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Queste grandi opere come ogni prodotto dell’uomo veicolano
un messaggio più o meno importante, più o meno manifesto in
quanto generano un processo di comunicazione.
Nell’era contemporanea dominata dalla globalizzazione
dell’economia, dalle nuove tecnologie della comunicazione e
dell’informazione, dalla standardizzazione dei prodotti, le
qualità intangibili del prodotto insieme al processo di
comunicazione da esso attivato, sono oggi diventate ancora più
importanti per permettere di distinguersi e differenziarsi dalla
concorrenza sempre più agguerrita presente nel mercato
attuale.
Questa breve parentesi riguardo l’importanza delle
caratteristiche immateriali di qualunque prodotto nella società
contemporanea mi è servita per introdurre il core della tesi,
ossia la necessità per le grandi imprese in generale, e nello
specifico per il mio caso, ovvero per la Leica Microsystems, di
puntare sulla differenzazione tramite il marketing, per
garantirsi la sopravvivenza in un mercato sempre più
aggressivo e competitivo.
Il marketing odierno ha il compito di rendere chiari e
comprensibili i significati latenti che si vogliono comunicare
con il prodotto e di rendere efficace il processo comunicativo
che esso instaura.
Dunque con questa tesi voglio sottolineare l’importanza del
processo comunicativo che scaturisce da ogni creazione,che
ruota intorno ad ogni prodotto e che il marketing ha il compito
di gestire e rendere efficace.
Il goal della tesi riguarda il rapporto tra cliente ed utilizzatore,
la Leica e la OROTIG, ove nel loro rapporto di lavoro è stato
fondamentale l’intervento del marketing per superare una fase
di calo delle vendite avvenuta nel 2006 a causa della forte
concorrenza.
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Capitolo 1. Comunicazione e prodotto
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1.1 Comunicazione veicolata dal prodotto
È ampiamente riconosciuto che da sempre ogni oggetto, ogni
artefatto dell’uomo veicola un messaggio.
Infatti ogni oggetto possiede non solo un valore funzionale,
d’uso che dipende dalle proprie caratteristiche tangibili, ma
soprattutto è portatore di valori simbolici, sociali e culturali.
Sono le persone che investono di valore i prodotti, cioè gli
oggetti vengono dotati di senso proprio nel momento in cui
sono posseduti, utilizzati e consumati dagli individui.
Infatti i prodotti sono un mezzo attraverso cui gli individui
comunicano tra di loro, esprimono la loro identità.
La merce, così, si fa veicolo di una molteplicità di messaggi,
ma ognuno di questi messaggi deve entrare in relazione con gli
altri messaggi del sistema di consumo per poter comunicare.
Da solo, infatti, ogni messaggio non significa niente, perché il
suo significato sta nelle relazioni tra tutti i messaggi, “proprio
come la musica sta nelle relazioni delimitate dai suoni e non in
una singola nota.
Come ha sostenuto Mary Douglas, non si dovrebbe parlare del
significato del singolo oggetto e forse nemmeno più del
“consumatore”. Il centro dell’attenzione non è più costituito
dall’oggetto singolo, né dal consumatore singolo, ma dal modo
con cui gli individui organizzano gli oggetti che si trovano
attorno e il contesto in cui operano tali oggetti. Si delineano
pertanto delle vere e proprie “costellazioni di beni”, che
permettono a ciascun consumatore di classificare in categorie
cognitive le persone che lo circondano, in base al modo con cui
queste scelgono i propri beni e all’ambiente culturale che con
essi viene costruito.
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Nell’atto di comunicare, i prodotti, compiono azioni che
interagiscono con le pratiche interindividuali e contribuiscono
alla costituzione e alla trasformazione dei significati
socialmente condivisi, dei ruoli e dei rapporti di ciascun
individuo. I prodotti infatti non vengono utilizzati dagli
individui per veicolare dei significati già precostruiti e
condivisi socialmente, quello che ciascun prodotto è in grado di
esprimere si costruisce nell’ambito di un processo sociale di
costruzione di significato.
Il prodotto, inoltre, non è un semplice vettore comunicativo che
contiene e trasmette dei significati predefiniti, è invece un
testo, un soggetto concreto che si definisce nel corso della
situazione d’interazione con l’individuo.
Il suo senso va perciò ricercato nel contesto situazionale che
vede interagire simultaneamente prodotti e consumatori e
all’interno del quale si genera e incomincia a circolare
liberamente nel sociale.
E’importante sottolineare che le merci non possono entrare nel
circuito di valorizzazione economica se non sono in grado di
esprimere specifici significati; al loro senso economico deve
corrispondere necessariamente anche un senso sociale e
culturale. E’ proprio questa loro natura sociale che rende le
merci estremamente polisemiche hanno una loro propria
identità specifica, ma sono potenzialmente disponibili per
chiunque voglia appropriarsene e attribuirvi ulteriori
significati. Sono pertanto in grado di concorrere alla
produzione di un’ampia quantità di significati che variano a
seconda dei diversi contesti sociali e delle differenti relazioni
che gli individui possono instaurare con esse.
E’ stato Roland Barthes per primo a cercare di teorizzare il
senso sociale delle merci, mettendo in luce il duplice
movimento che coinvolge le merci, da un lato, in quanto
oggetti d’uso, sono sempre semantizzate perché “per il solo
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fatto che c’è società, ogni uso è convertito in segno di questo
uso”, ma dall’altra, “una volta costituito il segno, la società può
benissimo ri-funzionalizzarlo, parlarne come un oggetto
d’uso”.
Anche Katsumi Hoshino ha considerato la merce come segno,
ma sviluppando l’analisi della struttura comunicativa della
merce a partire dalla bipartizione tra il piano della denotazione
e quello della connotazione. Hoshino ha sostenuto che ogni
merce può essere scomposta in significanti, cioè gli elementi
tangibili e concretamente osservabili (tecnologia, materiali,
colori, design,…), in significati di tipo denotativo, cioè relativi
agli aspetti superficiali, tecnologici e funzionali della merce,
che rispondono ai bisogni fisici degli individui, e significati di
tipo connotativi riguardanti gli aspetti più profondi e
immateriali delle merci che rispondono ai bisogni psicologici e
sociali degli individui.
Il senso della merce ha un’esistenza virtuale sino allo scaffale
del punto vendita e si attualizza soltanto con l’atto di acquisto e
l’uso successivo.
Vari altri autori, appartenenti a diverse discipline, hanno
affrontato tali problematiche, vengono illustrati di seguito gli
studi più interessanti, in quanto sono fondamentali per
comprendere al meglio il potere comunicativo dei prodotti.
Molto importante è l’analisi di J. Baudrillard. Il sociologo
francese ha il merito di aver teorizzato che il sistema degli
oggetti costituisce un’insieme coeso e strutturato di segni,
proprio come una lingua, con una propria grammatica, sintassi
e regole combinatorie.
Gli oggetti rivestono quindi un significato sociale perché
comunicano, secondo convenzioni universalmente accettate, i
valori degli individui che li possiedono.
Il messaggio espresso dal singolo oggetto o prodotto acquista
significato solo nei rapporti e relazioni che instaura con gli altri
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messaggi, con il sistema complessivo della comunicazione
degli oggetti.
Il significato complessivo di un oggetto non può fare astrazione
dalla collocazione di quest’ultimo nel mondo ambiente,
in mezzo ad altri oggetti e dal rapporto intersoggettivo che
determina quando si pone fra persone condizionandone la
relazione.
Anche M. Douglas, antropologa contemporanea, e B.
Isherwood, economista, sostengono che per capire il significato
comunicativo dei beni bisogna considerarli all’interno del
contesto sociale globale.
Gli autori di “Il mondo delle cose” sottolineano l’importanza
del bisogno sociale di entrare in relazione con altre persone e di
disporre di materiale di comunicazione che consenta di entrare
in relazione tra loro. Tali materiali di comunicazione sono per
esempio cibi, bevande, ospitalità da offrire a casa, fiori e vestiti
per segnalare che si condivide la gioia, abiti a lutto per
condividere il dolore.
Secondo Douglas e Isherwood i beni forniscono un contributo
estremamente positivo alla vita razionale ed avanzano la tesi
secondo cui l’essere razionale non può riuscire a comportarsi
razionalmente, a meno che il mondo che lo circonda non sia
dotato di una certa coerenza e regolarità. Per continuare a
pensare in modo razionale, l’individuo ha bisogno di un mondo
intelligibile e questa intellegibilità dovrà essere dotata di
contrassegni visibili. E sono proprio i beni ad essere gli
indicatori, più o meno costosi e più o meno durevoli, di
categorie razionali.
Il comportamento del soggetto in economia implica
l’effettuazione di scelte razionali. I beni che vengono fatti
oggetti di appropriazione dichiarano in modo fisico e visibile la
gerarchia di valori di chi li ha scelti. La razionalità degli esseri
umani li spinge a dare un senso all’ambiente che li circonda,
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così l’obiettivo più generale del consumatore consiste nel
costruire un universo intelligibile con i beni che si sceglie.
L’esigenza dell’individuo di essere in grado di scegliere
razionalmente in un mondo intellegibile si può considerare
come un’ estensione del concetto di razionalità economica.(1)
L’essere umano razionale ricrea continuamente un universo in
cui può aver luogo la scelta. Dare un senso al mondo comporta
l’interpretazione del mondo stesso come entità sensibile.
Ai beni viene attribuito valore sulla base di un accordo tra i
consumatori. In tal modo gli autori vogliono sottolineare che
qualsiasi scelta tra beni è prodotta dalla cultura e insieme la
crea.
I beni che soddisfano i bisogni fisici, cibo, bevande sono
portatori di significato non meno della poesia.
Bisogna cancellare l’erronea distinzione tra i beni fisici e quelli
spirituali. Infatti gli autori sostengono la tesi che tutti i beni
sono portatori di significato, ma che nessun bene ha un suo
significato autonomo. Come una singola parola di una poesia,
utilizzata in un altro contesto, non è poetica, così un oggetto
materiale non ha di per sé un significato. Il significato sta nelle
relazioni tra tutti i beni.
Inoltre affermano che l’uomo ha bisogno dei beni per
comunicare con gli altri e per dare un senso a ciò che accade
intorno a lui. In realtà non ci sono due bisogni, ma uno solo,
poiché la comunicazione può prendere forma soltanto in un
sistema di significati strutturato.
M.Douglas e B.Isherwood utilizzano l’antropologia per
giustificare il loro rifiuto dell’approccio materialistico al
consumo. Infatti vedono i beni come un mezzo, anzi come i
fili di un velo che maschera le relazioni sociali sottostanti più
che come oggetti del desiderio. L’attenzione si rivolge, dunque,
al flusso degli scambi, di cui i beni marcano soltanto la trama.
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Il progetto del singolo di creare intelligibilità dipende
moltissimo dalle relazioni il resto della società. Egli deve
garantirsi la partecipazione degli altri ai suoi rituali ed anche la
propria ai rituali altrui.
Per l’individuo la presenza degli altri, liberamente scelta,
conferma la validità della sua scelta dei beni di consumo per
esempio adatti per festeggiare particolari occasioni.
Entro il tempo e spazio disponibile l’individuo si serve dei
consumi, delle merci per dire qualcosa su se stesso, la sua
famiglia, il luogo in cui risiede.
Nel dialogo del valore che è strettamente connesso con il
consumo, i beni presentano nel loro insieme una serie di
significati più o meno coerenti e intenzionali che sono letti da
coloro i quali conoscono il codice per ricavare informazioni.
Tanti studiosi non hanno mai dubitato del fatto che questa
funzione di creazione dei significati è lontanissima dalla
utilizzazione dei beni per il benessere personale o
l’ostentazione. Infatti Henry James nei suoi racconti fa notare
come un visitatore che vede per la prima volta una stanza può
con un’analisi istantanea individuare alcune caratteristiche
generali, molto pertinenti, della vita e della personalità degli
occupanti e del loro posto nella società. Cioè tutti gli oggetti,
nel loro insieme parlavano della personalità di coloro che li
possedevano. James ha il merito di cercare di leggere il
significato dei beni posseduti.
È necessario fondare un approccio al consumo incentrato sulla
comunicazione che consideri i beni come parte di un sistema di
informazione aperto. I beni sono neutri, ma i loro usi sono
sociali, possono essere utilizzati come barriere o come ponti.
Invece di supporre che i beni siano necessari essenzialmente
per la sussistenza e per l’esibizione competitiva, M. Douglas
ipotizza che essi siano necessari per rendere visibili e stabili le
categorie della cultura.
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È prassi normale dell’etnografia partire dal presupposto che
tutti i beni materiali siano dotati di significati sociali e
concentrare la parte principale dell’analisi di una cultura sul
loro uso come strumenti per la comunicazione. I possessi
materiali forniscono cibo e ricovero ma al tempo stesso risulta
evidente, dall’osservazione etnografica, che i beni hanno
un’altra utilizzazione importante: servono anche a creare e a
conservare i rapporti sociali. .
Un esempio è il resoconto di E. Pritchard sul ruolo del
bestiame nella vita dei Nuer, i quali definivano in termini di
bestiame tutti i loro processi e le relazioni sociali.
M. Douglas e B.Isherwood postulano che, la funzione
essenziale del consumo è la sua capacità di dare significato.
Sostengono che bisogna dimenticare per il momento gli usi
pratici dei beni cioè che essi servono per nutrirsi, vestirsi,
ripararsi; bisogna dimenticare la loro utilità per sperimentare
l’idea che le merci servono per pensare e per trattarle come se
fossero un mezzo di comunicazione non verbale per la facoltà
creativa dell’uomo.
Riguardo tali concetti è molto importante l’opera di Jean-Marie
Floch. Egli sottolinea la centralità e la priorità del senso nella
comprensione dei fenomeni comunicativi e pone l’attenzione
sulla natura testuale dei beni di consumo, sulla loro
componente immateriale, in tal modo sposta la problematica
dal consumo di un prodotto, al consumo del senso di tale
prodotto.
L’avvento dei beni immateriali nelle società industriali è stato
descritto da molti sociologi ed economisti, ma è stato utilizzato
in opposizione alla nozione di bene materiale.
Floch, da buon semiotico, evita tale semplificazione e parla di
componente immateriale dell’oggetto, ovvero, in termini più
generali, della sua natura testuale, della sua capacità di
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incorporare un senso, di comunicare attraverso le più svariate
materie espressive.
Inoltre gli oggetti essendo situati al punto di articolazione fra
produzione e consumo comunicano molte informazioni
riguardo questi due momenti. Da una parte ci permettono di
comprendere meglio l’universo della produzione, ossia il grado
d’innovazione e di tecnologia raggiunto, informazioni sulle
risorse, ricerca, materiali, attori e i loro conflitti. Dall’altra
parte, una volta che gli oggetti entrano nel circuito del loro
consumo e penetrano nella vita quotidiana, essi ci comunicano,
illuminano sui comportamenti e sui valori degli individui, sulla
realtà sociale di cui divengono una componente importante.
Perciò in virtù della loro posizione, gli oggetti assicurano la
comunicazione fra l’universo della produzione e quello dei
consumi.