La miskita e l'autonomia giurisdizionale
PATRIMONIO COMUNE E SERVIZI COMUNITARI. La libertà di dotare le istituzioni comuni mediante legati testamentari appare chiaramente in un documento del 1293 di Giacomo d'Aragona. Un certo Jacob Darey di Barcellona muore a Palermo e lascia per testamento l'obbligo di acquisto di alcune botteghe i cui censi avrebbero finanziato una istituzione per la salvezza della sua anima e il re raccomanda gli ufficiali di Palermo di verificare la correttezza dell'operazione. L'istituzione è la miskita, la casa di preghiera e assemblea. Essa è al centro della vita comunitaria e luogo di riunione del consiglio. Questo edificio comportava una serie di costruzioni annesse, indispensabili alla vita collettiva: bagno rituale, aula scolastica, ospedale con letti per gli ammalati, macello, fondaco e camera mortuaria.
I testamenti rivelano inoltre come la società ebraica fosse organizzata in servizi pubblici volontari per fare fronte alle necessità dell'aiuto sociale, della carità e al dovere di seppellire i morti. Di solito questi servizi venivano svolti da associazioni o istituzioni che ricevevano donazioni ma non tutti i lasciti caritatevoli venivano a loro destinati. La carità aveva comunque una forte connotazione politica e le associazioni potevano farsi teste da ponte di proteste sociali di vario tipo presso la comunità.
L'AUTONOMIA GIURISDIZIONALE. La competenza e l'autorità di un tribunale comunitario è attestata dai documenti notarili che riportano le procedure e le sentenze passate nella Sinagoga. La sfera dell'autonomia è abbastanza ampia da implicare pene severe, a volte persino corporali e forse anche la pena di morte in casi eccezionali. Comunque si trattava sempre di punire crimini che violavano la legge mosaica ed è chiaro che l'autonomia giudiziaria ebraica era inesistente nel caso di querele da parte di un cristiano o dal fisco.
Da dove proveniva l'autorità di questi giudici, detti dayeni? I conflitti scoppiati dopo la nomina di maestro Mosè de la Bonavoglia alla carica di giudice supremo, mostrano la complessità delle relazioni tra il loro potere e la giustizia regia, delegata alle città o ai tribunali ecclesiastici. C'erano comunque rapporti ambigui tra la giurisdizione autonoma, fondata sulla legge mosaica, e le diverse delegazioni dei poteri supremi del re e del resto lo stesso codice del tribunale e la figura del giudice possono essere messi in discussione. C'è un aperto conflitto contro la normativa pignola rabbinica e l'influenza da loro assunta a danno della gestione democratica della comunità.
LA DIFESA E L'APPLICAZIONE DELLA LEGGE DI MOSÈ. L'applicazione delle pene comminate contro le trasgressioni è una delle poche vie che permettono di cogliere le gerarchie e i valori comuni tra sapienti e autorità comunitarie. Il mancato rispetto del sabato e delle feste sembra la dissidenza più grave e viene severamente punita con la frusta o le mutilazioni. La difesa della monogamia è un altro tema ricorrente ma è chiaro l'attaccamento popolare alla bigamia o alla poligamia rispetto alle leggi formulate dai rabbini. C'è dunque un elevato contrasto tra le usanze e le aspirazioni dei difensori della legge e la cosa si fa chiara soprattutto quando Martino nel 1393 conferma alcune usanze della comunità mal viste dai rabbini.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Gherardo Fabretti
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- Università: Università degli Studi di Catania
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Storia medievale
- Docente: Clara Biondi
- Titolo del libro: Arabi per lingua, ebrei per religione
- Autore del libro: Henri Bresc
- Editore: Mesogea
- Anno pubblicazione: 2001
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