Differenti profili di consumatore attivo
Tutti sono però associati a scelte e comportamenti
Possono esistere varie combinazioni delle tre dimensioni; a seconda di quale combinazione si crea fra queste tre dimensioni, individuo differenti profili del consumatore attivo: tutti i profili saranno però associati, collegati a scelte qualificate da un lato dalla selettività (cioè sono scelte che selezionano fortemente gli oggetti, i comportamenti) e dall’altra sono scelte che riflettono modelli alternativi a quelli dominanti (è un consumatore che non indugia sull’iperconsumismo, ma fa scelte alternative, oculate).
Ciò fa sì che il consumatore attivo sia un consumatore che diffonde nuovi stili di vita, che vengono etichettati come stili di vita new global o alter global (qua non parliamo di no global, cioè di chi si oppone alla globalizzazione; il consumatore attivo non è necessariamente chi si oppone alla globalizzazione, ma è colui che investe in una diversa idea di globalizzazione):
- new global: è un movimento che propone una sorta di globalizzazione temperata, capace di ridurre i suoi effetti perversi, che investe nel controllo dei fallimenti del mercato, nel contenimento delle esternalità negative: riflette l’idea della sostenibilità;
- alter global: persegue una globalizzazione che parte dal basso, cioè che nasce come rete di comunità globali; è guidata dalla capacità di entrare in relazione delle diverse comunità del mondo, dove viene così valorizzata la differenza, dove le diverse comunità scambiano risorse in vista di sfruttare gli elementi positivi di un Mondo più integrato.
Si tratta di un campo inedito di partecipazione civile
basato sul ruolo delle cosiddette INDIVIDUALITA’ RESISTENTI.
Si tratta infatti:
- di un protagonismo in prima persona;
- fatto di gesti/pratiche quotidiane;
- di atti situati;
- basati sull’uso di retoriche condivise*.
* = condivisione per la rilevanza delle azioni = domanda diffusa dei soggetti attivi
Il consumo attivo delinea, individua un nuovo ambito di partecipazione civile basato sul cosiddetto ruolo delle individualità resistenti: nascono dal fatto che sta emergendo un protagonismo dei consumatori esercitato in prima persona, partendo dal basso, da un investimento personale per creare nuove condizioni, un protagonismo fatto di gesti quotidiani, di pratiche quotidiane come l’acquisto di un determinato prodotto al supermercato; un protagonismo fatto di atti situati, di comportamenti che prendono luogo in un certo contesto, comportamenti che possono produrre la condivisione di retoriche, cioè basati sulla condivisione di determinati valori e modelli d’azione.
La condivisione delle retoriche è essenziale, in quanto il singolo gesto di consumo attivo non produrrebbe effetti se non fosse appunto condiviso.
Questo atto di condivisione si collega ad una domanda condivisa, ad un’esigenza diffusa dei consumatori: i consumatori attivi difatti vogliono condividere con altri quelli che sono i loro valori.
Queste individualità resistenti possono prendere forma da due livelli di resistenza: la resistenza può evocare in negativo l’idea di rinuncia o di opposizione ai modelli dominanti, oppure può evocare in positivo l’immagine delle decisioni ponderate, che vengono prese considerando attentamente pro e contro.
Questa idea di resistenza si traduce sempre nella scelta di beni e circuiti di approvvigionamento alternativi a quelli degli schemi dominanti legati all’iperconsumismo.
Questo modello delle individualità resistenti pone un problema: quello dell’effettiva capacità di questi beni e di questi circuiti di approvvigionamento alternativi di produrre effettivi cambiamenti; c’è il rischio che questi circuiti e questi beni siano sovrastimati nelle loro potenzialità di cambiamento.
Abbiamo visto la figura del consumatore attivo, come esistano differenti modelli del consumatore attivo. Ora analizziamo i percorsi progettuali del consumatore attivo, cioè i suoi comportamenti.
Il consumatore attivo è parte integrante di quelle individualità resistenti, e può definirsi lungo due assi:
- il primo asse è quello più evidente della critica sociale: ha a che fare con tutte le varie proposte che segnalano l’esistenza di consumi indotti e l’emergere di derive etiche; ha a che fare con tutta la critica al consumo, alla globalizzazione e al liberismo;
- il ruolo del consumatore attivo può anche maturare sull’asse dell’affermazione del sé, in cui il soggetto costruisce in modo autonomo la propria identità ed investe nel costruire il proprio benessere.
In questo caso abbiamo individualità resistenti che scelgono modelli di comportamento alternativo proprio per perseguire l’edonismo e migliorare la propria qualità della vita, cioè ricercare un benessere non solo materiale ed economico, ma che si configura in un ben-essere, cioè in uno star bene.
Questi due assi a una prima lettura possono sembrare fra loro in conflitto, due percorsi rigidamente separati di attività del consumatore, di empowerment del consumatore: ciò non è però vero, in quanto se si va ad analizzare i risultati delle ricerche ci si accorge che queste due sensibilità sono spesso compresenti, con uno stesso consumatore che vive il suo processo di empowerment secondo questi due assi, cioè per alcuni beni secondo la dimensione della critica sociale, e per altri beni secondo una dimensione di affermazione del sé (ad esempio io consumatore mi qualifico come individualità resistente sull’asse della critica sociale nel momento in cui non acquisto palloni o scarpe da ginnastica che sfruttano manodopera infantile, però io stesso potrei rappresentarmi sull’altro asse nel momento in cui vado al supermercato ad acquistare un prodotto biologico, perché con questo vado ad esaltare una componente di benessere personale, e quindi non più una critica di come si produce il bene, ma al contrario una ricerca di qualità della vita; potrei rappresentarmi come espressione del secondo asse nel momento in cui vado a scegliere medicine alternative). Ecco quindi la complementarietà dei due assi, con il soggetto che punta a sottrarsi alle alternative dominanti.
Esistono differenti motivazioni che portano alla diffusione del consumo attivo: le due motivazioni principali sono comunque legate all’aumento dell’informazione, in quanto il consumatore ha oggi più conoscenze in merito alle caratteristiche del prodotto, della filiera produttiva, ai rischi associati a certe forme di consumo; è un consumatore più consapevole, in grado di valutare in maniera più puntuale gli effetti di determinate scelte.
Questa informazione e questa autoconsapevolezza maturano in merito ai rischi dell’iperconsumismo, e generano quindi delle prese di posizione rispetto allo stesso consumismo; queste prese di posizione hanno a che fare con diverse forme di impegno che comportano l’autodisciplina e l’autocontrollo, con però origini e manifestazioni differenziate: due sono le forme più classiche delle radici di questo autocontrollo e di questa autodisciplina:
- ha a che fare con le forme di mobilitazione sociale, che sono ancorate alle nuove modalità di partecipazione sociale, ovvero a quelle forme che nascono negli anni ‘70-‘80, forme poco ideologizzate e fortemente legate alla partecipazione individuale;
- è individuata nel cosiddetto iper-individualismo, cioè nella tendenza di ciascun soggetto a ricercare quella che è chiamata la felicità privata, cioè a porre la propria qualità della vita davanti all’interesse collettivo.
Queste due forme sono legate a fenomeni caratteristici della società contemporanea, che sono venuti stratificandosi negli ultimi trent’anni: quando parliamo di mobilitazione sociale come forme di partecipazione collettiva ci riferiamo ai fenomeni dei nuovi movimenti sociali (in particolare le istanze dell’ambientalismo, del pacifismo e il movimento delle pari opportunità) e a quelle forme legate al mondo associativo, connesse ai sindacati piuttosto che alle esperienze dell’associazionismo cattolico.
Quando invece facciamo riferimento alle radici dell’iper-individualismo ci ricolleghiamo principalmente a due fenomeni oggi largamente diffusi:
- la cultura del well-being, cioè dello star bene;
- l’altrettanto diffusa cultura new age.
In entrambi i casi, cioè tanto per la movimentazione collettiva quanto per l’iper-individualismo, si registra un interesse dei consumatori a condividere con gli altri quelle che sono le proprie esperienze, i propri valori: per questo motivo vengono a crearsi vere e proprie reti di consumo responsabile, reti che nascono come comunità virtuali all’interno della rete internet. In queste comunità il consumatore confronta i suoi giudizi, le sue informazioni e scelte con quelli di altri soggetti che si riconoscono nei medesimi valori; è proprio in queste reti virtuali che si trova quell’aggregazione delle nuove forme di socialità che si pongono alla base dell’empowerment del consumatore: possono essere comunità di marchi, ma anche più semplicemente delle comunità di informazione, cioè degli spazi dove i consumatori si scambiano notizie, informazioni per assumere maggior potere, per poter meglio tutelare i propri interessi.
Per contro possono formarsi veri e propri gruppi d’acquisto, in quanto il consumatore sente il bisogno di condividere la stessa esperienza di consumo, decidendo così di entrare in contatto diretto con un gruppo di persone che vivono nella stessa zona: questa diventa una sentita esigenza nel momento in cui si vogliono acquistare dei prodotti alternativi a quelli proposti dalla grande distribuzione, o quando si vogliono risolvere problemi di approvvigionamento a costi convenienti (in questo caso il consumatore si associa in piccoli gruppi per accedere, tramite la cosiddetta filiera corta o alternativa, ad un certo tipo di prodotto: è l’esempio del latte in polvere, in cui persone gestiscono sistemi di approvvigionamento alternativi a quelli della grande distribuzione).
Esistono su questi percorsi di empowerment del consumatore tanto dei vincoli quanto delle criticità: i vincoli sono spesso rappresentati dal prezzo (difatti l’essere un consumatore attivo è costoso: i beni biologici possono costare anche fino a otto volte di più di quelli normali, e quelli dell’equo e solidale fino a quattro volte di più).
L’altro problema è quello della reperibilità dei prodotti, spesso piuttosto limitata perché ad esempio certi prodotti sono presenti solo in certi negozi, presso certe catene, e così rendono difficile al consumatore la coerenza con i propri valori: questo è uno dei motivi per cui spesso ci si associa (difficile ad esempio recarsi tutti i giorni dal cosiddetto farmer market, cioè recarsi alla fonte dal contadino direttamente, ed è questo uno dei motivi per cui ci si associa in piccoli gruppi).
Sotto il profilo delle criticità le scelte di consumo attivo trovano limite nella tendenza della persona a conformarsi ai modelli alternativi; non sono una vera scelta di libertà, ma il consumatore decide di adattarsi ad un modello alternativo a quello del mercato globale.
Un altro problema è dato dal fatto che spesso non esiste una piena coerenza tra le innumerevoli scelte di consumo che prendono forma nella nostra vita: il consumatore come già detto prima è eclettico, cioè tende a scegliere caso per caso, e sovente combina in una sorta di bricolage forme alternative di comportamento e a volte conflittuali (è il caso di quei consumatori molto votati al biologico, attenti all’inquinamento, che decidono di andare dal contadino per gli alimenti, senza però rinunciare all’auto di grande cilindrata).
I percorsi del consumatore attivo, di conseguenza:
- rimandano ad un insieme frastagliato di pratiche;
- non sottendono necessariamente l’unità di intenti, né di ispirazioni ideologiche;
Nebulosa di riferimenti
- non possono essere considerati esempi di partecipazione politica, ma solo modalità d’uso di risorse politiche come ferme banali e diffuse di resistenza.
I comportamenti e i percorsi del consumatore attivo generano una serie di conseguenze:
- il consumatore non è spesso coerente, cioè pone in essere comportamenti, pratiche molto frastagliate: non c’è coerenza fra le pratiche;
- i percorsi del consumatore attivo non necessariamente si ricollegano ad un’unità di intenti: spesso e volentieri si mettono insieme serie di pratiche che perseguono finalità diverse. Inoltre spesso quelle pratiche che vengono definite nel consumo attivo rimandano a valori, a posizioni ideologiche fra loro altrettanto differenziate; spesso cioè non esiste coerenza nei valori guida. Si arriva a parlare di nebulosa di riferimenti, tra loro differenziati e a volte anche conflittuali;
- i comportamenti di consumo attivo non possono essere considerati come vere e proprie forme di partecipazione politica, ma solo delle risorse politiche: ciò perché è vero che il consumo attivo può essere considerato come una sorta di voto, per premiare o punire le istituzioni, ma la valenza di questo voto ha una portata molto limitata, in quanto sono comportamenti di vita quotidiana, banali, ma anche perché il voto attraverso il consumo è un’esperienza estemporanea, cioè i soggetti anche quando decidono di boicottare o sostenere una determinata istanza, lo fanno in maniera poco sistematica, cioè lo fanno se si trovano nell’occasione favorevole di poter premiare o punire.
Il consumatore attivo e le forme della solidarietà
Esiste una relazione forte, che matura in modo differenziato rispetto agli assi di impegno:
- Critica sociale
sobrietà
matrice cattolica e progressista
scelte + radicali (ascetismo)
GAS, bilanci di Giustizia, Comes
- Affermazione del sé
sostenibilità
componente ambientalistica
biologico/KM zero
dimensione etica
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Andrea Balla
[Visita la sua tesi: "Analisi delle principali tecnologie applicate al settore automotive"]
[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. Cugno
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