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I vizi della volontà: l'errore


L’errore è rilevante quando è essenziale e riconoscibile.
Il suo trattamento è identico sia nell’ipotesi di errore che si manifesta nella formazione della volontà (cosiddetto errore vizio o errore motivo) sia nell’ipotesi di errore nella manifestazione della dichiarazione (cosiddetto errore ostativo).
L’errore di calcolo dà luogo solo a rettifica, tranne l’ipotesi di errore sulla quantità.
La rettifica consente alla parte che non è caduta in errore di evitare l’annullamento, prima che all’altra possa derivarne pregiudizio, eseguendo il contratto in modo conforme al contenuto e alle modalità che quella intendeva concludere.

Rilevanza dell’errore

Se prima si dava rilievo alla scusabilità della falsa rappresentazione della realtà, oggi assume valore l’essenzialità e la riconoscibilità come manifestazioni di un principio di affidamento che esclude possa aver rilievo un errore rimasto nella sfera soggettiva dell’errante.
Il primo segnale di questo mutamento si ha nella equiparazione di due diversi tipi di errore.
Si era in passato bene attenti a separare l’errore ostativo dall’errore motivo: il primo cade sulla dichiarazione, sicché la dichiarazione non corrisponde al volere del dichiarante e la volontà non è solo viziata, ma addirittura mancante (e si capisce come in passato si ravvisasse in tal caso un difetto assoluto di volontà e la conseguente nullità del contratto); il secondo tipo di errore incide sulla formazione della volontà, che esiste ma si forma in modo errato rispetto al soggetto, l’oggetto o il contenuto.
Il codice del 1942 equipara le due forme e distingue fra un errore di fatto, che cade su un elemento materiale del regolamento, e un errore di diritto, che concerne l’esistenza, l’applicabilità o la portata di una norma imperativa o dispositiva.

Tratto da DISCIPLINA GIURIDICA DEI CONTRATTI di Stefano Civitelli
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