Prospettive sghembe e cuore selvaggio
La palla di vetro di Marietta in cui vede ciò che accade a distanza, gli specchi deformanti in cui Sailor si mira mentre accetta lo stupido piano di rapina architettato da Bobby Perù, l’acqua che sembra filtrare la visione di Sailor mentre è abbagliato dalla visione della strega buona, sono tutte delle sottolineature di un ragionamento figurativo ambiguamente rivelatorio. La palla di vetro è una bomba innescata pronta a far saltare la vita dei due protagonisti, la deformità dell’immagine speculare, colta mentre Perù parla, ci “vede” benissimo (rivela l’astrattezza del-l’idea di sé che Sailor si è forgiato nel tempo), la strega buona mostra la via per “sposare” definitivamente il sogno.
Sailor confessa alla strega buona di avere un cuore selvaggio (ammette con ciò di essere un ladro e un assassino), ma questa gli suggerisce di combattere per i propri sogni e di non fuggire dall’amore. Non a caso la visione della strega buona è indotta a suon di pugni ricevuti. E il fuoco interiore è momentaneamente purificato dall’acqua che filtra la visione e dai baci che i due (Sailor e la strega buona) si “soffiano”.
La ragazzina protagonista del Mago di Oz (Dorothy) doveva cercare un posto in cui non potersi cacciare nei guai, ma l’interdizione a volare troppo con la fantasia viene contraddetta dal mandato di scovare un posto che non c’è. Così, il viaggio nel mondo di Oz non è che il viatico della comprensione che nessun posto è bello come casa propria, malgrado sia sottoposto alle avversità della natura (il sogno di Dorothy nasce dalle conseguenze di un colpo alla testa ricevuto per via di un ciclone che si è abbattuto proprio sull’abitazione in cui vive).
Ben lungi dall’essere solamente un quadro di citazioni, il rinvio al Mago di Oz è, contrastivamente, l’esibizione di una forma di vita contemporanea inassimilabile al modello originario, per cui anche il sogno non funge da ricongiungimento con i valori della vita, ma è solo un sistema di ponti, di posticcia estraneazione, che si tengono saldi per la durata di una canzone. Gli aiutanti magici sono una banda di delinquenti, la fatina buona una proiezione kitsch di un’innocenza mai avuta, e ciò che si conquista al termine del viaggio è una proposta di matri-monio, sotto forma di canzone, in mezzo al traffico di un’arteria cittadina qualunque, e senza nemmeno una casa in cui tornare. A commento del finale vi è ancora il lied di Strauss che aveva aperto il film; non si può così credere all’happy end anche per il “tramonto” che la musica ri-porta in gioco. Tutto il film, dopo l’incendio dei titoli di testa, non è che un flash-back sui fuochi fatui che illudono di essersi fatti una vita.
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