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L'economia degli ebrei di Corleone (1375-1420)

NEL CUORE DELLA SICILIA: L'ESEMPIO DI CORLEONE. Lo studio approfondito di questo borgo nell'intervallo temporale che va dal 1375 al 1420 permette di valutare il ruolo degli ebrei nell'economia locale. Corleone ad esempio era lontana dai porti di esportazione del frumento ma risolse egregiamente l'handicap trasformandosi in centro di allevamento del bestiame. Ne risulta un grosso mercato di cuoi e pellami, alimentato anche dalla caccia.
L'analisi di circa ottante vendite chiarisce poi il ruolo degli artigiani e ne sottolinea la funzione di intermediari nel mercato corleonese. I conciatori ebrei forniscono la materia prima di pellame in quasi la loro totalità e pur senza instaurare un vero e proprio monopolio, la preparazione delle pelli li porta ad assicurarsi la raccolta al macello e presso i cacciatori.
Il mercato dei cuoi permette anche di identificare una categoria originale di mercanti locali, che sono soprattutto tecnici, artigiani esperti in mestieri difficili e sporchi, che si trasformano in esportatori qualificati in relazione con i mercati ebrei di Palermo. Gli ebrei di Corleone dunque partono dalla posizione di specialisti del cuoio per poi occupare un ruolo notevole in tutti i rami.
Analizzando una ventina di contratti per la vendita di prodotti finiti, arriviamo a conclusioni ancora più certe per quanto riguarda il legame tra artigianato e commercio. I vestiti già tagliati e cuciti, le cortine del letto, le fodere di materasse, che costituiscono la base di ogni corredo matrimoniale, sono un monopolio quasi totale dei mercanti ebrei.
Il commercio al dettaglio di prodotti alimentari viene svolto dai cristiani ma le importazioni di olio d'oliva, tonno salato e ferro passano principalmente da mani ebraiche. L'artigianato dell'abbigliamento è il motore del mercato locale e illustra i meccanismi dell'accaparramento e io ruolo fondamentale degli artigiani agiati sul mercato. L'orbace, un tessuto di lana mediocre e di prezzo modesto, è una produzione domestica e i produttori ne accumulano grandi pezzi, finanziano la tessitura e forniscono la lana.
La lettura degli atti notarili non consente di accertare, a Palermo come a Corleone, alcun monopolio del prestito a interesse. Non possiamo nemmeno stabilire con certezza quali operazioni quotidiane possano essere ricondotte all'usura. La definizione legale di un prestito connota come “usura” quel prestito particolare che supera il tasso d'interesse del 10% ma i prestiti di denaro sono rari, spesso camuffati e l'esistenza di veri e propri uffici di prestito è documentata solo a Randazzo.
Comunque la partecipazione degli ebrei agli acquisti anticipati e alle vendite a credito era comunque attenzionata dalla giustizia. I prestiti vengono spesso camuffati come anticipo di denaro agli artigiani, come società e come acquisti anticipati di prodotti agricoli. Sembra una decisione matura e cosciente avere voluto evitare a tutti i costi che la comunità ebraica siciliana si dedicasse ad una attività ben proficua ma di inevitabile rischio politico e insostenibile problema religioso. In Sicilia l'esercizio dell'usura rimane sempre una attività dispersa e di minore importanza. Non si trova certo il monopolio ebraico dei prestiti collettivi a comunità urbane e rurali e neppure un'evidente partecipazione agli indebitamenti delle municipalità. Non esistono nemmeno grandi imprese bancarie e i cosiddetti bankerii ebrei sono in realtà soltanto cambiavalute.
Il commercio minuto si chiamava grascia ed è ben descritto nei capitoli della Giudecca del 1491, dove è ritagliato un posto particolare agli ebrei “poveri” che comprano formaggi, caciocavalli, olio, tonno salato ecc... per rivenderli al mercato. I merciai di Palermo dispongono di una vasta gamma di prodotti.



Tratto da STORIA MEDIEVALE di Gherardo Fabretti
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