Appunti sul testo "Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e applicazioni pratiche" di Stephen M. Stahl - 2002 - usato dal Prof. Stefano Puglisi Allegra per il corso di "Psicobiologia dei disturbi del comportamento" alla Facoltà di Psicologia 1 della Sapienza anno accademico 2011/2012.
Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e applicazioni
pratiche
di Anna Battista
Appunti sul testo "Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e
applicazioni pratiche" di Stephen M. Stahl - 2002 - usato dal Prof. Stefano
Puglisi Allegra per il corso di "Psicobiologia dei disturbi del comportamento"
alla Facoltà di Psicologia 1 della Sapienza anno accademico 2011/2012.
Università: Università degli Studi di Roma La Sapienza
Facoltà: Psicologia
Docente: Prof. Stefano Puglisi Allegra
Titolo del libro: Psicofarmacologia essenziale. Basi
neuroscientifiche e applicazioni pratiche
Autore del libro: Stephen M. Stahl
Anno pubblicazione: 20021. DEPRESSIONE E DISTURBI BIPOLARI
La depressione e la mania cono gli estremi dello spettro dei disturbi dell’umore; spesso vengono intesi come
“polo unipolare” in cui i pazienti sperimentano solo il POLO DOWN/DEPRESSIVO e “polo bipolare” in
cui i pazienti sperimentano sia il POLO UP/MANIACALE che il POLO DOWN/DEPRESSIVO; tuttavia
esse possono presentarsi in concomitanza nella situazione conosciuta come “stato d’umore misto”.
Inoltre, la mania può presentarsi in grado ridotto, essendo in questo caso nota come “ipomania”, o può
esservi un passaggio così rapido dalla mania alla depressione e viceversa, da giustificare l’impiego del
termine “rapida ciclicità”.
La DISTIMIA, invece, è una forma di depressione di minore entità, ma cronica, che dura per più di 2 anni;
quando la depressione maggiore si sovrappone alla distimia si parla di “depressione doppia”.
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Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e 2. EFFETTI DELLA TERAPIA SUI DISTURBI DELL’UMORE
Attualmente si ritiene che la maggior parte degli episodi depressivi unipolari non trattati duri da 6 a 24
mesi, solo il 5-10% dei casi non trattati continuano per più di 2 anni; tuttavia la vera natura di questa
patologia prevede episodi ricorrenti e molti soggetti che si presentano per la prima volta per la terapia hanno
in realtà una storia precedente di uno o più episodi depressivi non riconosciuti e non trattati a partire
dal’adolescenza.
Vengono utilizzati 3 termini che iniziano con la lettera R per descrivere il miglioramento di un paziente
depresso a seguito della terapia con un antidepressivo:
1) RISPOSTA: significa che un paziente depresso è andato incontro alla riduzione almeno del 50% della
sintomatologia; il paziente risulta “molto migliorato”;
2) REMISSIONE: quando tutti i sintomi sono scomparsi e non solo il 50%; il paziente non sta meglio, ma
“sta bene”;
3) RIPRESA FUNZIONALE: quando la remissione persiste per un periodo da 6 a 12 mesi; il paziente è
“guarito”.
Per descrivere, invece, il peggioramento vengono utilizzati altri 2 termini, anch’essi che iniziano con la
lettera R:
1) RICADUTA: quando il paziente peggiora prima della remissione;
2) RECIDIVA: quando il paziente peggiora alcuni mesi dopo la guarigione.
Anche il decorso della malattia bipolare è caratterizzato da molti episodi recidivanti, alcuni principalmente
depressivi, altri principalmente maniacali, altri misti con aspetti concomitanti della depressione e della
mania; inoltre, alcuni episodi possono presentare una rapida ciclicità, con almeno 4 fasi up/down in 12 mesi.
Vi è la preoccupazione che i disturbi bipolari, possano essere progressivi se non controllati, ovvero, con il
passare del tempo le fluttuazioni dell’umore diventano più frequenti, più gravi e meno resposive al
trattamento.
Sebbene, in generale, gli antidepressivi risultano efficaci nel trattamento della depressione, essi non aiutano
tutti i pazienti depressi; infatti solo 2 pazienti su 3 rispondono a qualsiasi antidepressivo, mentre solo 1 su 3
risponde al placebo.
- Nei pazienti depressi che inizialmente rispondono ad un antidepressivo si verificherà una ricaduta nel 50%
dei casi, se il farmaco viene interrotto o sostituito con il placebo.
- Nei pazienti depressi che inizialmente rispondono ad un antidepressivo si verificherà una ricaduta solo nel
10-20% dei casi, se il farmaco viene mantenuto per un anno dopo la ripresa funzionale.
Rispetto agli antidepressivi con azione selettiva serotoninergica, i tassi di remissione risultano più elevati in
caso di impiego di antidepressivi o di associazioni di antidepressivi che abbiano duplice azione
serotoninergica e noradrenergica.
IN SINTESI: la depressione è una patologia che perdura tutta la vita, che facilmente presenta una ricaduta
entro alcuni mesi da un singolo episodio, soprattutto se non trattata o trattata in modo insufficiente o se i
farmaci antidepressivi vengono sospesi, e che mostra una tendenza a multiple ricadute che possono essere
prevenute mediante una terapia antidepressiva a lungo termine.
I tassi di risposta sono elevati, ma i tassi di remissione permangono deludentemente bassi, a meno che la
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Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e semplice risposta non sia presa di mira con un approccio aggressivo con singoli farmaci o con
un’associazione di farmaci che posseggano il duplice meccanismo d’azione farmacologico (serotoninergico
e noradrenergico).
Per quanto riguarda, il trattamento bipolare, il LITIO è stato il primo farmaco ad esser stato utilizzato, ma
non sembra altrettanto potente nel trattamento del disturbo unipolare.
Inoltre, hanno un’utilità nella terapia del disturbo bipolare, anche gli ANTIEPILETTICI e gli
ANTIPSICOTICI, soprattutto quelli ATIPICI.
Ma, anche gli ANTIDEPRESSIVI, quando somministrati assieme al litio o ad altri stabilizzatori dell’umore,
possono ridurre gli episodi depressivi, modificando il decorso del disturbo bipolare; anzi, essi possono far
passare il paziente bipolare, da una fase depressiva ad una maniacale, ad una mista o ad una a rapida
ciclicità.
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Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e 3. IPOTESI MONOAMINERGICA E NEURORECETTORIALE
IPOTESI MONOAMINERGICA: è la prima teoria sulla depressione che ipotizzava che la depressione fosse
dovuta ad un deficit dei neurotrasmettitori monoaminergici, in particolare della noradrenalina e della
serotonina.
Alcuni farmaci che determinavano la deplezione di questi neurotrasmettitori inducevano depressione, e gli
antidepressivi conosciuti a quel tempo (gli antidepressivi triciclici e gli inibitori delle MAO) avevano azioni
farmacologiche che aumentavano questi neurotrasmettitori.
L’idea era che le normali quantità di neurotrasmettitori monoaminergici venissero ridotte, determinando i
sintomi della depressione.
Gli inibitori delle MAO e gli antidepressivi triciclici, aumentando i neurotrasmettitori monoaminergici,
determinavano un miglioramento della depressione; i primi perché impediscono che l’enzima MAO
distrugga il neurotrasmettitore monoaminergico, permettendone quindi l’accumulo, ed i secondi bloccando
la pompa di ricaptazione del neurotrasmettitore, causandone anch’essi l’accumulo.
Questo accumulo compensa la precedente mancanza di neurotrasmettitore e attenua la depressione portando
in neurone monoaminergico al suo stato normale.
Tale ipotesi rappresenta una concezione della depressione eccessivamente semplificata, ma è stata molto
valida per focalizzare l’attenzione sui 3 sistemi neurotrasmettoriali monoaminergici di noradrenalina,
dopamina e serotonina, e comprendere, dunque, il funzionamento fisiologico di essi ed in particolare i vari
meccanismi mediante i quali gli antidepressivi agiscono per aumentare la neurotrasmissione a livello di uno
o più di questi tre sistemi.
IPOTESI NEURORECETTORIALE: questa teoria afferma che vi è qualcosa di alterato nei recettori dei
neurotrasmettitori monoaminergici; ovvero è un’anomalia nel funzionamento dei recettori monoaminergici
che porta alla depressione, nello specifico si ha un’abnorme up-regulation dei recettori post sinaptici.
Quindi, tale anomalia può essere dovuta ad una deplezione dei neurotrasmettitori monoaminergici (come
affermato dall’ipotesi monoaminergica), ad anomalie dei recettori stessi (come affermato dall’ipotesi
recettoriale) o a problemi nella trasduzione del segnale del messaggio dal neurotrasmettitore al suo recettore.
Quest’ultima ipotesi è conosciuta come IPOTESI MONOAMINERGICA DELL’ESPRESSIONE GENICA
ed afferma, quindi, che la depressione possa essere dovuta ad una pseudo carenza di monoamine per un
deficit nella trasduzione del segnale dal neurotrasmettitore monoaminergico al suo recettore postsinaptico, in
presenza di normali quantità di neurotrasmettitori e di recettori; ossia il recettore e il neurotrasmettitore sono
normali, ma la trasduzione del segnale dal neurotrasmettitore al suo recettore è in qualche modo difettosa.
Pertanto, i sistemi del secondo messaggero, che portano alla formazione di fattori di trascrizione che
controllano la regolazione genica, potrebbero essere la sede del difetto di funzionamento dei sistemi
monoaminergici, come il gene bersaglio per il fattore neurotrofico di derivazione cerebrale (BDNF), che in
condizioni normali mantiene la vitalità dei neuroni cerebrali, ma, in condizioni di stress, esso viene represso
e non sintetizzato, determinando l’atrofia e la possibile apoptosi dei neuroni ippocampali sensibili alla
mancanza del loro BDNF, questo a sua volta porta alla depressione e alla conseguenza di ripetuti episodi
depressivi, ovvero ad un numero sempre maggiore di episodi e ad una riduzione della capacità di risposta
alla terapia. Questo spiega perché i neuroni ippocampali appaiono di dimensioni ridotte e di alterata
funzionalità nel corso della depressione.
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Psicofarmacologia essenziale. Basi neuroscientifiche e