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Le Br uccidono D'Antona
In una strada di Roma, via Salaria, viene ucciso con sei colpi di pistola l'avvocato Massimo D'Antona, docente di Diritto del lavoro nonché consulente presso il Ministero del Lavoro e tra i principali artefici di alcuni disegni di legge di grande importanza sia nel governo Prodi (DDL sulla regolamentazione del diritto di sciopero nel settore dei trasporti pubblici) sia nel governo D'Alema (DDL del cosiddetto "patto per l'occupazione").
Si tratta di un omicidio che, a quanto dicono, segna il ritorno in grande stile del terrorismo rosso dal momento che, alle ore 15 dello stesso giorno, giunge alla redazione del "Messaggero" di Roma una rivendicazione lunga 28 pagine firmata Brigate Rosse-Partito Comunista Combattente; rivendicazione cui tutti, inquirenti, organi d'informazione, esponenti politici danno immediatamente credito, mostrando un tempismo e una unanimità di pareri davvero sorprendenti e a cui l'opinione pubblica italiana non è certo abituata. Il fatto ovviamente provoca reazioni miste a sgomento e incredulità sia da parte del mondo politico e sindacale, quel mondo cioè a cui la vittima apparteneva, sia da parte di tutti gli altri settori della società; tutto in questo momento ci si può aspettare tranne un ritorno così clamoroso di un fenomeno che si riteneva sconfitto.
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