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Le caratteristiche dei racconti giudiziari

Le caratteristiche dei racconti giudiziari

I racconti giudiziari vengono dunque considerati con sospetto, e con buoni motivi. Tutti sanno che questi racconti sono improntanti alla retorica dell'egoismo, e tutti sanno altresì che a onta dei limiti procedurali intesi a raffreddarli, e malgrado imponenti sforzi per contenerne la retorica, queste cose influiscono sul giudizio finale. La verità è che i racconti giudiziari non sono e non saranno mai presi per buoni. Quindi la nostra fiducia sul modo in cui il procedimento legale li sterilizza deve essere fondata su qualcosa di profondo. Un elemento può ad esempio essere la nostra fede nel confronto come mezzo per arrivare al fondo delle cose: la procedura legale standard offre agli avvocati l'opportunità di controinterrogre i rispettivi testimoni, di impugnare i loro racconti e di produrre alternative plausibili, garantendo tuttavia che il confronto rimanga nei limiti dell'educazione. Del resto gli avvocati possono obiettare a certe domande e risposte ma è il giudice ad avere l'ultima parola. Questo gioco fra partigianeria egoistica alla sbarra e proceduralismo imparziale al seggio del giudice sembra essere ciò che desta in noi la sensazione di avere avuto il nostro giorno di giustizia. Questo gioco è del resto è il responsabile della tensione drammatica in quelle scene tribunalizie tanto care agli scrittori.
Un secondo elemento è altrettanto importante, ed è ciò che forma il nucleo del common law: il concetto di precedente, espressa dalla solenne frase latina stare decisis. Per prevalere i racconti giudiziari devono venire concepiti facendo molta attenzione a quei casi del passato che erano simili a quello presente e sono stati giudicati favorevolmente alla propria interpretazione.
Alla luce di ciò è ancora più chiaro quanto poco affidabile sia la fiducia nel sistema legale. Eppure questa fiducia c'è. Perché? Cosa dà al cittadino la sicurezza che l'oro della verità sarà setacciato dalle scorie tendenziose e retoriche dei racconti giudiziari? La risposta è chiara: la legittimità. La legittimità del diritto si fonda sulla tradizione, sulla persuasione consolidata che in tribunale si avrà giustizia, che si sarà trattati come prima sono stati trattati altri. Contribuisce fortemente a questa illusione la ritualità del processo e il suo linguaggio specialistico che assicura, come diceva Lon Fuller, la moralità interna del diritto.
Basta questo? Forse no. Forse ciò che legittima veramente la narrativa giudiziaria a onta della sua retorica egoistica è il tipo di racconto, visibilmente familiare, che dà la sicurezza che la legge appartiene ancora alla gente e non solo ad odiosi avvocati e stolidi giudici. La perorazione narrativa rimane per l'uomo della strada il portale per l'arcano reame del diritto. C'è in effetti uno stretto legame tra narrativa giudiziria e narrativa letteraria. Anche se gli avvocati nelle loro cause tendono sempre a non raccontare storie ma fatti, lo fanno comunque creando effetti drammatici che avvicinano loro ai cugini scrittori, che viceversa puntano allo straniante, ma per fare ciò devono partire dai fatti. Ci sarà un motivo se gli Ateniesi si trasferivano nelle aule giudiziarie prima degli Eschilo, dei Sofocle e degli Euripide! Vani furono i tentativi di Giustiniano di fornire un codice legislativo uniforme, basato su sé stesso, sulla jurisgenesis, perché per quanto lo sottoponiamo a procedure e sterilizzazioni, il diritto non può essere visto in maniera efficace quando in disaccordo con una realtà locale. Sarà per questo che il diritto (il common law) non può fare a meno della narrativa? Perché ricerca la continuità nei particolari e non l'universalità mediante deduzione da regole giuridiche astratte?


Tratto da PEDAGOGIA GENERALE di Gherardo Fabretti
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