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Il giudice ordinario e la Quarta sezione: criterio del petitum


Le origini del dibattito vengono ricondotte a una sentenza del 1891, dalla quale fu prospettato il c.d. criterio del petitum.
In base a questo criterio, il dato caratterizzante della giurisdizione amministrativa era rappresentato dal potere di annullamento degli atti impugnati; di conseguenza, nel caso di un provvedimento lesivo di un diritto soggettivo, si doveva ammettere la possibilità per il cittadino di ricorrere avanti al giudice amministrativo per ottenere l’annullamento dell’atto.
Il criterio in esame comportava la possibilità per il cittadino di far valere come “interessi” i diritti soggettivi: questi ultimi sono posizioni soggettive più garantite degli interessi legittimi e, quindi, possono essere fatti valere anche come “interessi” per ottenere di fruire della relativa tutela.
Una volta respinte le proposte di fondare la giurisdizione amministrativa sul potere di annullamento, il criterio in esame perse spessore.
Le critiche formulate nei suoi confronti sono state principalmente di due ordini: in primo luogo è stato rilevato che interessi legittimi e diritti soggettivi sono posizioni distinte “qualitativamente” e non in termini di minore o maggiore tutela; in secondo luogo è stato rilevato che la tesi del petitum finiva con l’aprire la strada ad una doppia tutela, nel senso che la medesima posizione soggettiva poteva essere fatta valere, alternativamente o cumulativamente, avanti a ciascuno dei due giudici, la quale sembrava incompatibile con l’esigenza di una distinzione fra le giurisdizioni basata su criteri oggettivamente verificabili.

Tratto da GIUSTIZIA AMMINISTRATIVA di Stefano Civitelli
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