Mediatori di memoria e cittadinanza attiva nella missione statunitense in Iraq
Proprio riflettendo sull’informazione in guerra si conclude questa breve panoramica su alcuni dei mediatori di memoria che hanno offerto all’opinione pubblica americana gli strumenti per mettere in dubbio le motivazioni e la bontà della missione statunitense in Iraq, maturando un senso critico nei confronti di questa operazione militare.
Queste fonti hanno avuto il merito di rivelare informazioni non trasmesse dai media tradizionali e occultate dalla propaganda di governo; hanno permesso ai normali cittadini di conoscere l’opinione e il lavoro dei soldati inviati all’estero e dei funzionari addetti al governo di occupazione.
Lo sforzo documentario, della testimonianza, della divulgazione di contenuti che svelano gli interessi tutt’altro che politici della classe politica è compito degli intellettuali di ogni tempo. È d’altra parte compito dei cittadini informarsi ed interessarsi della vita politica del proprio Paese, per esercitare il proprio diritto – dovere di controllo sui propri rappresentanti. Solo attraverso l’interazione tra chi produce contenuti critici e chi li vuole conoscere si possono creare movimenti di pensiero in grado di provocare cambiamenti culturali all’interno dell’opinione pubblica e influenzare le scelte politiche di un Paese.
Siamo nell’epoca del Web 2.0 che ci permette, come abbiamo visto, reportage continuamente aggiornati dai fronti di guerra; abbiamo, rispetto al passato, l’enorme vantaggio di poter utilizzare un medium ancora relativamente libero dalle pressioni economiche e politiche cui sono soggetti i media tradizionali, un mezzo che permette un’interazione costante tra emittente e ricevente, in cui appunto gli schemi comunicativi tradizionali non hanno più senso: ognuno è allo stesso tempo lettore ed autore.
Il potere – si sa – sta nel controllo della comunicazione. Se Internet è l’infrastruttura che meglio rappresenta il nostro tempo, i governi stanno iniziando a temerlo e a volerne limitare l’utilizzo per la diffusione del pensiero indipendente. È quello che sta accadendo ora con wikileaks: i politici di tutto il mondo ci hanno messo in guardia contro il rischio che la messa in circolazione di informazioni segrete potrebbe mettere in difficoltà le relazioni tra Paesi e minare la pace (?) mondiale.
Se nessuna delle informazioni rivelate finora sembra mettere davvero in pericolo la sicurezza del globo, come cittadini possiamo e dobbiamo invece riflettere sul fatto che il rischio maggiore che corriamo quotidianamente è che ci venga nascosta la verità sulle guerre che paghiamo e subiamo. Wikileaks, da questo punto di vista, diventa uno strumento utilissimo per chiedere alla classe politica una maggiore trasparenza.
Se la verità (parziale) sulla guerra in Iraq è emersa faticosamente nel corso di un decennio, è stato perché i nostri governi hanno il potere - e soprattutto credono di avere il diritto - di censurare le informazioni a disposizione della società civile. La speranza è che, con Wikileaks, i governi non possano più essere sicuri di poter mantenere i cittadini all’oscuro delle loro decisioni.
Le leggi costituzionali difendono il diritto di parola e di espressione. A noi il dovere di difenderlo, di ricordare ai nostri rappresentanti eletti che tra noi potrà esserci sempre qualcuno disposto a fare dei leaks e che, come cittadini attivi, saremo sempre più wiki.
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Autore:
Isabella Baricchi
[Visita la sua tesi: "Il mondo di Padania. La costruzione dell'identità fra capi, guerrieri, fattrici e scudieri"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Teorie della Comunicazione
- Esame: Modelli di comunicazione storica nel Nord America
- Docente: Elena Lamberti
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