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Giudicato interno e giudicato esterno; preclusione, efficacia panprocessuale e autorità della cosa giudicata sostanziale

In giurisprudenza frequente è la distinzione tra giudicato interno, cioè giudicato formatosi all'interno del processo che prosegue per la definizione nel merito della controversia, e giudicato esterno, cioè giudicato destinato ad esplicare la sua efficacia fuori del processo in cui è formato.
Il giudicato interno concerne tutte le questioni astrattamente idonee a definire il giudizio, di rito o di merito, rilevabili d'ufficio o solo su istanza di parte, che possono insorgere nel corso del processo e che possono dare luogo a sentenze non definitive ovvero possono costituire oggetto di esame preliminare da parte della sentenza che definisce il giudizio.
Il dire che sulla questione si determina una preclusione o un cosiddetto giudicato interno, nulla dice però in ordine all'idoneità o no della decisione ad avere efficacia vincolante anche fuori del processo nel cui corso è stata emanata; nulla dice, cioè, in ordine all'idoneità o no della decisione a sopravvivere all'eventuale estinzione del processo e ad esplicare o no efficacia vincolante nel secondo processo in cui sia riproposta la stessa domanda.
Il nostro ordinamento, disponendo all'art. 3102 c.p.c. che all'estinzione del processo sopravvivono solo le sentenze di merito e quelle che regolano la competenza, mostra univocamente di aver optato, quanto meno come regola generale, a favore della soluzione secondo cui il giudicato interno su questioni di rito non sopravvive all'estinzione del processo.
A questa regola generale fanno eccezione:
- le sentenze che "regolano la competenza", cioè le sentenze della Corte di Cassazione pronunciate in sede di regolamento di competenza;
- le sentenze pronunciate dalla Corte di Cassazione ha sulla giurisdizione a seguito di regolamento di giurisdizione o di ricorso per Cassazione;
- le sentenze che rigettano la domanda per difetto di legitimatio ad causam attiva o passiva.
Alla stregua delle scelte operate dal nostro diritto positivo, segue, pertanto, che:
- le pronunce dei giudici di merito sulle questioni di rito, comprese le questioni di giurisdizione e di competenza, hanno piena idoneità a dar luogo al cosiddetto giudicato interno, cioè ad avere efficacia vincolante all'interno del processo in cui sono state emanate precludendo che sulla questione possa riaprirsi la discussione; sono prive invece di qualsiasi efficacia vincolante nel secondo processo che sia instaurato a seguito della riproposizione della domanda;
- le pronunce della Corte di Cassazione sulle questioni di giurisdizione e competenza, pure essendo anch'esse prive di autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c., hanno invece la più limitata efficacia panprocessuale, cioè efficacia vincolante nei successivi processi in cui sia riproposta la stessa domanda;
- le pronunce dichiarative di difetto di legittimazione attiva o passiva hanno un’efficacia preclusiva esterna.
Il giudicato interno, quindi, ha una portata più ampia del giudicato esterno.
Oggetto di giudicato interno possono essere non solo statuizioni relative a diritti ma anche statuizioni relative a meri fatti, nonché statuizioni relative a mere questioni di rito.
Oggetto di giudicato esterno possono essere, invece, solo o statuizioni relative a diritti, o statuizioni relative a questioni di competenza e/o di giurisdizione emanate dalla Corte di Cassazione, o statuizione dichiarativa del difetto di legittimazione attiva o passiva.
Ancora consenso tra la dottrina e la giurisprudenza sussiste in ordine al seguente punto: ove una questione sia rilevabile d'ufficio in ogni stato e grado del giudizio, ed abbia costituito oggetto di esplicita statuizione da parte del giudice di primo o di secondo grado, il giudice d’appello o la Corte di Cassazione non possono riesaminare d'ufficio la questione, ma possono esaminarla solo se relativo punto della decisione ha costituito oggetto specifico di impugnazione; in caso contrario, infatti, sulla questione si forma giudicato interno con conseguente preclusione.
Molto più problematica è la soluzione di altre questioni, quali soprattutto:
- l'idoneità o no delle statuizioni della Corte di Cassazione su questioni di rito, diverse dalle questioni di competenza o di giurisdizione, a sopravvivere all'estinzione del processo, e ad avere efficacia (sempre cosiddetta panprocessuale) vincolante nei successivi processi in cui sia riproposta la stessa domanda;
- l'idoneità o no delle statuizioni dei giudici di merito su meri fatti o su fatti-diritti o anche su diritti diversi da quello su cui si basa rapporto di cui è parte o su cui si fonda il diritto fatto valere in giudizio e di cui non sia stato chiesto l'accertamento con autorità di cosa giudicata ai sensi dell'art. 34 c.p.c., a sopravvivere all'estinzione del processo nel cui corso furono emanate e ad esplicare efficacia panprocessuale vincolante nei successivi processi in cui sia riproposta la stessa domanda, o addirittura autorità di cosa giudicata sostanziale ex art. 2909 c.c.;
L'idoneità o no del passaggio in giudicato di sentenze non definitive di merito a precludere nell’ulteriore corso del giudizio le questioni di giurisdizione o di competenza rilevabili d'ufficio, ma di fatto non rilevate.

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