Il mito di Ulisse in Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti- Il Sentimento del tempo, 1933
Anche Ungaretti penetra a modo suo il mito di Ulisse, specie nel Sentimento del Tempo, a partire da Sirene (1923) e L’isola (1925). In entrambi i casi il topos dibattuto è il viaggio dell’ “io”, è questo che realmente interessa al poeta ed è un viaggio che si svolge con un movimento verticale di “ascensione” il viaggio dell’ulisside rivela la sua funzione metaforica: è l’errare dell’anima nel suo tentativo che mai demorde di ascendere ai cieli della purezza, dell’essenza, dello “spirito” nel suo valore assoluto, ormai liberato dalle scorie dell’effimero, del materiale. È per questa ragione che la poesia come suprema forma di canto viene eletta per il conseguimento di tale rito di purificazione.Le Sirene della prima lirica rappresenterebbero così l’illusione dell’ispirazone poetica. L'ispirazione è qui vista nei suoi connotati negativi, di inquietudine che ancora non si realizza in testo. L'ispirazione, che innamora e costringe il poeta a inseguirla, lo invita al periglioso viaggio per mare e prima che egli giunga a qualche approdo concreto e reale gli porge un'illusione (funesta, perché cela la morte), l'illusione di un'isola mitica cui approdare.
La “cifra” del viaggio connota l’intero discorso poetico di Ungaretti che si proclama “sino alla morte in balia del viaggio” (Lindoro di deserto, 1915) e “subito riprende il viaggio come dopo il naufragio un superstite lupo di mare” (Allegria dei naufragi, 1917). Egli è palombaro che si inabissa nel porto sepolto per poi tornare alla luce con i suoi canti (Il porto sepolto, 1916) ma rimane sempre, programmaticamente, “pronto a tutte le partenze” (Il capitano, 1929) fino a dirigersi al termine della vita, a quel porto definitivo “Verso cui va tranquillo il vecchio capitano” (Ultimi cori per la terra promessa, 1952-1960).
In questa prospettiva, il viaggio ungarettiano non è un nostos, un semplice ritorno alla terra natale, alla maniera di Odisseo, bensì un itinerario che si sviluppa in verticale, nell’interiorità, sul modello dantesco di discesa agli inferi e di risalita alla luce. Non un viaggio all’indietro, verso un’isola, ma continua proiezione in avanti, verso la Terra Promessa.
Trama de L’isola: il poeta giunge in un bosco di piante secolari dove viene come risvegliato dal battito delle ali di un uccello alzatosi da uno stagno. Riscosso dallo stridulo rumore gli pare di vedere una figura che appare e scompare e che infine si rivela essere una ninfa. Mentre sta ancora pensando se si tratta di realtà o immaginazione, arriva in un prato dove stanno altre figure femminili sedute all’ombra. Attraverso i rami trapelano i raggi del sole: da una parte ci sono pecore che dormono cullate dal caldo, altre invece continuano a brucare l’erba del prato che pare una coperta di luce. Le mani del pastore, infine, appaiono diafane per la leggera febbre malarica, levigate e trasparenti come vetro, attraversate anch’esse dalla luce.
Il protagonista è dunque il il poeta stesso che si proietta in una dimensione di separazione dal mondo, trasfigurando tutti gli elementi del paesaggio, e se stesso con loro, in una dimensione mitica.
Della lezione di Ungaretti risentirà in tempi più recenti Mario Luzi in Viaggio terrestre e celeste di Simone Martini (1994) dove il viaggio del protagonista, da Avignone alla natia Siena, diventerà metafora di un percorso di purificazione, iniziatico e sapienziale. Un itinerario della mente che riesce a cogliere insieme il minuscolo seme che genera la vita e l'insondabile maestà del cosmo, lo scorrere del tempo e la vertigine dell'eternità.
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Autore:
Livia Satriano
[Visita la sua tesi: "No Wave: sperimentalismo artistico e alienazione sonora nella New York di fine anni settanta"]
- Università: Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: Letteratura italiana moderna e contemporanea
- Docente: Enrico Elli
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