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L’opera seria


Nel Settecento tanta varietà e tanto disordine finiscono per non essere più compatibili con il razionalismo che si afferma nella cultura e nel gusto e si provvede separando nettamente il comico dal serio, potando gli eccessi del meraviglioso tematico e scenico, posizionando meglio le arie dentro le scene.
Mentre l’aria si definisce in forme simmetriche e chiuse, il recitativo perde i residui contatti con le forme solistiche e si assimila più decisamente al dialogo tragico in versi sciolti. La continuità dell’azione è assicurata dalla permanenza in una scena di almeno uno dei personaggi di quella precedente, con un gusto per l’ordine e la credibilità formale proprio del secolo.
Ma il melodramma sembra chiamato ad adempiere anche a un’altra funzione far rivivere la tragedia classica in forma conveniente alla sensibilità e alla ideologia settecentesche. La forma congrua doveva venire da un rinnovato incontro ed equilibrio di due linguaggi, quello verbale e quello musicale, con il secondo incaricato non solo di potenziare il primo, ma anche di anticipare fin da subito quegli sviluppi sereni e ordinati che solo in conclusione le parole rendevano espliciti nel lieto fine. Lo spettatore settecentesco traeva diletto ed edificazione da un dramma che, dopo aver variamente complicato le trame della vita narrata e aver minacciato la rottura di equilibri ed equità, ristabiliva infine un ordine e una giustizia che la regolarità delle musiche e dei profili melodici annunciava fin dal primo istante.

Tratto da DA MONTEVERDI A PUCCINI di Anna Bosetti
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