La propaganda politica in "Mad Men"
Il tema della propaganda politica è ricorrente, specialmente nella prima serie, trasmessa negli Stati Uniti nel 2007 e molto apprezzata dalla critica (tanto da vincere per tre volte consecutive - nel 2008, 2009 e 2010 - il Golden Globe per la migliore serie drammatica): i pubblicitari di Madison Avenue si trovano di fronte al gravoso incarico di condurre la campagna elettorale in favore di Richard Nixon, e questo tema ricorre quale filo conduttore di tutte le 13 puntate della prima stagione (in particolare, a questo proposito, si può sottolineare il dodicesimo episodio, emblematicamente intitolato “Nixon contro Kennedy”). I protagonisti incontrano grandi difficoltà nello svolgere questo compito, in quanto essi si trovano, per la prima volta, a dover condurre una campagna elettorale: ciò significa, infatti, coniugare le logiche della politica con quelle della comunicazione. É interessante notare il confronto a distanza fra i protagonisti e i pubblicitari di un’agenzia concorrente, al servizio di Kennedy: questi ultimi sembrano più “abili” nell’interpretare il loro ruolo, e si osserva l’introduzione, da parte loro, di strumenti comunicativi che oggi potrebbero sembrare semplici o addirittura obsoleti, di fronte a un’attuale capacità propagandistica che può usufruire del web 2.0 e di risorse di ultima generazione come Facebook o Twitter, ma che dovevano risultare assolutamente innovativi all’epoca dei fatti messi in scena. Basti pensare ai jingles che mettono in musica gli slogan pro-Kennedy, che in un primo momento fanno sorridere con sufficienza i protagonisti, ma che poi vengono riconsiderati alla luce della loro novità e capacità di attrarre l’attenzione del pubblico televisivo. Non è un caso che il background socioculturale scelto per Mad Men sia quello degli Stati Uniti al tempo delle elezioni presidenziali del 1960: il ruolo della comunicazione televisiva, andando ad osservare la realtà, fu assolutamente fondamentale in quell’occasione. Infatti, alcuni sostengono che siano state queste le prime elezioni nelle quali il vantaggio finale del candidato vincente sia stato deciso dal duello televisivo che oppose i contendenti pochi giorni prima delle elezioni: Kennedy riuscì a prevalere perché più telegenico, accattivante e sicuro di sé, mentre Nixon fu penalizzato dal colore della giacca e dal suo volto tirato e sudato, per il suo stato di salute non ottimale (nelle ore precedenti era stato colpito da una forte febbre) e per il rifiuto di ricorrere ai truccatori (si veda il sito del Museum of Broadcast Communications: https://www.museum.tv/eotvsection.php?entrycode=kennedy-nixon). Su questo stesso tema si articola un recente film, Frost/Nixon, diretto da Ron Howard e uscito nelle sale cinematografiche nel 2008: ambientato nel 1977, mostra i preparativi e lo svolgimento della famosa intervista a Richard Nixon da parte del giornalista David Frost sullo scandalo Watergate che aveva portato, tre anni prima, alle dimissioni del presidente Nixon dalla Casa Bianca. L’elemento “spettacolare” - intendendo con questo termine tutto l’apparato scenico, il posizionamento delle telecamere, i minuti a disposizione, l’ordine degli argomenti da trattare, le inquadrature e le luci - diventa fondamentale per l’esito dell’intervista almeno quanto il contenuto delle domande poste all’ex presidente Nixon.
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Dettagli appunto:
- Autore: Luca Porcella
- Università: Libera Univ. Internaz. di Studi Soc. G.Carli-(LUISS) di Roma
- Facoltà: Scienze Politiche
- Corso: Sociologia
- Esame: Sociologia della Comunicazione
- Docente: Michele Sorice
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