell’organo Consiglio di Giunta ci dice già quali sono i casi, in astratto, in cui tu non puoi assumere quell’incarico, per es. la stessa persona non può essere allo stesso tempo consigliere comunale e assessore. Quando viene eletto un Sindaco, viene eletto un Consiglio comunale, il Sindaco poi deve fare la sua squadra, accade che la legge nazionale ha stabilito che la Giunta debba essere una squadra, un team di persone, di solito di tecnici che godano della fiducia del Sindaco, cioè il Sindaco quando viene eletto sceglie i suoi assessori in base a specifiche competenze nei settori in cui verranno poi collocati. Questo sistema in Italia è stato distorto perché ormai è in uso in tutte le amministrazioni che la norma che ha previsto l’istituzione della Giunta sia stata completamente travisata, nel senso che il sindaco viene eletto e dopo essere stato eletto nomina la giunta non sulla base di un rapporto necessariamente di fiducia e non sulle competenze specifiche, ma in base al consigliere che ha preso più voti, al quale gli affida l’assessorato più importante anche se egli non ha le competenze. Così si è fatto diventare come se fosse elettiva anche la giunta, che in realtà non è elettiva, gli assessori non vengono eletti ma vengono nominati dal sindaco su persone di sua fiducia, invece oramai il sistema è che il sindaco attribuisce le varie deleghe a seconda di chi abbia avuto più voti. Siccome la legge ha invece previsto che la giunta sia un organo che venga nominato dal sindaco, l’effetto distorsivo è che la nomina di assessore non è elettiva ed è incompatibile con quella di consigliere comunale, quindi il consigliere più votato di tutti viene nominato assessore all’urbanistica (che è quello più importante) anche se non ha le competenze, l’effetto distorsivo qual è? Che al suo posto viene eletto tra i consiglieri il primo tra i non eletti, perché si è liberato un posto di consigliere, in quanto se si accetta la carica di assessore bisogna dimettersi da consigliere. Il sindaco un giorno poi, se non gli piace come opera l’assessore, può decidere di mandarlo a casa, questo può farlo in quanto quell’organo non è elettivo ma è di nomina, e così come lo ha nominato può cacciarlo. Perciò l’effetto distorsivo si riscontra nel fatto che anche la carica di assessore essendo normalmente assegnata non ad una persona fiduciaria che non si è proprio candidata, ad uno esterno, ma a chi è stato più suffragato che così, se opera in modo errato rischia di essere mandato a casa; se invece riveste la carica di consigliere questo non può succedere perché è stato eletto dal popolo e non può essere mandato via. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Utilizzare i consiglieri comunali più suffragati come assessori significa che questi si devono dimettere come consiglieri perché c’è un problema di incompatibilità, quindi lasciano l’incarico di consiglieri comunali e diventano assessori, quindi lasciano l’incarico elettivo e ne assumono uno fiduciario, però non hanno più le garanzie dell’incarico elettivo nel senso che il sindaco in qualsiasi momento con un atto amministrativo li può mandare a casa. In questo senso chi è che viene clamorosamente smentito è il popolo che lo aveva eletto come consigliere, il quale si è dimesso per diventare assessore e al suo posto viene messo uno che ha preso meno voti. Questo perché è successo che si è fatto qualcosa che la legge non prevede: infatti la legge prevede che gli assessori vengano nominati e i consiglieri vengano eletti. Tempo fa si è letto sui giornali che il sindaco di Lecce sfiduciò, cioè mandò a casa 3 assessori di “Io Sud” perché ci fu una crisi all’interno della maggioranza, sono nati contrasti, così il sindaco prese i 3 assessori di ”Io Sud” che erano anche consiglieri comunali suffragati, dopo di che con la rottura politica, il Sindaco decise di mandarli a casa. A questo punto c’è stato il ricorso al Tar con cui veniva contestato l’atto con cui venivano mandati a casa, in cui si diceva che per essere mandati a casa ci doveva essere un motivo serio, qualche inadempienza seria, perché sono pur sempre 3 persone che si trovano lì perché hanno preso tanti voti. Il Tar Lecce in effetti diede ragione a questa tesi ed affermò che la revoca di questi 3 assessori era illegittima in quanto non si capiva il motivo, non si capivano le ragioni politiche, quindi prima di mandare a casa 3 persone così suffragate dal popolo come consiglieri comunali e poi diventati assessori devono esserci delle ragioni. Il Sindaco che aveva perso la causa di primo grado, è andato immediatamente al Consiglio di Stato, il quale ha ribaltato la decisione del Tar Lecce perché il sindaco può fare cosa vuole, perché così come non deve motivare sulle ragioni per cui ha nominato quei 3 assessori perché è un atto fiduciario, non va motivato né nel momento in cui si sceglie, né nel momento in cui si manda a casa (il Consiglio di Stato ha riportato tutto entro una lettura più rigida della legge). Il principio di imparzialità abbiamo detto che si riferisce all’organizzazione, bisogna evitare possibili conflitti di interesse per cui la legge prevede quali sono i conflitti in astratto, cioè prevede l’incompatibilità tra magistrato e sindaco. Il principio di imparzialità impone che: l’amministratore non deve essere personalmente interessato, il personale sia reclutato anche in modo imparziale. L’art. 97 al 3° comma dice che “agli impieghi delle Pubbliche Amministrazioni si accede mediante un pubblico concorso”, perché il pubblico concorso dovrebbe essere una garanzia di imparzialità. Anche qui c’è da dire: trovata la legge, trovato l’inganno. La regola costituzionalmente garantita dei pubblici concorsi è stata un po’ aggirata in questi anni attraverso il meccanismo delle società in mano pubblica, cioè molti Comuni, ma anche altre amministrazioni centrali, istituiscono delle s.p.a. le cui azioni sono completamente detenute dall’amministrazione pubblica, tutto il capitale sociale è integralmente detenuto dall’amministrazione pubblica. Ad esempio Lupiae Servizi è una Spa il cui capitale è integralmente del Comune di Lecce. Gli stipendi dei dipendenti della Lupiae Servizi li paga essa stessa ma col denaro del Comune di Lecce. Tale società quando assume non fa concorso, ma assume direttamente, c’è così un tentativo di eludere lo spirito dell’art. 97. L’art. 97 infatti dice che se un’amministrazione direttamente o indirettamente retribuisce con denaro Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo pubblico, deve retribuire chi quel posto se lo è conquistato attraverso concorso. Principio di buon andamento Il 3° principio è il PRINCIPIO DI BUON ANDAMENTO: i pubblici uffici devono essere improntati al buon andamento (il buon andamento è un auspicio che tutti gli uffici pubblici operino secondo il principio di buon andamento). Il buon andamento si declina in 2 aspetti, cioè un qualsiasi ente o un qualsiasi organo quando opera deve essere al contempo efficiente ed efficace; è questo il modo per misurare se il pubblico ufficio opera nel rispetto del principio costituzionale del buon andamento. Che vuol dire essere efficiente ed efficace? Un ufficio pubblico è efficace se raggiunge gli obiettivi per il quale è stato istituito, ma deve raggiungerli anche in maniera efficiente, cioè impiegando delle risorse che siano adeguate, proporzionate all’obiettivo che deve raggiungere. Es.: se un Comune decide di fare un investimento immobiliare e acquistando un immobile anziché pagarlo 14 milioni di euro lo paga 35 milioni di euro, è stata un’amministrazione efficace perché ha raggiunto l’obiettivo, ma non efficiente perché lo ha pagato il doppio. Es.: se l’assessorato ai lavori pubblici deve realizzare la tangenziale di Lecce, e la realizza nel giro di 3 anni, è efficace perché ha raggiunto l’obiettivo, ma se si vanno ad analizzare i costi si scopre che ha speso 4 volte di più di quello che c’era da spendere. Quindi ci può essere un’amministrazione non efficace, cioè che non raggiunge gli obiettivi, ma efficiente perché risparmia; oppure ci può essere un’amministrazione che è efficace in quanto raggiunge gli obiettivi, però dispendiosa e quindi non efficiente. Pertanto l’amministrazione che assicura il buon andamento è nel contempo sia efficace che efficiente. L’art. 97 della Cost. è l’articolo fondamentale per l’organizzazione della Pubblica Amministrazione, ma non è l’unico. Ci sono altri articoli della Cost. che riguardano la Pubblica Amministrazione e tra questi l’art. 113 della Cost. che è un principio fondamentale che dice che contro i provvedimenti della Pubblica Amministrazione è ammessa la tutela giurisdizionale. Ultimo aspetto da considerare è il rapporto che vige tra Pubblica Amministrazione e i diritti fondamentali o inviolabili costituzionalmente garantiti. Quali sono i diritti inviolabili costituzionalmente garantiti? Sono: la libertà personale, quella domiciliare, la libertà di associazione, quella religiosa, la libertà di pensiero, ecc. La nostra Costituzione prevede che con riferimento a queste libertà fondamentali, la Pubblica Amministrazione si deve tenere da parte. La Pubblica Amministrazione non ha il potere di incidere sulle libertà fondamentali. L’unico che può incidere sulle libertà fondamentali in Italia è il giudice, la Pubblica Amministrazione no. Sulle libertà personali c’è una riserva di giurisdizione, cioè decide soltanto il giudice, non può intromettersi la Pubblica Amministrazione. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Se un ladro viene colto in flagrante, se un cittadino viene colto durante la commissione di un reato, può essere immediatamente arrestato dalla polizia, in questo caso la polizia può intervenire. La Pubblica Amministrazione quindi può intervenire in casi eccezionali di necessità e di urgenza limitando la libertà personale, in questi casi ha l’obbligo di comunicare all’autorità giudiziaria l’avvenuto arresto entro 48 ore, il magistrato ha l’obbligo di convalidare nelle successive 48 ore, quindi la decisione finale viene sempre ricondotta alla Magistratura. Es.: un gruppo di tifosi al ritorno da una trasferta si fermarono in un autogrill e distrussero tutto, arrivarono le forze di polizia non li arrestarono ma li identificarono e li mandarono a casa. Dopo di che, il questore del luogo in cui si trovava l’autogrill adottò un’ordinanza, in attesa che si svolgesse il processo penale, che disse a questi signori che per un anno non potevano avvicinarsi a qualsiasi impianto dove si svolgeva qualsiasi tipo di manifestazione sportiva. È stato fatto ricorso contro questa ordinanza del questore e nei ricorsi si diceva che questa ordinanza era illegittima perché violava il principio della riserva di giurisdizione, perché un conto è dire che questi signori per un anno non potevano mettere piede nelle partite di calcio della loro città, ma addirittura dire che per un anno non si possono avvicinare in qualsiasi luogo in cui si svolge qualsiasi attività sportiva diventa non più un provvedimento amministrativo ma è un qualcosa che limita la libertà personale e come tale si va ad incidere sulla riserva di giurisdizione. Non si può limitare in maniera così ampia e indiscriminata la libertà personale di questi soggetti attraverso il provvedimento del questore, perché si va a ledere la riserva di giurisdizione che è costituzionalmente garantita. Un’eccezione alla riserva di giurisdizione è per la libertà di riunione o di circolazione in cui l’autorità di polizia un po’ riesce ad entrarci, per es. quando bisogna autorizzare o meno dei cortei politici nonostante sia una libertà di riunione, può succedere che il questore neghi il permesso. Ma come, non c’è la riserva di giurisdizione sulle libertà fondamentali? Sulle libertà personali del singolo sì, la pubblica amministrazione non entra mai, invece su quelle che possono riguardare la collettività come la libertà di riunione, si ammette la possibilità che un minimo di ingerenza della pubblica amministrazione ci sia, perché la pubblica amministrazione quando agisce per es. nella libertà di riunione, lo fa per garantire un interesse ancora più importante che è quello dell’incolumità e della sicurezza pubblica. Questo è uno dei pochi casi nei quali la pubblica amministrazione può incidere sulle libertà fondamentali. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 4. Gerarchia delle fonti del diritto Nel nostro ordinamento esiste un criterio di Gerarchia delle fonti del diritto, nel senso che abbiamo delle fonti che operano su livelli gerarchicamente differenti. COSTITUZIONE E LEGGI COSTITUZIONALI Norme secondarie, regolamenti Legge ordinaria, decreto legge, decreto legislativo Diritto comunitario Le leggi costituzionali non sono contenute all’interno dei 139 articoli della Costituzione, ma sono delle leggi che hanno la stessa rilevanza dal punto di vista gerarchico della Costituzione che vengono adottate con una procedura aggravata e gerarchicamente sono allo stesso livello perché sono norme di pari rango. Per fare un esempio concreto, il lodo Alfano introduceva un principio che era in violazione dell’art. 3 e con l’art 138 della Costituzione (l’art.138 è quello che prevede la procedura aggravata per adottare leggi costituzionali). Il lodo Alfano incide su una norma costituzionale e può essere adottato non con legge ordinaria ma con legge costituzionale. Sinora eravamo abituati a trovare subito dopo la Costituzione, la legge ordinaria, adottata secondo lo schema classico in via parlamentare oppure gli atti aventi forza di legge che sono i decreti legge, che si adottano in casi di necessità e urgenza, e i decreti legislativi che hanno una forma differente, non si applicano nei casi di necessità e urgenza ma quando una materia è molto tecnica, complessa. Il Parlamento delega al Governo il compito di disciplinare un intero settore, un’intera materia. Il Governo, attraverso i tecnici di riferimento, disciplinerà in conformità a quello che la legge delega prescrive (la legge delega definisce i principi generali) e adotterà il decreto legislativo. Tutti i codici, il codice dell’ambiente (d.lgs.152/06), il codice della strada, il codice dei beni culturali sono decreti legislativi poiché riguardano materie tecniche. Sinora sapevamo che tra Costituzione e legge ordinarie c’era un solo livello gerarchico ma oggi dobbiamo considerare l’incidenza del diritto comunitario che ormai è entrato a pieno titolo nel nostro ordinamento. Il nuovo art. 117 Cost., dopo la riforma del TITOLO V, (la collocazione è particolare perché disciplina le competenze tra Regione e Stato) dice espressamente che il potere legislativo è rimesso alle Regioni e allo Stato nel rispetto dei principi previsti dall’ordinamento comunitario. La potestà legislativa ordinaria, sia essa esercitata dallo Stato o dalla Regione, deve avvenire nel rispetto dei principi comunitari. Quindi l’art .117 Cost. ha espressamente riconosciuto, nella gerarchia delle fonti, la supremazia del diritto comunitario rispetto alle leggi ordinarie, statali e regionali, mentre la Costituzione rappresenta tuttora un limite invalicabile quanto meno nei principi fondamentali. Non è pensabile che il diritto comunitario possa incidere sui principi costituzionali. Lo dice espressamente l’art. 117 Cost. che parla di diritto comunitario, non è casuale che non parli di diritto della CE. Abbiamo già parlato dei tre pilastri. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 1° PILASTRO 2°PILASTRO 3°PILASTRO Nel primo pilastro opera il metodo comunitario, ovvero vi operano le tre comunità storiche (CEE, CECA ed EURATOM). Il metodo comunitario attiene ai settori nei quali davvero gli stati membri hanno ceduto la propria sovranità, quindi con il metodo comunitario si decidono le politiche relative alle materie nelle quali gli stati membri hanno ceduto il loro potere decisionale (pesca, agricoltura, aiuti di stato, appalti, etc.). In questi campi le comunità possono decidere al posto dello stato membro. Se una proposta passa a maggioranza, anche i Paesi contrari subiscono le conseguenze del procedimento relativo agli atti adottati. Gli stati, se la proposta passa a maggioranza, devono subire, sia se hanno votato a favore, sia se hanno votato contro. Gli atti adottati sono vincolanti (questi atti sono: regolamenti, direttive e decisioni). Nel secondo pilastro opera il metodo intergovernativo. Il secondo pilastro riguarda il PESC ovvero Politica Estera e Sicurezza Comune. Nel terzo pilastro opera il metodo intergovernativo. Il terzo pilastro riguarda il GAI ovvero Giustizia ed Affari Interni. Il primo pilastro agisce con il metodo comunitario, dove oggi agiscono due comunità. In questo pilastro l’Italia ha ceduto la sua sovranità. Il diritto comunitario dunque è quello che attiene al 1° pilastro, che viene adottato tramite direttive, regolamenti e decisioni dalle Istituzioni Comunitarie, Consiglio, Commissione e Parlamento, che sono vincolanti e assunte a maggioranza. Quando è stata adottata la direttiva che vietava allo Stato di concedere aiuti pubblici alle imprese, questa si è collocata direttamente sul secondo gradino per cui ha prevalso sulla legge che in Italia consentiva ai soggetti pubblici di dare aiuti. La caratteristica comune delle decisioni, delle direttive e dei regolamenti è che sono tutte e tre delle fonti vincolanti. L’art. 249 del Trattato sancisce che i regolamenti siano direttamente applicabili nel nostro ordinamento, cioè gli Stati membri non hanno bisogno di recepirli con una legge nazionale, il regolamento è già puntuale, dettagliato per cui opera all’interno del ns ordinamento cosi com’è. Diverso è il caso delle direttive che sono delle fonti comunitarie che vincolano gli Stati Membri rispetto al risultato da raggiungere ma non sui mezzi. La direttiva impone allo Stato Membro un obbligo, un risultato da raggiungere non definendo i modi per raggiungere tale risultato. Sui mezzi per raggiungere quell’obiettivo ogni Stato è libero di decidere il mezzo più appropriato. Tipico è il caso dell’imprenditoria femminile. Per es. ammettiamo una direttiva che dica “ obiettivo dell’ordinamento comunitario è favorire la nascita di nuove imprese che abbiano come riferimento la figura di una donna”. In questo caso spetta allo Stato Membro trovare delle agevolazioni per favorire l’imprenditoria femminile, l’agevolazione potrebbe essere l’esenzione IVA, una riduzione dell’IRPEF, ci possono essere tanti mezzi ma Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo in questo caso vengono decisi autonomamente dallo Stato Membro, l’importante è solo raggiungere l’obiettivo stabilito dalla direttiva. Ci sono però delle direttive che si chiamano sempre direttive ma che a differenza e a dispetto del loro nome, hanno un contenuto molto dettagliato, le cosiddette “ direttive self executing “, cioè che si eseguono da sole, hanno il vestito di una direttiva ma assomigliano molto di più a un regolamento e non necessitano di un particolare recepimento. Se una direttiva non viene recepita dallo Stato Membro cosa succede? Una caratteristica tipica della direttiva è contenere anche la data entro la quale essa deve essere recepita. Es. sull’imprenditoria femminile. Viene emanata una direttiva comunitaria ma lo Stato non adotta nessun provvedimento che specifica con quali strumenti si intende aiutare una donna imprenditrice. La donna in questione è tutelata? Il giudice può darle tutela? Il compito del giudice è complicato. Il massimo che può fare il giudice è cercare di intravedere nella direttiva qualche punto self executing, cioè che preveda in dettaglio qualche tutela, se per es. la direttiva specifica che ci devono essere delle agevolazioni IRPEF, il giudice può provare a dare una tutela ma se questo elemento in più non è contenuto nella direttiva, perché è una direttiva “pura” che stabilisce solo l’obiettivo e non i mezzi, la donna non può ricevere tutela. Può andare da qualsiasi giudice italiano ma nessuno le darà tutela, perché il giudice non può creare diritto. Ci troviamo davanti ad un paradosso, abbiamo una fonte comunitaria che è sovra ordinata rispetto alla legge ordinaria ma che per colpa del fatto che non ci sia una legge di recepimento, di fatto non opera. Questo problema è stato parzialmente risolto, infatti, il mancato recepimento di una direttiva nei tempi stabiliti configura una “ violazione dello Stato Membro di un obbligo comunitario". Se uno Stato non recepisce la direttiva nei tempi dovuti, cioè non prevede i mezzi per raggiungere quell’obiettivo previsto dalla direttiva, si macchia di un’inadempienza nei confronti dell’ordinamento comunitario, non rispettando un obbligo fondamentale. In questi casi scatta una “ procedura di infrazione “, la CE scopre che lo Stato non ha adempiuto ad un obbligo comunitario, (nel ns es. che non ha recepito la direttiva, in questi casi il responsabile della procedura di infrazione è la Commissione Europea) e dopo che accerta l’infrazione, sanziona pesantemente lo Stato inadempiente. Che ha fatto l’Italia? Pagava la sanzione ma continuava a non recepire, rimaneva inerte. L’ordinamento comunitario che è attento ha introdotto una novità: oltre alla sanzione iniziale, si paga ora una sanzione giornaliera per ogni giorno in cui perdura l’inadempienza da parte dello Stato Membro. In pratica la CE costringe lo Stato Membro a recepire la direttiva. Ma qui l’Italia ha fatto un “capolavoro” !!! Siccome l’Italia era in ritardo, poiché le direttive devono essere recepite con una legge del Parlamento, ha creato la “legge comunitaria” che non è altro che una legge che viene adottata una volta l’anno, unica, che contiene, dipende dagli anni, 250 - 260 articoli (quindi una legge alta quanto un vocabolario) che contiene tutte le direttive che nell’anno lo Stato italiano non è riuscito a recepire. In un’unica legge, si troveranno vari argomenti non correlati tra loro perché si tratta di un insieme di direttive che l’Italia non è stata in grado di recepire. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Molto spesso si tratta di recepimenti “ frettolosi” ed è anche successo che la Corte di Giustizia ci abbia sanzionato, nonostante fosse stata emanata questa “ legge comunitaria ” perché si era resa conto che era solo un recepimento formale, diciamo un “ finto recepimento “. Cosa accade se una direttiva o un regolamento è in contrasto con una legge nazionale? In una controversia, il giudice può disapplicare la legge nazionale perché è in contrasto con la normativa comunitaria, agisce sostanzialmente come se non ci fosse, applicando direttamente la norma comunitaria. Questa soluzione però risolve solo un caso concreto che riguarda quella causa, quella vicenda. Come si risolve definitivamente il problema? L’unico vizio che abbiamo in Italia che riguarda le leggi è l’incostituzionalità, l’essere in contrasto con la Costituzione. Si può parlare di incostituzionalità anche in questo caso poiché una legge ordinaria, in contrasto con una direttiva può essere dichiarata incostituzionale perché viola l’art. 117 della Costituzione che afferma che le leggi statali e regionali devono rispettare la Costituzione e il diritto comunitario, quindi se c’è una legge che contrasta con il diritto comunitario, essa sta violando l’art.117 Cost. Una legge può essere incostituzionale dunque anche per violazione di norma interposta, cioè per una norma che si trova in mezzo, è incostituzionale per un passaggio intermedio. Ed è proprio questo il caso di violazione di norma interposta, non si può violare il regolamento perché violandolo, si viola anche l’art. 117 Cost., quindi c’è un passaggio in più, la violazione di una norma interposta. Un altro caso di violazione di norma interposta è quello relativo ai decreti legislativi. La legge delega afferma i principi generali della materia, se il poi il decreto legislativo adottato dal Governo, oltre ad occuparsi della materia contenuta nella legge delega, va fuori strada, ci troviamo davanti al cosiddetto “eccesso di delega”, ad es. invece di disciplinare l’ambiente, disciplina anche i beni culturali, avremo che il d.lgs. contrasta con la legge delega e sarà dichiarato incostituzionale perché viola l’art. 76 Cost. che dice che il d.lgs. deve rispettare l’oggetto e i principi contenuti nella legge delega. Il ns ordinamento però è strutturato in modo che la Corte Costituzionale, che si pronuncia sulla legittimità o meno delle leggi, non è un giudice al quale si può rivolgere il cittadino. Davanti alla C.C. ci vanno direttamente le istituzioni (es. Lodo Alfano) o attraverso un normale giudizio. Durante una controversia davanti a qualsiasi giudice nazionale (es. davanti ad un giudice penale, commissione tributaria, collegi arbitrali ...) può emergere il dubbio che una norma sia incostituzionale e le parti del giudizio possono chiedere al giudice, sollevando la questione di legittimità, la sospensione del giudizio in corso e di rinviare la causa alla C.C.. Può anche accadere che sia lo stesso giudice, d’ufficio, a dubitare della costituzionalità della norma che dovrebbe applicare e a rivolgersi alla C.C. Per evitare che lo strumento di rinvio alla C.C. venga utilizzato come pretesto per una sospensione della causa, se una parte solleva il dubbio di incostituzionalità della norma, il giudice non è obbligato a rinviare alla C.C. ma deve valutare 2 requisiti: Se la questione sollevata è rilevante ai fini della decisione finale Che la questione non sia manifestamente infondata Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Se la questione che la parte sta sollevando è clamorosamente infondata, cioè si sta ponendo un dubbio del tutto inutile, perché è sicuramente costituzionale, il giudice non è obbligato a rinviare. Questo è il sistema, quello che può accadere davanti al giudice a quo. Il difetto di questo meccanismo è che fa perdere molto tempo, perché bisogna sospendere la causa ed aspettare che la C.C. si pronunci sul tema e solo al quel punto il giudizio viene riassunto sulla base della decisione della C.C. Ecco perché esiste uno strumento più veloce che riguarda il caso in cui ci sia un contrasto tra legge e regolamento o direttiva self executing. In questo caso, il giudice se non vuole perdere tempo, quindi non rinviando alla C.C., può adottare un’altra soluzione. Se il giudice è convinto che la legge statale sia in contrasto con la direttiva o con il regolamento, la disapplica ossia il giudice, se nessuna delle parti ha sollevato la questione di legittimità della norma, la mette da parte per quella vicenda. La disapplicazione attiene al caso concreto, mentre l’incostituzionalità fa sparire automaticamente la legge dal nostro ordinamento. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 5. Atti normativi: i regolamenti I regolamenti sono degli atti normativi (normazione secondaria) che risultano essere soggettivamente amministrativi. I regolamenti sono quindi degli strumenti concessi, dal nostro ordinamento, a dei soggetti amministrativi, che sono pubbliche amministrazioni, per adottare delle norme. Non si parla di leggi, perché le leggi sono una competenza del Parlamento. C’è un solo caso in cui il soggetto, diverso dal Parlamento, può adottare degli atti aventi forza di legge, è il caso del decreto legge: nell’ipotesi di necessità, urgenza, e del decreto legislativo: nel caso di materia difficile, molto tecnica; in questi casi il governo li può adottare in quanto è autorizzato dal Parlamento. Nel caso del Decreto Legge il Parlamento dà l’autorizzazione al governo nel momento in cui lo converte entro 60 giorni; Nel caso del Decreto Legislativo, la legge delega autorizza preventivamente il governo a legiferare: è l’unico caso in cui qualcuno può esercitare il potere legislativo, ovvero il potere di adottare leggi. Il potere legislativo, ovvero adottare le leggi ordinarie è diverso dalla podestà normativa, che riguarda l’adozione delle norme. PODESTA’ NORMATIVA PRIMARIA o podestà legislativa coincide con le leggi. PODESTA’ NORMATIVA SECONDARIA o podestà regolamentare coincide con i regolamenti. Il regolamento è una norma e ha quindi un contenuto generale e astratto e si pone gerarchicamente al di sotto delle leggi. Compito dei regolamenti è di specificare, delineare nel dettaglio il contenuto delle leggi stesse. La podestà regolamentare o normativa secondaria spetta alle Pubbliche Amministrazioni sia centrali che periferiche. La pubblica amministrazione per adottare un regolamento non ha bisogno di nessuna autorizzazione, in quanto è una sua competenza (podestà), e spetta a loro. Solo il potere legislativo spetta al Parlamento. Gli unici due casi in cui viene esercitato il potere legislativo dal Governo (che è una pubblica amministrazione) si hanno quando il governo è autorizzato in sede di conversione con il decreto legge o con la legge delega nel caso del decreto legislativo. Quindi le pubbliche amministrazioni possono adottare norme che sono atti a contenuto normativo (generali e astratte). ESEMPIO: esiste una legge ordinaria che disciplina la tutela dei pubblici esercizi, che contiene elementi come ad esempio, avere delle licenze diverse a seconda di voler aprire un ristorante o pub. Inoltre le licenze vengono rilasciate solo a soggetti che dimostrano di avere la proprietà di un immobile, le licenze non possono essere vendute, il pubblico esercizio dovrà essere aperto e non recare disturbo alla quiete pubblica o creare ostacolo o intralcio al traffico. Il comune di Lecce per disciplinare meglio e nel dettaglio questa materia adotta il suo regolamento sui pubblici esercizi. Questo regolamento deve specificare con riferimento al comune di Lecce alcuni aspetti di dettaglio che la legge ordinaria non ha previsto. Ad esempio può prevedere nel periodo estivo di occupare lo spazio pubblico con sedie e tavolini, arredi conformi all’ambiente in cui sono collocati, che i tavoli e le sedie devono essere rimosse in una data ora, ecc. Il regolamento del comune di Lecce può prevedere la chiusura dei locali nel centro di Lecce alle tre del mattino, ma ciò può creare dei danni ai residenti della zona. Il regolamento essendo un atto normativo Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo adottato soggettivamente dalla pubblica amministrazione, il cittadino, di fronte a questo, ha una tutela la cui competenza a giudicare il regolamento spetta al giudice amministrativo. Quindi anche se è a contenuto normativo, ma essendo adottato da una pubblica amministrazione, è competente il giudice amministrativo. Il cittadino o il titolare del pub non ha la facilità a dimostrare il contrasto con il regolamento, in quanto bisogna convincere il giudice, che la chiusura alle 23 di sera è esageratamente prudente, quindi sono degli aspetti spesso discrezionali. Caratteristica dei provvedimenti amministrativi (che sono individuali e con rilevanza verso l’esterno) è che devono essere MOTIVATI: si chiede alla pubblica amministrazione l’autorizzazione ad aprire un pubblico esercizio, la quale attraverso un suo organo, in quanto deve adottare un atto a rilevanza esterna, può rispondere con un provvedimento che può dare anche un diniego specificando il perché. Ad esempio, nel caso in cui il locale non ha le caratteristiche di sicurezza, igieniche sanitarie, ecc, in questo modo quindi si motiva il no. Nel nostro ordinamento i regolamenti NON sono motivati. Ad esempio l’ordinanza può affermare che i pubblici esercizi chiudono alle 23, senza indicare il perché. In tal caso non si può ricorrere alla motivazione. La MOTIVAZIONE è uno strumento di garanzia del potenziale ricorrente (di chi fa ricorso). La motivazione ad esempio è utile nel caso di un concorso pubblico, in cui si ha la motivazione sul perché del mancato superamento del concorso e quindi si può fare ricorso su quella parte. La legge sul provvedimento amministrativo obbliga la pubblica amministrazione a motivare i provvedimenti (che sono atti di contenuto individuale). Impugnare un regolamento davanti al giudice amministrativo è una difesa non facile, perché non si può contare sulla motivazione. Il cittadino che riceve un provvedimento negativo e vuole fare ricorso al giudice amministrativo, per annullarlo in quanto ritiene che sia illegittimo, è obbligato a farlo entro 60 giorni dalla conoscenza dell’atto lesivo, che quindi gli ha provocato un danno. Quindi, se l’atto negativo notificato è viziato, il giudice amministrativo può annullare il diniego, se il ricorso viene effettuato entro 60 giorni. Oltre tale termine il ricorso è inammissibile, e il giudice non è tenuto a prenderlo in considerazione, in quanto tardivo. Se non si fa ricorso entro il termine consentito (60 giorni), l’atto anche se viziato continua ad essere efficace. Ad esempio chi partecipa ad un concorso, può fare ricorso entro 60 giorni da quando esce la graduatoria questa è un’esigenza di certezza del diritto, soprattutto nella prospettiva di chi subisce, in quanto sa che una volta superato tale termine nessuno può più ricorrere. ESEMPIO: La legge nazionale dice che i pubblici esercizi non devono recare disturbo all’ordine pubblico. Il regolamento può dare ad esempio un orario di chiusura dei pubblici esercizi alle ore 1.00 di notte, salvo che, in ipotesi eccezionali (eventi importanti) questo potrà essere prolungato sino alle ore 3.00 del mattino. Il comune decide di autorizzare la chiusura alle 3.00 del mattino in occasione della festa S. Oronzo, notte bianca, ecc, però il comune di Lecce inoltre intravede l’eccezionalità dell’evento in quasi tutte le notti. Il regolamento lasciava un margine di ampia discrezionalità, riguardante i casi eccezionali, non specificando quando un evento è eccezionale oppure no. Il residente fa ricorso all’ordinanza, nel momento in cui il comune considera eccezionale anche l’evento, ad esempio, della “sagra dell’anguria”, e quindi i locali rimangono aperti fino alle 3.00 del mattino anche per quell’occasione. Una volta impugnata questa Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo ordinanza può succedere che il giudice amministrativo risponda che ciò che crea veramente un danno al cittadino è il fatto che il regolamento dei pubblici esercizi non prevede un orario fisso, ma prevede che in eventi eccezionali, senza specificare quando un evento è eccezionale e quando no, l’orario di chiusura diventa le 3.00 del mattino. In realtà ciò che crea lesione è il regolamento. Quindi si doveva impugnare il regolamento, ma questo doveva essere fatto entro il termine di 60 giorni e quindi il cittadino è in ritardo. Il vero problema non è quindi l’ordinanza ma è il regolamento a monte che non specifica la clausola dei casi eccezionali. Il problema dei regolamenti è: 1. la tutela in quanto non sono motivati e quindi non si conosce la motivazione; 2. se il cittadino non è attento e non impugna il regolamento che è immediatamente lesivo, ma aspetta un provvedimento che lo riguarda da vicino, non può più ricorrere in quanto questo è conforme ad un regolamento che non è più impugnabile. Il giudice amministrativo per queste ipotesi tende ad ammettere quasi sempre il principio dell’errore scusabile, in quanto il soggetto non avrebbe potuto sapere che il comune avrebbe abusato nell’applicazione dell’ipotesi eccezionale. Se il giudice accetta l’errore scusabile si può pronunciare sia sull’ordinanza che sulla clausola illegittima del regolamento, considerando come se il soggetto avesse agito tempestivamente. Ad esempio, nel caso in cui il regolamento dice che tutti i locali chiudono all’1.00 di notte, mentre quelli che si trovano in viale Lo re, fuori dal centro storico, la chiusura è prevista alle 5.00, in questo caso l’errore scusabile è più difficile, in quanto non c’è discrezionalità, un dubbio su come l’amministrazione possa interpretare l’articolo. Se invece il regolamento contiene degli aspetti vincolanti che non lasciano margine alla discrezionalità, impugno il regolamento entro 60 giorni. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 6. Regolamenti e fonti secondarie - Legge 400 del 1988 “Disciplina dell’Attività di Governo e Ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri”, in particolare l’Art.17; - Art 87 comma 5 della Costituzione. L’articolo 17 riguarda proprio i regolamenti che rappresentano delle fonti secondarie e sono una potestà regolamentare riconosciuta allo Stato e poi anche alle Regioni. Prima della riforma del titolo V del 2001 di regolamenti si occupava l’art. 87 comma 51 della Costituzione: questo articolo in particolare tratta del Capo dello Stato, a questo comma 5 fa riferimento l’attività di promulgazione ed emanazione di leggi, decreti aventi forza di legge e regolamenti. Il riferimento è ai regolamenti statali, ed è il Presidente che ha la competenza di emanarli. In realtà attualmente un esplicito riferimento alla potestà regolamentare si trova nell’art. 117 comma 6 della Costituzione: (…)La potestà regolamentare spetta allo Stato nelle materie di legislazione esclusiva, salva delega alle Regioni. La potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. I Comuni, le Province e le Città metropolitane hanno potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell'organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite.(…) Al comma 6 l’articolo riporta che la potestà spetta in modo esclusivo allo stato, la potestà regolamentare spetta alle Regioni in ogni altra materia. Comuni Provincie e Città Metropolitane hanno la potestà regolamentare in merito all’organizzazione e al funzionamento dei pubblici uffici. Quindi l’art. 117 a seguito della riforma ha modificato quelle che sono le competenze legislative tra Stato e Regioni: la potestà legislativa spetta al Parlamento e alle Regioni in via generale nel rispetto della Costituzione e delle norme comunitarie. Al secondo comma2 elenca le materie in cui lo stato ha competenza esclusiva (es. immigrazione, forze armate), cioè in queste materie elencate dalla lettera “a” alla lettera “s” può legiferare solo lo stato. Il comma terzo: la potestà legislativa concorrente spetta contemporaneamente allo stato e alle regioni, lo stato con delle norme di indirizzo chiamate anche leggi cornice o leggi quadro, poi la regione, in base alle proprie esigenze, legifererà in quelle materie. Al quarto comma viene indicata la potestà delle regioni la quale viene ricavata in via residuale, cioè lo stato rispetto l’elenco fornito nel comma 1, mentre le regioni sono competenti per tutte le altre materie. Vi è quindi una ripartizione fra competenza esclusiva, concorrente e residuale. La potestà di emanare regolamenti spetta allo stato nelle materie di legislazione esclusiva salvo delega alle regioni, quindi anche nelle materie di competenza esclusiva dello stato le regioni possono emanare regolamenti purché siano state delegate al farlo. Inoltre le regioni possono emanare regolamenti nelle proprie materie: l’innovazione è proprio questa, possono anche regolamentare nelle materie di competenza dello stato, sempre dopo aver ottenuto la delega. Quindi: prima del 2001, l’unico riferimento ai regolamenti era contenuto nell’art. 87 comma 5, era il Presidente della Repubblica che li emanava. Una cosa da tener presente è che i regolamenti fanno parte delle fonti secondarie, inoltre non possono modificare norme primarie, salvo in un caso, quello dei cosiddetti Regolamenti di Delegificazione (li vedremo più avanti). Definizione di regolamenti? Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo La definizione di regolamenti si trova nell’articolo 14 del DPR 1999 del 1971. I regolamenti sono atti formalmente amministrativi, in quanto promanati da un organo titolare del potere esecutivo, e sostanzialmente normativi, in quanto idonei ad innovare con delle prescrizioni generali ed astratte l’ordinamento giuridico. Quindi sono degli atti formalmente amministrativi però di contenuto normativo. Il problema è stabilire se per emanare un regolamento sia necessaria una copertura legislativa a monte. Su questo punto la dottrina si è divisa. Una parte ritiene che ci debba essere necessariamente una norma del Parlamento (un fondamento legislativo), aderendo così a quella concezione del principio di legalità formale: il fondamento del potere regolamentare va sempre riconosciuto nella legge, perché la legge delimita l’ambito, l’oggetto, le materie. Inoltre indica le modalità di esercizio, compresi la procedura di approvazione. I fondamenti di questo principio di legalità formale molti lo fanno rinvenire nell’art. 70 Cost.3, il quale articolo riporta che la funzione legislativa è esercitata collettivamente dalle due Camere; i fautori di questa teoria ritrovano nell’art. 70 il fondamento del principio di legalità. In dottrina qualcuno si è opposto a questa teoria sostenendo che ciò fosse valido solo prima della riforma del titolo V. Nel momento in cui l’art. 117 al comma 6 ha introdotto la potestà regolamentare dello Stato e anche delle Regioni non è più necessaria la copertura legislativa, perché è nella stessa Costituzione che si rileva il fondamento alla potestà regolamentare (prima, nell’art. 87, questo non c’era). Ora la Costituzione riporta che la potestà regolamentare spetta allo Stato e alle Regioni ciascuna nelle proprie materie, il riferimento alla Carta Costituzionale quindi avviene solo per richiamare il riparto della potestà regolamentare tra i diversi livelli di governo. L’art. 117, in realtà individua solo un riparto di materie tra la legislazione Statale e Regionale,quindi il riferimento alla costituzione riguarda solo il criterio di divisione. Nella realtà non esiste la divisione in dottrina, questa resta unanime nel rilevare la necessità di una copertura legislativa (sebbene le due teorie siano in contrasto entrambe prevedono la copertura legislativa). Quindi nell’art. 117 è previsto che anche le Regioni possono emanare regolamenti nelle proprie materie, devono però essere delegate da una legge a farlo. La delega è anche importante perché da questa dipende la tipologia di regolamento da emanare. I limiti della potestà regolamentare 1. Innanzitutto i regolamenti non possono derogare la Costituzione e né tantomeno i principi in essa contenuti; 2. essendo fonti secondarie non possono derogare né contrastare le Leggi Ordinarie, salvo il caso dei regolamenti di delegificazione; 3. non possono derogare né contrastare le fonti Comunitarie; 4. i regolamenti non possono regolamentare nelle materie coperte da riserva di legge, cioè materie che la Costituzione riserva alla legge costituzionale o ordinaria; 5. i regolamenti non possono introdurre delle fattispecie criminose né prevedere sanzioni penali. Questo perché vi è proprio una espressa riserva di legge in materia penale, art. 25 comma 2 cost.4; 6. i regolamenti emanati dalle autorità statali inferiori non possono contrastare con quelli delle autorità statali superiori ( principio di gerarchia), es.: regolamenti interministeriali non possono contrastare con quelli governativi. In realtà questi due tipi di regolamenti (interministeriali e governativi) determinano delle materie, è più un rapporto di competenza che di gerarchia; Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 7. i regolamenti non possono avere efficacia retroattiva. La legge deve anche indicare i termini entro i quali i regolamenti devono essere adottati. Qui si ha una precisazione: sono termini ordinatori e non perentori poiché ammettono dilazioni contrariamente ai perentori che non ne ammettono. Classificazione dei regolamenti statali Per questi tipo di regolamenti dobbiamo rifarci alla legge 400 del 1988. Questa legge parla dell’organizzazione amministrativa del governo centrale ed in particolare dei regolamenti, facendo una distinzione fra regolamenti governativi e regolamenti ministeriali. Analizziamo in particolare l’art. 175. Comma 1: con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei Ministri e sentito il Consiglio di Stato…(vedi nota 5). Questo comma “dice” che: il regolamento viene emanato con Decreto del Presidente della Repubblica previa deliberazione del Consiglio dei Ministri, sentito il parere del Consiglio di Stato; dopo la sigla D.P.R. segue generalmente la dicitura: “Regolamento per la disciplina…” Contiene l’elencazione delle tipologie di regolamenti governativi: a. Art.17 Comma 1 Lettera a: Regolamenti esecutivi: vengono emanati per dare esecuzioni alle leggi, ai decreti legislativi e ai provvedimenti che provengono dalla comunità europea; b. Art.17 Comma 1 Lettera b: Regolamenti attuativi ed integrativi: questi regolamenti danno attuazione ed integrazione alle leggi e recano delle norme di principio, esclusi quelli relativi a materie che sono riservate alla competenza regionale. E’ come se questi regolamenti aiutassero ad integrare o esplicare la legge; nella prassi, tra lettera “a” e lettera “b” la differenza è molto sottile, tanto che nel preambolo dei regolamenti non si indica più ai sensi di quale comma di questo articolo quel regolamento fa riferimento. c. Art.17 Comma 1 Lettera c: Regolamenti indipendenti: questi regolamenti servono a disciplinare le materie in cui manca la disciplina da parte di una legge o di un atto avente forza di legge, sempre che non si tratti di materia riservata alla legge. Sono chiamati indipendenti perché, mancando la disciplina, la materia è regolamentata soltanto dal regolamento stesso. E’ come se venisse rilasciata dal Governo una sorta di autorizzazione a emanare questi regolamenti in materie in cui manca una specifica disciplina. Anche su questi regolamenti la dottrina si è divisa, ci si chiede che tipo di fonte secondaria rappresentino questi regolamenti; sono stati individuati come delle fonti secondarie virtuali sono sempre i fautori del diritto che vedono nella legalità formale il fondamento del potere regolamentare; l’altra parte della dottrina sostiene che i regolamenti indipendenti trovano il fondamento proprio nell’ Art. 17 comma 1 lettera “c”, se sono previsti nella legge non c’è alcun problema. Ci sono poi i fautori dell’art. 117 comma 6 Costituzione: il potere, secondo questi, è riconosciuto dalla Costituzione stessa a seguito della riforma. d. Art.17 Comma 1 Lettera d: Regolamenti di organizzazione: sono quei regolamenti che possono disciplinare l’organizzazione e il funzionamento delle amministrazioni pubbliche secondo le disposizioni dettate dalla legge. L’art. 97 cost. rappresenta una delle norme in cui si parla dell’organizzazione dei pubblici uffici. Dobbiamo ricordarci che di questi tipi di regolamenti se ne parlava già dal 1926. Con la legge n° 100 del 1926, infatti, si disciplinava l’organizzazione della P.A., poi però con l’introduzione della Carta Costituzionale (1948) la disciplina dell’organizzazione dei pubblici uffici è passata all’art. 97 Cost.6. I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità. Fino al 1926 l’organizzazione degli uffici poteva essere disciplinata da un Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo regolamento. Nel 1948 venne istituita una riserva di legge, sorse quindi un problema perché i regolamenti non andavano più bene, da allora il regolamento è stato contenuto nella legge 400/88. Questi regolamenti della lettera “d” sono stati poi assorbiti nei regolamenti di organizzazione previsti dall’art. 17 comma 4 bis della legge 59/97 (Legge Bassanini). Ormai, quando si parla di regolamenti organizzativi, si fa riferimento a quelli previsti da questa legge. Comma 2: disciplina i regolamenti di delegificazione. Questi regolamenti sono quelli che possono abrogare anche delle leggi, con efficacia dall’entrata in vigore del regolamento (abrogazione differita); è l’unico caso in cui con regolamento vi è un trasferimento di alcune discipline, materie, dalla legge al regolamento. Pone anche dei limiti su questa proprietà di delegificazione: le materie non devono essere coperte da riserva assoluta dalla Costituzione, ed è necessaria una legge che permetta la delegificazione, tale legge deve fissare le norme regolatrici della materia. La stessa legge definisce l’abrogazione delle norme. Questo è l’unico caso in cui, con legge-delega, il Parlamento autorizza il Governo ad emanare un regolamento con il quale si può abrogare una disposizione di legge. Ci sono poi i regolamenti emanati dalle Regioni. La potestà regolamentare infatti spetta allo Stato e alle Regioni. Questi regolamenti regionali vengono emanati dal Presidente della Giunta (prima della riforma del titolo V la competenza di emanare i regolamenti era del Consiglio Regionale). L’art. 121 cost. è stato modificato, adesso è il Presidente della Regione/Giunta (è la stessa persona) ad emanare i regolamenti, cioè è stato eliminato il riferimento al Consiglio Regionale ed è stato fatto rientrare nelle competenze della Giunta Regionale il fondamento del potere regolamentare. Su questo articolo è dovuta intervenire la Corte Costituzionale con la Sentenza 2 del 13/01/2004 e con altre sentenze( es. 324 del 2003) al fine di chiarire la differenza tra promulgazione ed emanazione dei regolamenti. Prima il Presidente promulgava soltanto i regolamenti, il termine emana invece vuol dire che c’è una sorta di partecipazione alla formazione del regolamento stesso. Le Regioni hanno anche la potestà statutaria oltre a quella regolamentare, possono quindi dotarsi di uno Statuto (Puglia prima in Italia); visto che la Regione ha la possibilità di emanare lo Statuto con legge regionale (prima avveniva con legge costituzionale),la Corte ha deciso che è la Regione stessa che può decidere se i regolamenti debbano essere emanati dalla Giunta, dal Consiglio ecc. Generalmente però lo fa la Giunta. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo 7. Fonti dell'ordinamento comunitario e contrarietà della legge nazionale rispetto al diritto comunitario Fonti ordinamento comunitario L’ordinamento comunitario è un argomento molto particolare. Nel ’57 quando vennero istituite la CECA, l’EURATOM e la CEE, queste erano sostanzialmente delle organizzazioni tra stati fatte per l’obiettivo precipuo di creare un mercato comune in materia di energia atomica, di circolazione delle merci e quant’altro. Con il tempo questi ordinamenti hanno espanso i loro obiettivi fino a diventare ordinamenti parastatali cioè hanno obiettivi assimilabili a quelli degli stati. Si può dire che sono una sorta di terzo genere di ordinamento a metà strada tra gli ordinamenti statali e internazionali. Quindi il fatto che noi lo chiamiamo ordinamento giuridico è abbastanza strano perché l’ordinamento comunitario cioè la CE e poi l’UE sono nate come delle organizzazioni internazionali tra stati. Le peculiarità più rilevanti dell’ordinamento comunitario sono sostanzialmente: 1- l’ordinamento comunitario ci attribuisce dei diritti, più in generale delle situazioni giuridiche soggettive; 2- vi dà degli strumenti per tutelare queste posizioni davanti al giudice comunitario ( ad es. se un atto delle istituzioni comunitarie vi attribuisce il diritto di avere un’agevolazione finanziaria e magari un atto italiano emanato di lì a poco vi dice che non avete diritto a quella agevolazione, si può agire o in ambito nazionale o comunitario e si riconosce il diritto di avere quei soldi ); 3- attribuisce lo status di cittadini dell’Unione Europea, cioè posso andare in tutti gli stati membri senza dover esibire particolari documentazioni o senza dovermi fermare alla dogana per dichiarare cosa sto trasportando. Sono cittadino di un territorio nell’ambito di un territorio che non è più nazionale ma che adesso comprende ben 27 stati. Quindi è un ordinamento anomalo rispetto alle organizzazioni internazionali, ed è sempre più presente nella vita i tutti i giorni fino ad arrivare ad una compenetrazione tra l’ordinamento statale e quello comunitario. L’ordinamento comunitario ha delle fonti proprie, ha degli atti che hanno una portata precettiva cioè obbligano a fare qualcosa oppure attribuiscono la facoltà di fare qualcosa, e la caratteristica più rilevante è che nell’ordinamento comunitario c’è qualcosa che possiamo assimilare alla nostra costituzione. Il sistema delle fonti italiano si articola in: - Costituzione - Leggi - Atti avente forza di legge ( decreti legislativi e decreti legge ) - Fonti secondarie( regolamenti ) Nell’ordinamento comunitario c’è qualcosa di simile alla costituzione, cioè i trattati istitutivi della comunità europea e il trattato dell’unione europea, ma è anche vero che questi trattati sono accordi internazionali che però con il tempo sono stati caricati di un contenuto precettivo sempre più ampio fino a suggere a vera e propria costituzione dell’ordinamento comunitario. Nel trattato comunitario c’è un elencazione delle libertà fondamentali, come c’è nella nostra costituzione, una norma, che Kelsen avrebbe chiamato Grundnorm, cioè una norma produttiva delle leggi che elenca quali sono le fonti del diritto ed è l’art. 249 del trattato. Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo Al vertice delle fonti abbiamo il trattato CEE e dell’UE e accanto a questi accordi scritti c’è una serie di principi non scritti che si colloca alla stessa stregua dei trattati ( di elaborazione giurisprudenziale che ha elaborato la Corte di Giustizia ) - principio dell’affidamento - principio di sussidiarietà - principio di leale collaborazione tra le istituzioni comunitarie Questi principi non vengono espressamente sanciti nel trattato comunitario, sono stati in parte inventati dalla Corte di Giustizia e in larga parte mutuati dall’esperienza degli ordinamenti degli stati interni. Questi principi sono molto importanti perché sono espressi anche nell’art.1 della legge 241/90 che è la legge sul procedimento amministrativo che, dopo la modifica del 2005, ha espresso che l’azione amministrativa della pubblica amministrazione è retta anche dai principi dell’ordinamento comunitario.( quando all’esame ci chiedono Quali sono i principi che regolano l’azione amministrativa? Dobbiamo rispondere che sono anche i principi dell’ordinamento comunitario) I principi più importanti, per questa lezione, sono quelli dell’affidamento, della sussidiarietà e della proporzionalità ( che è quello della leale collaborazione). Il principio dell’affidamento è molto importante nell’ambito amministrativo perché il giudice amministrativo nazionale ( che di primo grado è il TAR e in grado di appello il Consiglio di Stato ) sta facendo una larga applicazione di questo principio. Che cosa si tutela con questo principio? Si tutela l’affidamento del privato cioè se io privato mi sono fidato di un certo esito dell’azione amministrativa, io posso agire davanti al giudice amministrativo per tutelare la mia posizione di interesse legittimo. Esempio Se io ho un terreno e chiedo il permesso di costruire una casa al comune, questo mi dà il permesso e io costruisco la casa e un giorno mi arriva un provvedimento di revoca del provvedimento del permesso a costruire dopo che mi era stato concesso, con questo comportamento contraddittorio l’amministrazione ha generato in voi l’affidamento nell’azione amministrativa di costruire la casa. Voi potete andare dal giudice amministrativo e impugnare quel provvedimento di revoca o annullamento a seconda del permesso di costruire e chiedere che quel provvedimento venga annullato perché ha violato il principio dell’affidamento Quindi questo principio è stato recepito in maniera forte nel nostro ordinamento e viene applicato dal giudice amministrativo nazionale. Questo per quanto riguarda i principi. Il trattato e i principi rappresentano la fonte primaria, vengono chiamate anche fonti originarie perché traggono in loro stesse la forza della loro vigenza, della loro validità e della loro efficacia. Subito dopo si collocano le fonti derivate che traggono la loro forza della loro efficacia dal trattato, menzionate nell’art. 249 de trattato CEE e si dividono in (questa non è una gerarchia, prima c’è il trattato e poi tutto il resto, prima le fonti originarie e poi quelle derivate): Mariarita Antonella Romeo Sezione Appunti Diritto Amministrativo
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