Si tratta di una sorta di atlante delle esperienze e delle culture che hanno caratterizzato l'industrialismo italiano. Berta disegna in questo volume il percorso della cultura industriale italiana dagli albori negli anni dieci del Novecento al declino di fine secolo.
L'Italia delle fabbriche
di Cristina De Lillo
Si tratta di una sorta di atlante delle esperienze e delle culture che hanno
caratterizzato l'industrialismo italiano. Berta disegna in questo volume il
percorso della cultura industriale italiana dagli albori negli anni dieci del
Novecento al declino di fine secolo.
Università: Università degli Studi di Bari
Facoltà: Scienze Politiche
Titolo del libro: L’Italia delle fabbriche. Genealogie ed
esperienze dell’industrialismo nel Novecento
Autore del libro: G. Berta
Editore: Il Mulino
Anno pubblicazione: 20011. Temi del testo "L’Italia delle fabbriche" di G. Berta
1.La prima prende in esame gli archetipi dell'industrialismo il mito americano l'ingegneria del fordismo
E’ un periodo che abbraccia la prima metà del Novecento. Vengono ricostruite la formazione della grande
industria italiana nei primi decenni del secolo e le posizioni che industriali e parti sindacali assunsero in
merito al modello fordista americano, all'avvio della produzione di massa, al problema delle relazioni
sindacali.
2.La seconda affronta il momento d'oro dell'industrialismo italiano negli anni del boom (1950–1970).
Si sofferma sul ruolo della Confindustria, sul ruolo dell’Intersind, sul ruolo dell’Olivetti,sul nuovo
sindacalismo Cisl definito laburismo cristiano.
E qui il riferimento è all'azione di uomini come Adriano Olivetti, Vittorio Valletta, Enrico Mattei, Angelo
Costa, Giuseppe Glisendi, all'istituzione dell'Intersind e al rinnovamento di Confindustria.
3.La terza parte narra il lungo tramonto dell’industria italiana l'esperienza dei distretti industriali l'emergere
della media impresa. Il racconto prende le mosse dall'Autunno caldo. Evoca il tramonto dell'industrialismo
accelerato da spinte centrifughe, minato dalle trasformazioni che scalzano la centralità della produzione
industriale in Occidente. E’ la crisi degli istituti e dei modelli legati alla grande industria e alle sue
dimensioni di massa. La decadenza dell’industrialismo si fa visibile man mano che la mobilitazione
economica della società si accentua e gli schemi propri delle grandi organizzazioni lasciano il posto a un
microcapitalismo capillare, capace di intridere della logica dell’impresa forme di attività e comportamenti
mentre attenua i loro caratteri industriali.
Berta prende in esame
gli archetipi dell'industrialismo
il mito americano
l'ingegneria del fordismo
E’ un periodo che abbraccia la prima metà del Novecento.
Vengono ricostruite la formazione della grande industria italiana nei primi decenni del secolo e le posizioni
che industriali e parti sindacali assunsero in merito al modello fordista americano, all'avvio della produzione
di massa, al problema delle relazioni sindacali.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 2. Gli Usa a inizio '900
Agli inizi del Novecento gli Stati Uniti divennero il Paese al mondo a più alta produttività del lavoro
agricolo e industriale.
Alla vigilia della Prima guerra mondiale la produzione americana di automobili era dieci volte più che in
tutto il resto del mondo.
I capitali industriali e finanziari Americani invasero l’Europa tra XIX e XX secolo, inaugurando la
supremazia politica e culturale americana.
Nei primi anni del XX secolo gli Stati Uniti cominciarono a essere scrutati con curiosità e invidia dagli
industriali europei.
Nel periodo in cui l’Italia sta per entrare nella Prima guerra mondiale, la direzione generale della Ford a
Torino diffonde un opuscolo che spiegava come funzionasse il metodo fordista.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 3. Il metodo Fordista
HENRY FORD è stato un imprenditore statunitense. Fu uno dei fondatori della Ford Motor Company,
società produttrice di automobili a Detroit. Era il 1908 quando la prima Ford T vide la luce, la mitica Lizzie,
così la chiamarono gli americani.
Il METODO FORDISTA, utilizzato a partire dal 1913, può essere considerato una combinazione di alcuni
elementi:
l'organizzazione produttiva taylorista la meccanizzazione dei processi produttivi (in seguito all'introduzione
della catena di montaggio) la standardizzazione dei prodotti finali.
Il taylorismo è la teoria economica dell'organizzazione scientifica del lavoro, elaborata all'inizio del
Novecento dall'ingegnere statunitense Frederick W. Taylor (1856-1915).
Essa si fondava sul principio che la migliore produzione si determina quando a ogni lavoratore è affidato un
compito specifico, da svolgere in un determinato tempo e in un determinato modo.
Qualsiasi operazione del ciclo produttivo industriale può dunque essere scomposta e studiata nei minimi
particolari. E’ questo, secondo Taylor, il compito dei manager, che sulla base delle verifiche empiriche
devono stabilire: qual è il compito specifico di ogni lavoratore; in quanto tempo lo deve svolgere e in che
modo lo deve svolgere.
Alla base vi è una netta separazione tra progettazione ed esecuzione dei compiti, ossia la separazione tra
coloro che organizzano l'attività produttiva (ingegneri ecc.) e coloro che la svolgono (manodopera
semispecializzata ecc.).
Così è possibile arrivare alla razionalizzazione del ciclo produttivo, ossia alla finalizzazione a criteri di
ottimalità economica, attraverso l'eliminazione degli sforzi inutili, l'introduzione di sistemi di
incentivazione, la gerarchizzazione interna e la rigorosa selezione del personale.
Ciò che dovrebbe, secondo Taylor, spingere gli operai a adattarsi alle nuove condizioni di lavoro è
l'incentivo economico reso possibile dalla maggiore produttività: ogni qual volta l'operaio riesce a
completare il proprio compito in modo esatto ed entro il tempo prestabilito, egli percepisce una
maggiorazione variante dal 30 al 100 per cento rispetto alla propria paga base.
L'aspetto principale, la vera 'filosofia' del metodo fordista, trasformatosi poi in un vero e proprio modello
economico, era l'idea della possibilità di una crescita illimitata, sia della quantità di merce prodotta, sia degli
insediamenti produttivi, delle fabbriche, sul territorio. Tipico sarà, infatti, il gigantismo degli impianti.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 4. L'introduzione della catena di montaggio
La catena di montaggio fu introdotta per ridurre i tempi di lavorazione e quindi per produrre di più e quindi
per contenere i prezzi dei beni prodotti.
Infatti la razionalizzazione produttiva ebbe come conseguenze il notevole aumento della quantità di beni
prodotti e la diminuzione del loro prezzo.
Alla produzione di massa fece seguito il consumo di massa.
Il lavoratore fu così ridotto a esecutore di gesti ripetitivi e rapidi tipici della produzione in serie, divenne in
un certo senso servitore piuttosto che utilizzatore della macchina.
Fu così introdotto il cottimo differenziale che consisteva in un sistema retributivo calcolato e diversificato
sulla base della quantità del lavoro svolto. Il cottimo contribuì a migliorare i salari, ma al tempo stesso
condusse ad accelerare ulteriormente i ritmi di lavoro e talvolta a creare un ambiente di esasperata
competizione tra i lavoratori stessi.
Anche l'esiguo potere d'acquisto dei redditi delle masse popolari di inizio secolo rappresentava un ostacolo.
L'industria fordista lo superò erogando alti salari e introducendo un servizio sanitario e di prevenzione nelle
fabbriche.
I lavoratori si trasformavano da produttori in 'consumatori' del loro stesso prodotto: infatti producevano una
merce e percepivano un salario adeguato per comprarla. Le merci prodotte venivano vendute a sempre
minor prezzo in forza dell'automazione e della produzione in serie, mettendo così in condizione i 'produttori-
consumatori' di acquistarne sempre di più.
I cambiamenti imposti dall'applicazione di questi nuovi schemi organizzativi incontrarono inizialmente la
resistenza dei sindacati: alla fine, con un ristretto numero di imprenditori, tra i quali Henry Ford, fu
raggiunto un compromesso che prevedeva il riconoscimento ai lavoratori di una parte degli utili derivanti
dalla razionalizzazione e dall'intensificazione del lavoro.
Il bene della fabbrica coincide con quello dei suoli lavoratori. Ecco perchè in America non ci sono sindacati.
E’ la stessa azienda a tutelare i suoi lavoratori.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 5. Il Fordismo e il primato della fabbrica sul mercato
Il Fordismo sanziona il primato della fabbrica sul mercato, dell'offerta sulla domanda. E in effetti le
fabbriche non producono quello che i consumatori desiderano comperare, ma i consumatori comprano
quello che le fabbriche decidono di produrre. Si può affermare quindi che la fabbrica produce la società.
Dunque la fabbrica è luogo centrale di decisioni strategiche: vi si decide cosa produrre, quanto produrre, con
quali tempi e con quali modi.
Ma come si pianifica la produzione in fabbrica, si può anche pianificare l'organizzazione sociale. Se la
società si identifica con essa, può essere progettata a partire da come è progettata la fabbrica. L'eventuale
disordine può essere riordinato generalizzando i principi organizzativi delle strutture di fabbrica conflitto.
L’industrialismo, quindi, consiste in un’opera di mobilitazione degli interessi e delle risorse per il
potenziamento della capacità produttiva, nella convinzione che essa conduca alla modernizzazione del
Paese.
L’industria è ben più che una forma di produzione organizzata. E’ la chiave di volta dello sviluppo, una leva
per la trasformazione della società, una forza in grado di orientare risorse e le energie disponibili. per creare
per un ordine sociale più funzionale.
L’industria è intesa non solo come luogo di produzione, ma anche come luogo su cui innestare progetti
politici di cambiamento sociale. In Europa ma soprattutto in Italia non esiste niente di tutto questo. La
convinzione ricorrente in materia di gestione aziendale è quella che l’imprenditore deve essere padrone in
fabbrica. Il suo ruolo è unico e questo fissa un discrimine sociale verso i lavoratori. Le modalità di
esportazione delle discipline di fabbrica e delle innovazioni organizzative americane in Europa e in Italia
furono lente tra gli anni dieci e trenta e accelerate dai confitti bellici e dal piano Marshall.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 6. L’industria in Italia, la nascita di Confindustria
Per quasi mezzo secolo dalla data dell’unificazione nazionale, l’Italia era rimasta in biblico fra arretratezza e
sviluppo, a causa della scarsità di materie prime e risorse energetiche, degli elevati livelli di analfabetismo e
di miseria.
Soltanto all’inizio del 1900, quando anche in Italia cominciarono a spirare i venti di una nuova congiuntura
espansiva a livello internazionale, la causa dell’industrialismo guadagnò terreno.
Confindustria
È la Confederazione italiana dell’Industria.Nasce il 5 maggio 1910 per coordinare a livello nazionale le
iniziative degli imprenditori sia nei rapporti con il governo e le amministrazioni locali, sia verso le
organizzazioni sindacali rappresentare e tutelare gli interessi del mondo industriale
La prima sede fu Torino. Poi Roma.
Quattro anni prima era nata la Confederazione generale del lavoro. Si sviluppava anche in Italia un sistema
di relazioni industriali sul modello dei Paesi europei.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche 7. La nascita della FIAT
La visita alla FIAT e l’intervista a Giovanni Agnelli formano un capitolo centrale de L’Italie au travail di
Louis Bonnefon Craponne, uomo d’affari francese che ha maturato una profonda conoscenza del sistema
economico italiano tra il 1906 e il 1914 quando è stato a capo della Lega industriale di Torino.
La FIAT (Fabbrica Italiana Automobili Torino) nasce l'11 luglio 1899 a Torino come casa produttrice
italiana di automobili, ad opera di GIOVANNI AGNELLI e di diversi altri soci. L'azienda nacque dalla
comune volontà di una trentina tra aristocratici, possidenti e professionisti torinesi di impiantare una
fabbrica per la produzione di automobili.
Dopo un primo periodo di difficile sviluppo la proprietà della casa automobilistica viene assunta quasi
integralmente da Giovanni Agnelli, che diventerà senatore durante il Fascismo e resterà a capo dell'azienda
sino al termine della seconda guerra mondiale.
Agnelli era tornato da poco dagli Stati Uniti dove si recò nel 1905 e nel 1912. Secondo lui la concorrenza in
Italia ma anche in Europa con l’America si era fatta sempre più dura a causa dell’aumento dei costi di
produzione.
Pensava che la sfida americana andasse raccolta e che ci si doveva attrezzare per cambiare il modo di
produrre. Appare evidente che l'unica via percorribile sia quella di operare in serie, attraverso la catena di
montaggio.
L’unico mezzo per poter fronteggiare la concorrenza interna e esterna, permettendo la riduzione dei prezzi,
possibile solo con un aumento della produzione è la costruzione di un nuovo grandioso stabilimento. In
questo modo si eliminerebbero le spese che comporta la distanza tra i vari stabilimenti sorti nel tempo.
Nei primi anni venti, infatti, si costruirà lo stabilimento del Lingotto, il più grande impianto automobilistico
d’Europa, modernissimo stabilimento di 153.000 mq, disposto su 5 piani.
Appena prima dello scoppio della guerra viene inaugurato anche il nuovo stabilimento di Mirafiori dove
viene iniziata la turnazione del lavoro sull'arco delle 24 ore.
La guerra in un primo momento impone la sospensione del progetto di replicare a Ford la produzione di
massa. Poi sarà proprio la mobilitazione industriale del periodo bellico, con la concentrazione di risorse che
convoglierà verso le fabbriche e l’impennata dei profitti causata dalla necessità di rifornire sempre l’esercito,
a mettere la Fiat nella condizione di tradurre in pratica le ambizioni americaniste di Agnelli(Modello T).
Lui però diversamente da Ford non pensava che la rivoluzione organizzativa si dovesse estendere anche agli
uomini. Sebbene la Fiat assocerà la forza lavoro al sistema aziendale(presupposto per la produzione di
massa) non svilupperà un legame diretto con i suoi operai.
L’esempio di Agnelli è indicativo delle attitudini industriali europee, intenzionate a captare il nucleo tecnico
e organizzativo del fordismo, ma senza l’involucro sociale entro cui Ford aveva messo la produzione di
massa.
Cristina De Lillo Sezione Appunti
L'Italia delle fabbriche