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I criteri di ammissione delle prove nel processo penale


Il giudice deve seguire dei criteri di ammissione delle prove, infatti deve ammettere la prova quando essa è pertinente o quando vi sia anche soltanto il dubbio che possa essere rilevante e non sovrabbondante; deve essere preclusa la prova vietata dalla legge.
Ciò comporta per il giudice il dovere di motivare l’ordinanza che rigetta la richiesta di ammissione, nel pieno del rispetto del diritto alla prova.
L’impugnazione contro l’ordinanza potrà essere proposta soltanto unitamente a quella contro la sentenza.
Le prove contrarie, ricordiamo, non dovevano essere inserite nelle liste testimoniali: il momento delle richieste di prova costituiscono il momento ultimo per chiedere l’ammissione della prova contraria.
La prova può essere definita contraria quando tende a negare l’esistenza del fatto affermato dalla prova principale.
La prova contraria è, per legge, pertinente; occorre accertare soltanto se essa è rilevante, e cioè se è idonea a formare un elemento di prova.
Dopo che le parti hanno formulato le proprie richieste di prova, il presidente informa l’imputato che egli ha la facoltà di rendere in ogni stato del dibattimento le dichiarazioni che ritiene opportune, purché esse si riferiscano all’oggetto dell’imputazione e non intralcino l’istruzione dibattimentale.
Queste dichiarazioni spontanee sono un atto diverso dall’esame dell’imputato; la differenza consiste nel fatto che l’imputato non si offre al controesame della parte avente un interesse opposto e pertanto non rischia di essere messo in difficoltà dalle domande della controparte.
Il codice sancisce la preclusione derivante dalla mancata presentazione della lista dei testimoni, cioè ove il nome del singolo dichiarante (testimone, imputato connesso, perito o consulente tecnico) non sia stato inserito nella lista, la richiesta di sentirlo in dibattimento è inammissibile.
Tale sanzione processuale ha lo scopo di permettere alle altre parti di esercitare il diritto alla prova contraria.
Tuttavia, il codice attenua il rigore della sanzione dell’inammissibilità in quanto ammette che il giudice possa acquisire le prove non indicate nella lista quando la parte che le richiede dimostra di non averle potute indicare tempestivamente.
A parte il caso appena visto, le parti che non abbiano adempiuto all’onere di presentare le liste possono ancora chiedere l’ammissione di prove, tuttavia non hanno il diritto di ottenere un provvedimento il tal senso, poiché la loro richiesta è subordinata al potere discrezionale del giudice di ammettere le nuove prove quando esse siano assolutamente necessarie per accertare il fatto storico.
Il giudice decide sulle richieste di ammissione delle prove senza ritardo con ordinanza.
L’acquisizione concordata di atti di indagine è consentita anche in corso di dibattimento in quanto è una forma dialettica alternativa al contraddittorio.
Nella categoria della prova contraria rientrano quelle che vengono definite prove ex adverso.
Si tratta di quelle prove che diventano rilevanti soltanto all’esito dell’escussione delle prove orali.
Ciò avviene, ad esempio, quando il testimone A afferma di non essere mai stato in una determinata piazza in un dato giorno, mentre la controparte può indicare una fonte B (ad esempio una foto) dalla quale risulta il contrario.
Quest’ultima prova diventa “rilevante” soltanto quando il testimone A nega l’esistenza di un determinato fatto; pertanto l’ammissione della fonte B può essere richiesta soltanto dopo che si è verificata l’escussione della prova A e questa abbia dato un determinato risultato.

Tratto da INDAGINI PRELIMINARI, PROCESSO E SENTENZA di Stefano Civitelli
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