L'esperienza di ammazzare i civili
Una delle esperienze più forti da accettare per i militari in guerra – soprattutto una volta rientrati in patria - è quella di trovarsi in situazioni in cui viene dato l’ordine di sparare su civili inermi. Del resto, come nota D. Grossmann nel suo On Killing: The Psychological Cost of Learning to Kill in War and Society, la percezione del pericolo che proviene dall’esterno, in una situazione di guerra, è assolutamente enfatizzata e porta anche a vedere come minaccia ciò che in una situazione di normalità non sarebbe percepito nello stesso modo.
Perché avete ricominciato a sparargli? [a un civile inerme] – Horrocks disse che lo avevano fatto perché qualcuno aveva urlato che il tipo aveva un’arma e quindi tutti avevano ricominciato a fare fuoco
Fino ad allora l’unico conflitto a fuoco del mio plotone era stato quello contro il povero iracheno che probabilmente stava andando a lavorare e magari aveva sull’auto un adesivo con scritto DIO BENEDICA L’AMERICA
Ero sconcertato dall’idea che stessimo attaccando una moschea. Mi dicevo: ma non è una di quelle cose vietate dalla convenzione di Ginevra?
Ho pensato cosa avrebbero pensato a casa vedendomi con un’arma puntata contro due civili… Gli prenderebbe un colpo.
Gli dissi anche che mi facevo dei problemi perché non tutti quelli a cui avevo sparato oggi avevano un’arma in mano […] ho messo gli avvenimenti di quel giorno in una scatola, l’ho chiusa con il coperchio e da allora non l’ho più riaperta.
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Autore:
Isabella Baricchi
[Visita la sua tesi: "Il mondo di Padania. La costruzione dell'identità fra capi, guerrieri, fattrici e scudieri"]
- Università: Università degli Studi di Bologna
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Corso: Teorie della Comunicazione
- Esame: Modelli di comunicazione storica nel Nord America
- Docente: Elena Lamberti
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