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Il mito di Ulisse in Alberto Savinio

Alberto Savinio - Capitano Ulisse

In Capitano Ulisse, prima opera teatrale di Savinio (scritto nel 1925, pubblicato nel 1934, rappresentato nel 1938) il mito di Ulisse viene trattato seguendo due linee fondamentali:
•    Linea esistenzialista, che toglie ogni orpello per riportare alla drammatica essenzialità della vita ogni sovrapposizione posticcia e ricondurre alla naturalezza il personaggio artificioso
•    Parodia, scelta per costruire un percorso antieroico
Si tratta appunto di un’operazione di diseroicizzazione del nostos ulissiaco in polemica con il clima retorico del tempo e la rappresentazione elevata a dimensione sublime che veniva fatta del personaggio di Ulisse (v. D’Annunzio e Pascoli)  polemica implicita nei confronti della società del fascismo e nei confronti della cultura estetizzante
L’Ulisse di Savinio è ambientato in un contesto borghese primo-novecentesco, la vicenda inizia con l’abbandono della maga Circe per poi ripercorrere le tappe abituali del viaggio. Il tutto però è rivisitato in chiave parodistica, Ulisse non ha nulla di eroico, è un personaggio annoiato, un uomo semplice dedito a quella “metafisica della scemenza” che gli fa nominare Calipso “dea Clisopompo” e Penelope “orinale”. L’intera operazione drammaturgica si propone dunque come percorso di catarsi per il personaggio di Ulisse, da sempre imprigionato in metafore e luoghi comuni e gli offrirà per la prima volta la possibilità di riscattare se stesso dal ruolo di personaggio che è stato costretto a recitare per secoli. Giunto infatti ad Itaca e trovatasi di fronte una Penelope mutata in una “tranquilla e fredda signora”, simbolo del perbenismo e dell’ipocrisia della realtà borghese, egli preferirà non cedere alle lusinghe di Minerva che lo vorrebbero di nuovo in viaggio e scegliere liberamente per un’unica volta il suo destino riappropriandosi così finalmente della propria identità: lo vedremo infatti sbarazzarsi della barba finta, scendere dal palcoscenico e mischiarsi agli spettatori.  
Ulisse, avendo imparato a vivere e avendo rifiutato l’ultima avventura, potrà, quando ne avrà voglia, anche morire.
La misura è colma, l’uomo e lo scrittore del Novecento, che ad Ulisse ritornano continuamente, sono sazi di lui e del suo errare infinito.
Piuttosto che un’attualizzazione, il mito ha subito, nella letteratura novecentesca, una frantumazione. Se nei poemetti di Graf, D’Annunzio, Pascoli e persino in quello di Gozzano, la vicenda di Odisseo sopravvie come mythos, anche nel senso di “racconto”, lo stesso non si può certo dire della poesia che vede prevalere isolati e parziali ritratti dell’eroe (= frantumazione del mito)

Tratto da ULISSE E IL VIAGGIO di Livia Satriano
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