Appunti in cui viene ripresa la nascita della letteratura greca dall'età bizantina, e durante il periodo del dominio Turco. Inoltre viene trattata la letteratura che nasce nelle isole greche, quali Cipro, Creta e Rodi. Infine viene trattato il peridoo della rinascita Greca nel 1800, il ritorno alla poesia, e i maggiori esponenti di questo filone.
Lingua e letteratura neo-Greca
di Gabriella Galbiati
Appunti in cui viene ripresa la nascita della letteratura greca dall'età bizantina,
e durante il periodo del dominio Turco. Inoltre viene trattata la letteratura che
nasce nelle isole greche, quali Cipro, Creta e Rodi. Infine viene trattato il
peridoo della rinascita Greca nel 1800, il ritorno alla poesia, e i maggiori
esponenti di questo filone.
Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: lingua e letteratura neogreca
Docente: Costantino Nicas
Titolo del libro: La letteratura neoellencia
Autore del libro: B. Lavagnini
Editore: Sansoni
Anno pubblicazione: 19691. La nascita del greco moderno
La stessa opposizione tra latino e lingue volgari, uscite dal latino, si manifesta in Oriente nel contrasto tra
greco scritto e greco parlato, fra greco bizantino e greco moderno. Ma il popolo non intendeva le lingue
romanze. Prolungarne l’uso significava precludere a tutto il popolo l’accesso alla cultura nazionale,
significava isolare sempre di più nella loro torre d’avorio i dotti, che parlavano far loro in una lingua intesa
da loro soltanto.
Come capitale del rinato stato greco, Atene torna ad essere il centro politico e culturale della nazione. Vi
sorge (1837) l’Università, la prima scuola superiore in terra attica da quando Giustiniano vi ebbe chiuso
l’ultima scuola platonica (529), e una nuova Accademia è fondata, un secolo più tardi (1926), sul suolo
stesso sul quale era sorta la prima di tutte le Accademie, quella di Platone. Nel volgere di un secolo quello
che era un embrione di stato è andato completando la propria unità. Prima le isole Ionie (1864), poi Creta, la
Tessaglia, la Macedonia, l’Epiro, Lesbo e Chio, la Tracia Orientale, e, infine, anche il Dodecaneso si sono
raccolti attorno al nucleo primitivo. Solo la grande isola di Cipro è tuttora in disparte, politicamente
disgiunta dalla madrepatria, alla quale è unita nella lingua e nella cultura.
Difficoltà ben maggiori doveva affrontare il volgare neogreco per soppiantare nell’uso letterario la lingua
della tradizione bizantina, che, come lingua dell’impero e della Chiesa, della legge e della preghiera, aveva
per sé il prestigio di lingua nazionale. Ogni tendenza innovatrice era condannata come plebea e volgare.
Contrassegno della nuova poesia, oltre alla lingua, ora interamente dialettale, ora semplicemente mista, in
misura maggiore o minore, di elementi volgari, è anche il nuovo verso, il verso “politico” (una sorta di
alessandrino, composta da dodici sillabe, non rimato) formato da un ottonario e da un settenario, divisi da
una cesura. La rima, estranea in origine, vi sarà introdotta solo alla metà del XV secolo, per l’influsso,
notevole specie a Cipro e a Creta, della poesia italiana.
Gabriella Galbiati Sezione Appunti
Lingua e letteratura neo-Greca 2. La letteratura neogreca dell’età bizantina (primo periodo: 1000-
1204)
La frontiera dell’Eufrate fu teatro di epiche lotte fra arabi e bizantini, nei primi secoli della espansione araba.
Il clima ardente di queste lotte diede vita all’epopea bizantina degli “akriti”, i guerrieri stanziati a guardia
permanente delle frontiere. Eroe di questa lotta è Basilio Digenis Akritas. Dovette esservi dapprima fioritura
di canti epici staccati, che celebravano singole gesta. Un nucleo notevole di canti narrativi si rivela di sicura
origine bizantina, nonostante il continuo processo di rammodernamento dei canti nella trasmissione orale.
Spicca tra essi il gruppo di canti acritici, raccolti nelle più diverse regioni del mondo greco, dalla
Cappadocia a Corfù, da Trebisonda a Creta. Se ne calcola già milletrecentocinquanta. Sulla base di tali canti
taluno ebbe l’idea di redigere un poema, o meglio una narrazione epica continuata, che esponesse
ordintamente le gesta dell’eroe secondo uno schema biografico, dalla nascita alla morte. L’ignoto redattore
era probabilmente un monaco al quale la veste dava l’abito della virtù e buoni sentimenti religiosi e morali,
ed a cui non dispiaceva, all’occasione, di rendere edificante la lettura profana, concepito del resto secondo lo
schema biografico delle agiografie (vite dei santi).
L’esistenza di un tale poema fu resa nota per la prima volta, nel 1875, dalla pubblicazione, ad opera di
Costantino Sarbas e di Emilio Legrand, di un manoscritto rinvenuto nella Biblioteca di Tresibonda (Les
exploits de Digénis Acritas, épopée byzantine du dixième siècle publiée pour la première fois d'aprés le
manuscripte unique de Trébizonde, Parigi, 1875). Furono successivamente scoperte e pubblicate altre
redazioni.
Le varie redazioni differiscono solo nei particolari. Esse oscillano tra i tremila e i cinquemila versi.
Uno stratego di Siria (Andrònico) ha avuto cinque figli e una figlia dalla moglie, anch’essa cristiana. In una
delle sue scorrerie, l’emiro di Siria, Musur, trova incustodita la torre di Andrònico, che era in esilio, mentre i
suoi figlioli custodivano le “akre”, cioè i confini dell’Impero. Così egli poté rapire la bellissima figlia di
Andrònico. I fratelli della rapita ne chiedono la restituzione all’emiro, questi invece propone di sposarla e di
farsi anch’egli cristiano. Per tal modo è raggiunto l’accordo… Nasce così, di sangue misto, da padre siro e
da madre greca, Basilio Digenis, sopranominato poi Akritas. L’epiteto Digenis alluderebbe alle due razze
diverse. Il figlio dell’emiro e della greca è un fanciullo prodigio. Sin da piccolo sa maneggiare la lancia e la
spada. Fatto grande rapisce Eudocia, figlia dello stratego Dukas. Si fabbrica un palazzo presso l’Eufrate, e
insieme con la moglie vi trascorre una vita felice. Un giorno si ammala gravemente e muore all’età di 33
anni. Muore anche la moglie, e vengono sepolti assieme nella medesima tomba.
Il compilatore del poema non raccolse tutto quanto la tradizione gli offriva, ma operò una selezione nella
materia epica.
Al XII secolo sono da assegnare certe poesie dette prodromiche, vere e proprie satire, assai interessanti per
la lingua e, a motivo del vivace realismo.
Il motivo predominante in esse è la miseria dei letterati. La satira prende la forma di una epistola poetica
all’imperatore, del quale si implora il soccorso. La prima di queste poesie sgrana un pittoresco rosario di
tribolazioni familiari. Il poeta è messo alla porta dalla moglie, ricca e di buona famiglia, che lo scaccia di
casa e non vuol più saperne di lui, che ritorna sempre a mani vuote. Essa gli rinfaccia lo stato di abbandono
della casa e del giardino, per la mancanza delle necessarie riparazioni, e lo rimprovera di non essere stato
capace, in 12 anni, di acquistarle un vestito o un gioiello. Alla fine la moglie sciopera, chiudendosi nella sua
stanza, e il malcapitato è messo alla porta. Travestito da mendicante, il giorno dopo, il giovanotto si presenta
Gabriella Galbiati Sezione Appunti
Lingua e letteratura neo-Greca a casa sua. I ragazzi non lo riconoscono e lo prendono a sassate. Ma la madre interviene e il finto
mendicante può sfamarsi a suo agio in casa sua, dove gli danno una scodella di brodo con pezzi di carne. Il
letterato accattone implora della munificenza imperiale un qualche vistoso dono che plachi la moglie
inferocita e restituisca la pace in famiglia.
In un’altra poesia, sotto il nome del monaco Ilarione, si appella all’imperatore lamentando il disordine che
regna nel suo convento, dove, nonostante le regole della vita cenobitica, l’abate, padre e figlio, e altri
monaci, si pappano cibi succulenti e manicaretti, descritti con sapida compiacenza e malcelata invidia,
mentre per il povero monaco non c’è abbastanza da mangiare, e spesso col pretesto di mancanze, gli viene
inflitto il digiuno. Disperato il monaco abbandona il suo convento e chiede all’imperatore che gli indichi un
altro monastero dove ci sia da mangiare.
Una terza poesia, la più tipica, descrive la triste condizione del letterato a cui le lettere non danno abbastanza
da mangiare. Il poeta ricorda che, quando era bambino, il padre lo incitava a studiare lettere, coll’esempio
del tale e del tal altro che s’erano fatti una buona posizione grazie agli studi. Nella sua disperazione l’autore
arriva a maledire le lettere e chi le vuole. Poi passa in rassegna tutti i mestieri, dal ciabattano al sarto, al
venditore ambulante di latte acido che grida per le strade. E vorrebbe essere uno di costoro, che col lavoro
delle proprie mani si guadagnano sufficiente cibo, visto che le lettere non gli danno da sfamarsi.
I manoscritti danno come autore delle epistole Teodoro Pròdromo del secolo XII.
Con il Spanèas, titolo abbreviato dell’Ammaestramento morale di messer Alessio Comnemo, entriamo nel
campo della poesia didattica. Alessio Comnemo era il figlio dell’imperatore Giovanni Comnemo. L’operetta
fu pubblicata postuma, dopo la morte prematura dell’autore (morto nel 1142). L’interesse del compimento è
soprattutto linguistico.Dal fondo di una prigione Michele Glikàs da Crofù, invoca grazia e liberazione coi
suoi Versi grammatici. Il grammatico, vittima di una falsa e maligna accusa, rivolge a Manuele Comnemo i
suoi 581 versi politici, nei quali i mali morali e materiali del carcere sono evocati con accenti veri e sofferti
di umana disperazione. L’appello non trovò eco nel cuore del Comneno.
Gabriella Galbiati Sezione Appunti
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