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Platone. Dialogo, miti e sapienza nell'anima


La forma dialogica consente a Platone di nascondersi piano piano, fino a scomparire, dietro i personaggi che mette in scena, contrapponendosi alla vecchia scrittura dei filosofi precedenti che amavano mettersi in primo piano per dimostrare di essere possessori di un sapere. Per Platone un sapere un può essere acquisito attraverso uno scritto: esso diventa solo propedeutico al sapere, in quanto per imparare un mestiere bisogna, come fa l’artigiano, soggiornare per lungo tempo nella bottega. Il limite della scrittura che egli esprime nel Fedro è legato al fatto che un’opera scritta può giungere anche nelle mani di uno sprovveduto senza che egli sia in grado di coglierne il messaggio (T 164). L’altro limite è dato dal fatto che lo scritto conduce favorisce la dimenticanza anziché la memoria, perché induce a cercare il sapere fuori di sé. Vero luogo per giungere alla sapienza è l’anima. E’ vero però che lo scritto può invogliare chi ne è fuori a dedicarsi alla filosofia ed entrare nella scuola dove essa è praticata. Nonostante Platone prediliga il dialogo, si accorge che esso non è adeguato per problemi che riguardano l’animo umano o i problemi del cosmo: in questo caso ricorre ai miti, racconti di come verosimilmente stanno le cose.

Tratto da FILOSOFIA ANTICA di Carlo Cilia
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