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Tre fasi del Concilio di Trento


Si può dividere il concilio di Trento in 3 fasi:
1. Tra il 1545 e il 1547: le delibere conciliari riguardano soprattutto le questioni teologiche. I decreti relativi a tale materia furono 5  e si riferirono ai punti che erano stati oggetti della riforma di Lutero: l’origine della fede; la verità delle sacre scritture stabilita dall’autorità pontificia; il peccato originale; la giustificazione e i sacramenti. Questa prima fase fu segnata dalla dialettica tra 2 modi diversi di concepire la riforma della chiesa: il papa la intendeva come sbarramento dell’eresia protestante, Carlo V come ultimo tentativo di pacificazione religiosa. La dura sconfitta inflitta da Carlo V alla lega dei principi luterana (1547) parve segnare un punto a favore della chiesa cattolica ma l’ingresso dell’Inghilterra nell’orbita protestante, dopo la morte di Enrico VIII e l’affermazione della chiesa anglicana furono un duro colpo per il papato. Il concilio che dal 1547 al 50 fu paralizzato anche per un conflitto al suo interno sulla questione della sede in quanto Paolo III voleva trasferirla a Bologna.
2. Tra il 1551 e il 1552. Il successore di Paolo III, Giulio III riapre il concilio. In questa seconda fase vi fu la partecipazione ma poco significativa dei protestanti. La ripresa del conflitto tra l’imperatore e Enrico II indusse a chiudere dopo poco più di un anno quest’altra fase. L’unico intervento di rilievo fu a proposito dell’eucarestia in quanto venne ribadito il dogma della transustanziazione. Con Paolo IV la controriforma intesa come offensiva contro l’eresia e riforma disciplinare del clero, entra nella sua fase più acuta: gran parte degli strumenti di attuazione di questo modello controriformisti furono approntati da Paolo IV al di fuori del concilio.
3. Tra il 1562 e il 1563: Pio IV decise di riconvocare il concilio. Fu perfezionato il progetto di definizione dottrinale e disciplinare della chiesa cattolica. La più ardua questione era l’origine del potere episcopale sulla quale si scontravano 2 tendenze: chi attribuiva solo al papa la fonte del potere dei vescovi o chi ne faceva discendere l’autorità dal sovrano statale (francesi, spagnoli e imperatore). A Trento fu stabilita una via intermedia: i vescovi dipendevano dal papa ma avevano l’obbligo della residenza e la corresponsabilità era definita su mandato divino. Il concili di Trento pervenne a conclusioni importantissime che influenzarono non solo la vita della chiesa e delle comunità cattoliche tra la seconda metà del 500 e la prima metà del 600 ma anche il rapporto tra poteri religiosi e poteri civili. I livelli principali su cui operò il concilio furono 4:
L’ordinamento della materia dogmatica e sacramentale
L’affermazione decisa della giurisdizione ecclesiastica e l’allargamento della sua sfera d’influenza
La disciplina del clero
L’organizzazione delle forme, della pietà e della religiosità popolare.

Gran parte di queste materie furono, nei decenni successivi a Trento, oggetto di numerosi interventi pontifici, attraverso le bolle di attuazione dei decreti conciliari. Da questo punto di vista il concilio non si concluse nel 1563 ma si protrasse oltre nel tempo. Pio IV e poi Pio V contribuirono a definire la materia del rapporto tra chiesa e stato. Le due dimensioni della sovranità papale (quella ecclesiastica e quella del potere temporale, trovavano una loro nuova traduzione nel Tridentino e soprattutto nella bolla In cena domini, oggetto di scontro tra il papato e gli stati che non potevano accettare la tendenza della chiesa a estendere a dismisura la sua giurisdizione e interferire nelle competenze statali. Con il concilio di Trento veniva affermandosi un modello di stato della chiesa non dissimile sul piano di organizzazione e della logica amministrativa interna da altri stati europei contemporanei.

Tratto da LE VIE DELLA MODERNITÀ di Filippo Amelotti
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