Appunti utili per l'esame di - Antropologia visuale - Ci si sofferma in particolare sulla fotografia, sul cinema, sul videotape e sui sistemi video-informatici in rapporto con la ricerca etnografica e la riflessione antropologica.
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva
di Marianna Tesoriero
Appunti utili per l'esame di - Antropologia visuale - Ci si sofferma in particolare
sulla fotografia, sul cinema, sul videotape e sui sistemi video-informatici in
rapporto con la ricerca etnografica e la riflessione antropologica.
Università: Università degli Studi di Messina
Facoltà: Scienze dell'Educazione
Corso: Scienze della Comunicazione
Esame: Antropologia visuale
Docente: Francesco Faeta
Titolo del libro: Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva
Autore del libro: Francesco Faeta
Editore: Franco Angeli
Anno pubblicazione: 20101. Guardare, vedere, osservare, rappresentare, per un'etnografia
visiva
Per produrre un'etnografia visiva, cioè una descrizione tramite mezzi visivi di un contesto o di un evento
antropologicamente significativi, si deve prima costruire attraverso un'attività complessa, un campo di
osservazione, e poi da questo, tramite mezzi tecnici, estrarre immagini.
La critica decostruzionista o postmoderna, ha messo in luce la stretta relazione che intercorre tra descrizione
e interpretazione. Descrivere non è un'attività neutra, come si tendeva a pensare, ai tempi della separazione
gerarchica tra etnografia ed etnologia (o antropologia), ma fortemente connotata in senso autoriale, essendo
fondata sulla visione e sull'osservazione, sull'opinione di un soggetto misurante e sulle regole comunicative
e le convenzioni retoriche proprie di un medium, per il cui tramite questi esprime la propria idea del mondo.
Il discorso etnografico dunque non è oggettivo, considerando che i cosiddetti dati empirici della realtà altro
non sono che visioni e interpretazioni; ma non è neppure, al contempo, pienamente soggettivo, dipendendo
da una pratica d'osservazione e dovendo rispondere alle regole e alle convenzioni, predeterminate e
restrittive di un mezzo, in particolare della scrittura, adeguandosi insomma alle regole di un genere
letterario.
L'autorialità si costituisce come punto di raccordo tra coscienza soggettiva e leggi della comunicazione e
l'interpretazione è il luogo d'incontro e scontro, articolato nel tempo, nello spazio e nelle concrete dinamiche
storiche e politiche, tra realtà sensibile e autorialità.
Malgrado alcuni acuti lavori di individuazione della componente visiva nell'attività etnografica ed
antropologica, l'analisi decostruzionista ha puntato essenzialmente sulla scrittura, sul mezzo attraverso cui,
cioè, in genere, un'etnografia si dispiega e ordina, piuttosto che sull'osservazione, sulla pratica di terreno,
cioè attraverso cui si costruisce il dato. Quest'ultima si è eretta a oggetto d'interesse di un settore circoscritto
della disciplina, quello appunto antropologico-visuale.
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva 2. Il settore e lo sguardo antropologico-visuale: l’Evoluzione
Eppure, l'osservazione precede nel tempo la scrittura e contribuisce alla formazione del prodotto finale in
modo rilevante. Senza voler entrare all'interno della questione intorno alle priorità tra percezione e pensiero,
con le ricadute di ordine ermeneutico che essa comporta, nell'intento di costruire un modello concettuale
adatto alle nostre discipline, occorre scomporre il campo d'attività che convenzionalmente indichiamo con il
termine osservazione, in tre livelli.
• A un primo livello le informazioni vengono percepite dall'occhio, secondo un processo di tipo biologico (
L'OCCHIO GUARDA). Occorre marginalmente rilevare come l'occhio abbia la capacità di percepire
comunque il mondo sensibile. Siamo in grado di ricevere stimoli visivi non soltanto da oggetti sconosciuti,
ma da oggetti sconosciuti e anche in condizioni di coscienza limitata. Maurice Merleau-Ponty, nel suo
lavoro di revisione sistematica degli assunti della psicologia classica, teorizza l'esistenza di un livello
percettivo dello sguardo, la maggiore anzianità di quest'ultimo rispetto al pensiero.
• A un secondo livello le informazioni vengono riconosciute e immesse in reti di significato culturale (
L'OCCHIO VEDE). Quest'attività è complessa e presuppone processi diversificati di conoscenza. Vi è
innanzitutto un riconoscimento, l'assunzione di un oggetto a segno di se medesimo; vi è poi l'elaborazione di
un orizzonte sincronico di relazione per cui l'oggetto acquista senso in rapporto al sistema spaziale nel quale
è inserito e ad altri oggetti; vi è infine il riconoscimento di una dimensione diacronica per la quale l'oggetto
si pone in relazione con il tempo e appare quale sintesi operante delle sue esistenze passate e future, di
quanto cioè non possiamo percepire in toto, ma prefiguriamo con il sostegno di conoscenze ideologiche ed
archetipiche.
• A un terzo livello le informazioni visive così elaborate in forma di conoscenza sono inserite all'interno di
una prassi continua e finalizzata (L'OCCHIO OSSERVA). L'osservazione dunque è una pratica visiva tesa a
mettere in relazione gli oggetti e gli eventi secondo i tracciati testè enunciati, all'interno di un campo di
interazione sociale storicamente definito al fine di produrre rappresentazioni della realtà. Osservare significa
in sintesi, vedere in situazione e per un fine (culturale, sociale o politico). L'osservazione è un'attività
caratteristica della realtà moderna e si pone in opposizione rispetto a forme di visione, più o meno
caratterizzate in senso metafisico o contemplativo; l'osservazione è in altre parole, l'esatto contrario della
visione estatica e trascendente: suo fine precipuo è inoltre la produzione di immagini.
Se dunque l'attività di osservazione si connota nel modo appena richiamato, ben si comprende come
un'attenta analisi dei suoi processi appai centrale.
L'etnografo molto spesso non riconosce l'oggetto che si offre al suo sguardo, che è presupposto come
estraneo. Naturalmente occorre distinguere tra diversi scenari operativi e tra diverse pratiche. La pratica di
terreno europeo a esempio comporta per l'etnografo europeo o comunque occidentale un minor grado di
estraneità visiva rispetto a quella extracontinentale. L'etnografo in tal caso si muove in un mondo che
riconosce, in linea di massima, e può assumere nella sua identità costitutiva, anche se possono restare in
ombra gli orizzonti sincronici e diacronici in relazione; colui che naviga in modi più esotici viaggia in una
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva realtà ben altrimenti irriducibile.
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva 3. L’etnografia, oggi
L'etnografo di oggi certamente conosce più cose del mondo e al contempo ha cessato di stupirsi nel senso di
prestare un'attenzione responsabile all'oggetto della sua visione, un'attenzione assai lontana da ogni estasi e
rapimento, ma che propizia attraverso la sorpresa e la folgorazione l'assunzione dell'oggetto stesso nella
prospettiva di vita del soggetto riguardante.
Malgrado tali differenze la pratica etnografica in sè comporta a prescindere dagli oggetti concreti su cui si
esercita, un grado di estraniazione intrinseca e tendenzialmente radicale; si può fare etnografia di un
contesto quotidiano e familiare, com'è noto, al fine di sottoporlo a una serrata critica culturale, ma
quest'ultimo si inaugura proprio con una serrata critica visiva, ovvero con un processo di allontanamento e
temporaneo disconoscimento dell'oggetto.
Nella condizione di estraniazione ciò che appare allo sguardo può divenire segno, trasformarsi in dato
etnografico, grazie a codici di riferimento che, in primo luogo non sono visivi e in secondo luogo non
provengono dalla realtà osservata ma da un insieme vario ed eterogeneo di conoscenze preesistenti.
La percezione di un elemento rituale ignoto ad esempio non è agevolmente riconosciuta ovvero non è
assunta a segno di se medesimo. L'osservatore deve infatti innanzitutto azzerare professionalmente i suoi
orizzonti di riferimento e riconoscimento. Attraverso lo sguardo si sa, così, che si sta tagliando un “Pezzo”
ma non si sa vedere cosa realmente accade. Le immagini che l'occhio raccoglie significano all'interno di un
orizzonte di funzionalità di tipo percettivo (raccontano un taglio) che è ancora inadeguato a portare info
culturali, a trasformare lo sguardo in visione.
Si può sostenere ancora, alternativamente, lo sguardo con informazioni, desunte da libri o altre fonti, che si
riferiscono al tema, procedendo così a un riconoscimento improprio, di tipo deduttivo, del rituale stesso.
Entrambi questi procedimenti, in particolare il 2°, sacrificano lo sguardo, asservendolo a mezzi conoscitivi
diversi, dando origine a una forma di conoscenza pregiudiziale che è simile a quella dell'etnografia pre-
scientifica. Illustra efficacemente tale processo uno studioso, Claude Melliassuox, egli ricorda come certi
tratti originati dalla diretta osservazione dei fenomeni, derivino “non da un difetto della percezione oculare,
ma da un pregiudizio e da un vizio di ragionamento”, e si realizzino tramite un procedimento di associazione
permutante del pensiero che egli definisce ASPER. Con ciò il soggetto vede non quello che la realtà
sensibile offre allo sguardo ma quello che egli sa, o può, o vuole vedere. L'etnologo in effetti, ricorda Kilani,
non rivolge mai uno sguardo completamente nuovo alle realtà che gli si presentano, poiché la sua visione del
nuovo è sempre guidata da un modello preesistente e si realizza nella reiterazione di esperienze precedenti.
L'etnografia e l'antropologia dunque a ben riflettere non sono state sin qui così visualiste come
comunemente si ritiene. Se è vero che si sono servite della vista e dell'osservazione diretta, che hanno
costruito una forma di conoscenza condizionata da un campo gestaltico, che in nome della vista e
dell'osservazione hanno ritenuto, comunque, di dover affermare la loro credibilità scientifica, non è vero che
le conoscenze che hanno acquisito siano state costruite in modo determinante tramite la vista. Lo sguardo,
proprio per la sua ontologica difficoltà a misurarsi con il contesto estraneo, ha portato all'interno della
pratica etnografica materiali semilavorati che sono stati poi manipolati e rifiniti tramite e attraverso
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva strumenti percettivo-cognitivi diversi. L'osservazione è stata in realtà un TOPOS ideologico che indicava in
modo riassuntivo processi disparati e discontinui che non transitano sempre soltanto per l'occhio.
Nell'ambito delle correnti riflessive si è avvertito il bisogno di messa in discussione del paradigma
visualista.
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva 4. La revisione necessaria: la proposta di Faeta
Faeta sostiene che occorra una radicale revisione del paradigma visualista che insieme lo potenzi e lo
sottoponga a regole nuove.
In tale prospettiva è necessario in primis restituire pienezza allo sguardo dell'etnografo, ridagli un'effettiva
capacità di trasformarsi in visione. Per far ciò è opportuno rimettere il percepito al suo flusso segnico,
addestrarsi a cogliere cioè l'oggetto all'interno del suo sistema, a guardare le cose con gli occhi dei nativi,
nel presupposto implicito che questo custodiscano una radicale diversità di visione e d'immaginazione.
Ma ciò significa che non si può considerare lo sguardo preliminare nel rapporto etnografico e che bisogna
transitare propedeuticamente attraverso un processo alfabetizzazione visiva. Durante questo, come si
apprende una lingua, si apprenderanno i significati elementari della visione, le regole e gli ordini segnici
propri del terreno. Di fronte all'universo visivo altrui comunque occorre porsi con piena umiltà,
imparandone le regole prospettiche e le leggi visive. Non si può dimenticare infatti che le nozioni di vicino e
di lontano o di alto o di basso, quelle di orizzonte, di volta celeste, di spazio orizzontale e verticale, le
concezioni assonometriche e prospettiche mutino profondamente da cultura a cultura e da società a società,
siano fortemente condizionate dagli ordini sociali e politici vigenti, determinino infine, un'organizzazione
complessiva della visione e conseguentemente un'idea delle rappresentazione del tutto peculiari.
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva 5. Bateson: il “vedere” ciò che si guarda
Come ricorda Bateson, quasi tutti in effetti presumono di vedere ciò che guardano e questo perchè i
processi percettivi sono del tutto inconsci.
La conoscenza e la comparazione linguistica possono divenire determinanti per rischiarare ordini concettuali
diversi e per illuminare, per contrapposizione, zone oscure della realtà. Analogamente deve accadere per la
vista. La conoscenza di un sistema visivo diverso, dei suoi interni ordini di relazione e significato, la
comparazione con il nostro, portato alla luce, può consentire di accedere a ordini logico-formali di non
immediata esperibilità.
I mezzi audiovisivi possono grandemente agevolare il processo di revisione critica dell'osservazione sin qui
delineato. La fotografia in particolare consente una critica dello sguardo di notevole efficacia: tra gli
strumenti di alfabetizzazione visiva occupa un posto privilegiato.
La fotografia, permette innanzitutto una valutazione analitica dell'osservazione aiutando a ricostruire il
sistema di relazioni che intercorrono tra gli oggetti nella realtà indagata. Gli elementi significativi di
quest'ultima si dispongono all'interno dell'immagine nella sezione spazio-temporale che il ricercatore ha
scelto di ritagliare. Il testo fotografico, costruito con un determinante apporto del soggetto raffigurato, delle
sue strategie, delle sue logiche, della sua presenza, della sua forma, contiene gli elementi di significazione
propri del terreno, i nessi di struttura che legano la realtà in una concatenazione dotata di senso e di
significato. La macchina fotografica non soltanto offre un testo che contiene le relazioni di struttura della
realtà raffigurata, ma fornisce inoltre documento dei processi di traduzione dello sguardo in visione e di
inserimento di quest'ultima nel campo storicamente segnato dell'osservazione. La macchina fotografica in
altre parole costituisce un insostituibile strumento di decostruzione dello sguardo e di individuazione dei
codici che operano all'interno della situazione di interfaccialità etnografica. Proprio per questo l'utilità
maggiore della fotografia, nell'indagine etnografica, si ha quando si vogliono organizzare reti di dati,
sostenute da griglie di lettura di tipo critico, che consentono la classificazione della realtà osservata, quando
si individuare le chiavi di volta di un sistema di rappresentazione e i suoi schemi di lettura paradigmatica e
sintagmatica.
Occorre ricordare come tuttavia la macchia fotografica realizzi una visione diversa da quella naturale,
proprio questa artificialità permette il compito critico. Di tale peculiarità occorre tener conto quando si
analizzano, nella prospettiva disciplinare, le immagini. La memoria etnografica infatti si costruisce su
immagini: quelle mentali, quelle scaturiscono dalla scrittura, quelle che provengono dai mezzi meccanici
(per quanto concerne il nostro discorso ossia dalla macchina fotografica).
I primi due tipi di immagine originano dalla visione naturale, il terzo tipo da quella artificiale.
Marianna Tesoriero Sezione Appunti
Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva