Le ripercussioni sull'onere della prova, art. 2697 c.c.
Tale precisazione non ha una valenza puramente descrittiva, ma essa comporta rilevanti conseguenze pratiche, particolarmente in riferimento all'operatività della regola dell'onere della prova. Questa è contenuta nell'art. 2697 c.c., che cosi recita: «Chi vuol fare valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento./ Chi eccepisce l'inefficacia ditali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda».
Siamo in presenza di una regola di giudizio, che il giudice utilizza per formare il suo convincimento finale. Egli, alla fine del gioco processuale, non può mai giungere ad una non-decisione, ossia rispondere, a colui che ha affermato la titolarità di un diritto, che non riesce a formarsi un convincimento, ma deve sempre dare una risposta univoca, nel senso dell'accoglimento o del rigetto della pretesa, in altre parole dell'affermazione o della negazione del diritto vantato.
La legge, quindi, fornisce al giudice un criterio chiaro, disponendo che l'onere della prova dei fatti costitutivi del diritto affermato è a carico di colui che compie l'affermazione, per cui questi perderà la causa se quei fatti non sono provati.
Tutto ciò a prescindere dalle posizioni formali di attore e convenuto.
In altre parole, è vero che normalmente è l'attore ad affermarsi titolare di un diritto, per cui normalmente l'onere della prova descritto va a suo carico, ma è anche vero che questo non accade sempre e non a caso l'art. 2697 c.c. addossa l'onere di provare i fatti costitutivi del diritto non all'attore, bensì a colui che fa valere il diritto, lasciando aperta la possibilità che le due figure non si identifichino nel caso concreto.
Tornando, quindi, alla tutela di mero accertamento, è evidente che, se l'attore si afferma titolare di un diritto, la cui esistenza il convenuto aveva precedentemente contestato, sarà a lui addossato l'onere di provarne i fatti costitutivi, con la conseguenza che egli perderà la causa ove difetti quella prova.
Ma, se l'attore nega l'esistenza di un diritto, della cui titolarità nei suoi confronti il convenuto si era precedentemente vantato, starà a quest'ultimo l'onere di provare, in positivo, l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto in gioco e non certo all'attore l'onere di provare, in negativo, l'inesistenza del diritto vantato.
In conclusione, non bisogna lasciarsi fuorviare dalle posizioni processuali assunte dalle parti: ciò che conta veramente, a prescindere dalle posizioni di attore e convenuto, è la sostanza delle cose, per cui è sempre colui che si afferma titolare del diritto a dover, innanzitutto, subire il rischio del processo, ossia a doversi accollare l'onere di provare il fondamento di ciò che afferma.
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Autore:
Beatrice Cruccolini
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- Università: Università degli Studi di Perugia
- Facoltà: Giurisprudenza
- Esame: Procedura civile
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