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La politonia del film


La soggettivazione indica qui semplicemente la presenza dell’enunciatore rispetto ai contenuti, oppure il suo ritrarsi. Questa opposizione naturalmente è gradualizzata e può essere espressa in termini di forza illocutiva d’assunzione e di distacco ironico o di smarcamento argomentativo. In Wild at Heart assistiamo a una tematizzazione dell’assunzione enunciazionale demarcata dal brano musicale 1m Abendrot di Strauss.
La drammatizzazione di un tramonto (di un’estinzione) è l’incorniciamento che include prologo e persino finale stucchevole del film; è insomma un meta-incorniciamento, che oppone dei valori propri a quelli impropri, declinati lungo il corpo centrale del film e che riguardano la forma di vita di protagonisti e antagonisti. L’assunzione dei valori di quella musica che drammatizza il “tutto fuoco” è correlativa, a un livello di incorniciativo subordinato, di una reiezione dei valori narrati, lasciando il profilo discorsivo del film, lungo il suo svolgimento, sospeso tra un’impersonalità fuorclusiva (non assunzione dei valori) e un’impersonalità inclusiva (non reiezione dai valori enunciati). Ciò costruisce una stratificazione di toni (tra le cornici enunciazionali e il narrato.) e una politonia dove s’avvicendano atteggiamenti enunciazionali “deboli”, che fanno sentire lo spettatore ora come incluso ora come fuorcluso dagli stereotipi e dalle sensibilizzazioni che attraversano il film. Ciò genericamente costruisce quella sensazione che il film proceda di per sé, come un giocattolo variopinto, per il resto privo di prese di posizione. Le cose non sono però evidentemente così banali. La politonia interroga lo spettatore, gli slittamenti da esclusione/inclusione e viceversa provocano una sorta di interrogazione della possibile soggettivazione o della totale desoggettivazione dei valori fruiti lungo la visione del film. Non bastasse, la ripulsa degli estremi (un prologo di violenza gratuita, un finale di inedita caramellosità) finisce con il costruire un ponte tra l’assunzione enunciazionale principale e le ceneri del viaggio infuocato e fiabesco dei protagonisti.
Mentre il tono globale si accorda in risonanza con il tramonto dei sogni, quello locale si sintonizza su qualche stazione radio, prodiga di canzoni, o su qualche scena di genere. L’impersonalità del tono sottende talora l’improbabilità di quanto ci mostra (i. fuorclusiva), talaltra la sua plausibilità (i. inclusiva). In alcuni casi i percorsi passionali risultano estranei e inaccettabili, in altri li sentiamo corrispondere a un modo d’essere, ancorché non pienamente assunto enunciazionalmente.
Se si tiene conto di questa complessa distribuzione dei toni, nonché del sofisticato lavorio figurale che abbiamo descritto in precedenza, ecco allora che quella che appariva a prima vista come un’ambiguità costitutiva del film si rivela essere invece una piattaforma discorsiva che re-gistra uno specifico traffico argomentativo e un dissidio di toni co-occorenti che purtuttavia mira a pervenire a un raffinamento isotopico assumibile da parte dell’istanza dell’enunciazione che regge l’intera opera. Nel caso specifico di Wild at Heart i toni locali restano impersonali e non solo non divengono concorrenziali del tono enunciazionale reggente, ma compartecipano incidentalmente a raffinarne l’isotopia.

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