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Il coinvolgimento della famiglia del disabile nel lavoro educativo


L’educatore che lavora considerando la famiglia del disabile quale vero e proprio campo di azione è chiamato a mantenere costante l’attenzione sui movimenti dell’intero sistema, considerato come un insieme, un campo dinamico interconnesso, dove l’azione di una persona è strettamente correlata con le azioni degli altri familiari.
È necessario, in primo luogo, riconoscere quali idee si sono strutturate nella famiglia intorno alla disabilità  domandarsi in che modo il nucleo familiare abbia reagito alle rappresentazioni offerte dai vari attori del contesto, dal medico specialista alla vicina di casa, dall’insegnante al parroco.
In alcuni casi gli educatori possono rilevare una forte negazione delle difficoltà del figlio (al ragazzo si richiedono performance scolastiche o produttive che non riesce assolutamente a sostenere); in altre situazioni si possono riscontrare comportamenti iperprotettivi ricorrenti. In ogni caso, un compito fondamentale dell’educatore è quello di comprendere queste rappresentazioni.
Occorre considerare, inoltre, che un’alleanza non è mai data per sempre; si può cercare piuttosto di sostenerne un equilibrio mobile.
Le fonti di stress nelle famiglie con figli portatori di handicap comportano reazioni eterogenee: da mutamenti radicali a cambiamenti che influenzano il quotidiano, a ricadute cicliche con un certo rischio di cronicizzazione.

Tratto da L'EDUCAZIONE DIFFICILE di Anna Bosetti
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