La fotografia che annulla la percezione
L'attività fotografica malgrado la sua potenziale funzione occultatrice può contribuire ad annullare la base percettiva, automatica e continua dello sguardo e a potenziare il carattere discontinuo, critico, culturale del vedere. La fotografia consente una prova, materializzata in un oggetto o in una icona, della diuturna e largamente inconscia attività selettiva dell'occhio. È esatto pensare che la macchina fotografica possa rappresentare un'estensione dell'occhio proprio perchè ne sottolinea e insieme ne forza il funzionamento; riprende in altri termini quel procedimento di segmentazione dello sguardo che è proprio dell'occhio e lo porta alle estreme conseguenze. L'occhio rivela e occulta: la fotocamera occulta in misura maggiore dell'occhio e attraverso questa enfasi del meccanismo discrezionale, ne denuncia l'esistenza, rende palese la sua infondata pretesa di oggettività e di obiettività. Lungi dall'essere un atto rivelatorio in se per una supposta analogica adesione alla realtà in quanto imperfetta, il fotografare lo può divenire per il fatto di occultare, perchè in altre parole, testimonia intorno ai processi di domesticazione, di plasmazione culturale ulteriore della visione. Occorre dunque assumere l'atto del fotografare non in relazione allo sguardo ma alla visione, porlo in rapporto non con un atto percettivo ma con i procedimenti di selezione culturale che malgrado la propria imperfezione esso rivela. Ogni fotografia presuppone una scelta, un'omissione, uno sguardo e una voluta cecità.
Una fotografia rassomiglia alla realtà che rappresenta. Rinvia a essa con chiarezza ma se ne discosta per caratteri fondamentali quali materia, dimensione, forma, colore fissità spazio-temporale. Rimanda a un soggetto sottintendendone lo sbiadimento e insieme l'irrefutabile esistenza. Premessa, affinchè si possa parlare di un linguaggio della fotografia è che essa sia costruita attraverso una grammatica e una sintassi. I moduli fondamentali di tale articolazione lessicale, nel suo rapporto con lo specifico etnografico, possono essere individuati nell'istantanea, il ritratto e nella sequenza.
La sequenza fotografica permette di ricostruire le modalità di un avvenimento nel suo divenire, di individuare in quali fasi successive si articola la realtà. La sequenza isola dal flusso della realtà una serie di momenti che sono considerati esemplari del suo manifestarsi: essa opera una disgiunzione, chiarificatrice, tra tempo reale e tempo rappresentato, conservando però nel suo codice, la nozione di svolgimento. Tratto distintivo di tale modulo è la possibilità di conciliare la nozione di svolgimento con il paradigma della fissità.
Continua a leggere:
- Successivo: L’immobilità fotografica
- Precedente: La fotografia, specchio dell'autore
Dettagli appunto:
-
Autore:
Marianna Tesoriero
[Visita la sua tesi: "Mind Control: strategie di controllo mentale attraverso i media"]
- Università: Università degli Studi di Messina
- Facoltà: Scienze dell'Educazione
- Corso: Scienze della Comunicazione
- Esame: Antropologia visuale
- Docente: Francesco Faeta
- Titolo del libro: Strategie dell'occhio. Saggi di etnografia visiva
- Autore del libro: Francesco Faeta
- Editore: Franco Angeli
- Anno pubblicazione: 2010
Altri appunti correlati:
- Appunti di antropologia visuale
- Ontologia dell'immagine fotografica
- Elementi di antropologia culturale
- Linguaggi del Cinema
- Cinema e Turismo
Per approfondire questo argomento, consulta le Tesi:
- Folk Horror. Per un'antropologia dell' ''orrore popolare''
- Stereotipi nella rappresentazione del sud, lo sguardo del cinema negli anni cinquanta
- Gus Van Sant: Elephant
- Etnografie russe fra il 1920 e il 1930 (La repressione della cultura sciamanica in URSS fra gli anni '20 e '30 del sec. XX. I casi di G.V. Ksenofontov e I.M. Suslov)
- Dalla polvere da sparo alla pellicola: nascita e futuro di Ferrania
Puoi scaricare gratuitamente questo appunto in versione integrale.