La letteratura neogreca dell’età bizantina (primo periodo: 1000-1204)
La frontiera dell’Eufrate fu teatro di epiche lotte fra arabi e bizantini, nei primi secoli della espansione araba. Il clima ardente di queste lotte diede vita all’epopea bizantina degli “akriti”, i guerrieri stanziati a guardia permanente delle frontiere. Eroe di questa lotta è Basilio Digenis Akritas. Dovette esservi dapprima fioritura di canti epici staccati, che celebravano singole gesta. Un nucleo notevole di canti narrativi si rivela di sicura origine bizantina, nonostante il continuo processo di rammodernamento dei canti nella trasmissione orale. Spicca tra essi il gruppo di canti acritici, raccolti nelle più diverse regioni del mondo greco, dalla Cappadocia a Corfù, da Trebisonda a Creta. Se ne calcola già milletrecentocinquanta. Sulla base di tali canti taluno ebbe l’idea di redigere un poema, o meglio una narrazione epica continuata, che esponesse ordintamente le gesta dell’eroe secondo uno schema biografico, dalla nascita alla morte. L’ignoto redattore era probabilmente un monaco al quale la veste dava l’abito della virtù e buoni sentimenti religiosi e morali, ed a cui non dispiaceva, all’occasione, di rendere edificante la lettura profana, concepito del resto secondo lo schema biografico delle agiografie (vite dei santi).
L’esistenza di un tale poema fu resa nota per la prima volta, nel 1875, dalla pubblicazione, ad opera di Costantino Sarbas e di Emilio Legrand, di un manoscritto rinvenuto nella Biblioteca di Tresibonda (Les exploits de Digénis Acritas, épopée byzantine du dixième siècle publiée pour la première fois d'aprés le manuscripte unique de Trébizonde, Parigi, 1875). Furono successivamente scoperte e pubblicate altre redazioni.
Le varie redazioni differiscono solo nei particolari. Esse oscillano tra i tremila e i cinquemila versi.
Uno stratego di Siria (Andrònico) ha avuto cinque figli e una figlia dalla moglie, anch’essa cristiana. In una delle sue scorrerie, l’emiro di Siria, Musur, trova incustodita la torre di Andrònico, che era in esilio, mentre i suoi figlioli custodivano le “akre”, cioè i confini dell’Impero. Così egli poté rapire la bellissima figlia di Andrònico. I fratelli della rapita ne chiedono la restituzione all’emiro, questi invece propone di sposarla e di farsi anch’egli cristiano. Per tal modo è raggiunto l’accordo… Nasce così, di sangue misto, da padre siro e da madre greca, Basilio Digenis, sopranominato poi Akritas. L’epiteto Digenis alluderebbe alle due razze diverse. Il figlio dell’emiro e della greca è un fanciullo prodigio. Sin da piccolo sa maneggiare la lancia e la spada. Fatto grande rapisce Eudocia, figlia dello stratego Dukas. Si fabbrica un palazzo presso l’Eufrate, e insieme con la moglie vi trascorre una vita felice. Un giorno si ammala gravemente e muore all’età di 33 anni. Muore anche la moglie, e vengono sepolti assieme nella medesima tomba.
Il compilatore del poema non raccolse tutto quanto la tradizione gli offriva, ma operò una selezione nella materia epica.
Al
XII secolo sono da assegnare certe poesie dette prodromiche, vere e
proprie satire, assai interessanti per la lingua e, a motivo del vivace
realismo.
Il motivo predominante in esse è la miseria dei letterati.
La satira prende la forma di una epistola poetica all’imperatore, del
quale si implora il soccorso. La prima di queste poesie sgrana un
pittoresco rosario di tribolazioni familiari. Il poeta è messo alla
porta dalla moglie, ricca e di buona famiglia, che lo scaccia di casa e
non vuol più saperne di lui, che ritorna sempre a mani vuote. Essa gli
rinfaccia lo stato di abbandono della casa e del giardino, per la
mancanza delle necessarie riparazioni, e lo rimprovera di non essere
stato capace, in 12 anni, di acquistarle un vestito o un gioiello. Alla
fine la moglie sciopera, chiudendosi nella sua stanza, e il malcapitato è
messo alla porta. Travestito da mendicante, il giorno dopo, il
giovanotto si presenta a casa sua. I ragazzi non lo riconoscono e lo
prendono a sassate. Ma la madre interviene e il finto mendicante può
sfamarsi a suo agio in casa sua, dove gli danno una scodella di brodo
con pezzi di carne. Il letterato accattone implora della munificenza
imperiale un qualche vistoso dono che plachi la moglie inferocita e
restituisca la pace in famiglia.
In un’altra poesia, sotto il nome
del monaco Ilarione, si appella all’imperatore lamentando il disordine
che regna nel suo convento, dove, nonostante le regole della vita
cenobitica, l’abate, padre e figlio, e altri monaci, si pappano cibi
succulenti e manicaretti, descritti con sapida compiacenza e malcelata
invidia, mentre per il povero monaco non c’è abbastanza da mangiare, e
spesso col pretesto di mancanze, gli viene inflitto il digiuno.
Disperato il monaco abbandona il suo convento e chiede all’imperatore
che gli indichi un altro monastero dove ci sia da mangiare.
Una terza
poesia, la più tipica, descrive la triste condizione del letterato a
cui le lettere non danno abbastanza da mangiare. Il poeta ricorda che,
quando era bambino, il padre lo incitava a studiare lettere,
coll’esempio del tale e del tal altro che s’erano fatti una buona
posizione grazie agli studi. Nella sua disperazione l’autore arriva a
maledire le lettere e chi le vuole. Poi passa in rassegna tutti i
mestieri, dal ciabattano al sarto, al venditore ambulante di latte acido
che grida per le strade. E vorrebbe essere uno di costoro, che col
lavoro delle proprie mani si guadagnano sufficiente cibo, visto che le
lettere non gli danno da sfamarsi.
I manoscritti danno come autore delle epistole Teodoro Pròdromo del secolo XII.
Con
il Spanèas, titolo abbreviato dell’Ammaestramento morale di messer
Alessio Comnemo, entriamo nel campo della poesia didattica. Alessio
Comnemo era il figlio dell’imperatore Giovanni Comnemo. L’operetta fu
pubblicata postuma, dopo la morte prematura dell’autore (morto nel
1142). L’interesse del compimento è soprattutto linguistico.Dal fondo di
una prigione Michele Glikàs da Crofù, invoca grazia e liberazione coi
suoi Versi grammatici. Il grammatico, vittima di una falsa e maligna
accusa, rivolge a Manuele Comnemo i suoi 581 versi politici, nei quali i
mali morali e materiali del carcere sono evocati con accenti veri e
sofferti di umana disperazione. L’appello non trovò eco nel cuore del
Comneno.
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Dettagli appunto:
-
Autore:
Gabriella Galbiati
[Visita la sua tesi: "Logica del tempo in Guglielmo di Ockham e Arthur Norman Prior"]
- Università: Università degli Studi di Napoli "L'Orientale"
- Facoltà: Lettere e Filosofia
- Esame: lingua e letteratura neogreca
- Docente: Costantino Nicas
- Titolo del libro: La letteratura neoellencia
- Autore del libro: B. Lavagnini
- Editore: Sansoni
- Anno pubblicazione: 1969
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