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Dittatura del proletariato in Marx



C’è però da sottolineare un’altra cosa: parte del guadagno dell’imprenditore sarà speso da lui per acquistare altre macchine più efficienti. Succederà così che più sofisticate saranno le macchine meno lavoro ci sarà per l’operaio che dovrà compiere movimenti sempre più semplici e ripetitivi, perdendo la capacità di compiere un lavoro compiuto. Per questo motivo quell’operaio sarà costretto sempre di più a svendere la propria forza-lavoro e ad essere retribuito sempre meno, mentre l’imprenditore si arricchirà in maniera esponenziale. È per questo motivo allora che Marx odia la proprietà privata, intesa come la proprietà dei mezzi di produzione da parte di singoli uomini, che solo perché hanno avuto la fortuna di possedere un minimo di capitale hanno potuto arricchirsi sulle spalle degli altri. A Marx allora piacerebbe che i mezzi di produzione li possedesse lo Stato: esso distribuirebbe così in maniera più equa le ricchezze del paese. In realtà egli sostiene che la rivoluzione della classe operaia sarebbe prima passata per un periodo di dittatura del proletariato che si sarebbe risolta in uno sviluppo della libertà e delle capacità umane che avrebbe permesso la diminuzione delle ore di lavoro e una ricchezza pianificata, uguale per tutti dove il motto doveva essere: “A ciascuno secondo il suo lavoro”. Addirittura Marx auspicava una società senza Stato, in grado di gestirsi autonomamente e il motto così sarebbe diventato: “Ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

Tratto da STORIA DELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEA di Carlo Cilia
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