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Ricerca e Sviluppo (R & S) e competitività


La ricerca scientifica è tesa a migliorare sia il sapere che il sistema produttivo. Il “sistema ricerca” è articolato in 3 sottosistemi: Università (ricerca di base, teorica), Enti e Agenzie nazionali di ricerca (di difficile caratterizzazione), Laboratori industriali (ricerca di sviluppo); tuttavia i confini sono sempre più labili (per il legame tra scienza e tecnologia) e crescono le interazioni tra i sottosistemi.
Vediamo l’incidenza delle spese di R&S sul PIL dei vari Paesi, che possono essere così classificati:
1) Prima fascia: 2-3% del PIL. Giappone, Usa, Francia, Germania (grandi), Svezia, Corea del Sud (piccoli);
2) Seconda fascia: 1-2% del PIL. UK, Italia (grandi), Canada, Austria, Belgio, Finlandia, Australia (piccoli);
3) Terza fascia: inferiori all’1%. Russia, Cina, Tunisia, Messico, Spagna.
In valore assoluto, invece, la graduatoria vede: Usa, Giappone, Germania, Francia, UK, Italia.
L’apporto del settore privato (le imprese) alla spesa in R&S è maggiore (anche rispetto all’apporto del settore pubblico) in Giappone, Corea, Belgio, Irlanda, Svezia, Svizzera, Finlandia, Usa e Germania.
La distribuzione dei fondi pubblici può essere analizzata per obiettivi socio-economico (difesa e spazio 50%, sviluppo economico 25%, avanzamento delle conoscenze 20%, salute e benessere 5%, che da un’analisi dei Paesi industrializzati diventa sviluppo economico 40%, avanzamento delle conoscenze 40%, difesa e spazio 10%, salute e benessere 10%) o per settore di destinazione (dell’industria (2/5 dei fondi pubblici in Usa, Germania, UK), dell’educazione superiore (9/10 in Giappone, Austria, Svizzera, solo il 5% all’industria) e degli Enti governativi e Centri privati “non profit” (90%, e 10% all’industria, UE, Canada e Australia).
Considerando il numero di brevetti presso l’Ufficio Europeo di Brevetti si nota che l’Italia ha scarsa attività innovativa; i maggiori sono Usa, Germania e Giappone. Rapportando il numero di brevetti al PIL, abbiamo, nell’ordine, Germania, Giappone e Francia. Analizzando la bilancia tecnologica dei pagamenti (acquisto e vendita di brevetti, licenze, know-how, diritti di proprietà intellettuale, marchi e royalties) notiamo: contrazione per gli Usa tra il 1990 e il 1999 (ma sempre in attivo), tendenza opposta per il Giappone nello stesso periodo; disavanzo solo in alcuni anni per Germania, Belgio, Francia e Svizzera; costante disavanzo per l’Italia (situazione pericolosa per la competitività dell’economia, sempre bassa, senza segnali di inversione di tendenza; preferiamo importare tecnologia (technology taker) anziché innovare (technology maker). Contrariamente agli altri Paesi OCSE, abbiamo la quota più bassa di esportazioni di prodotti ad alta tecnologia e la più alta di quelli a bassa tecnologia. Il problema deriva dalla ristrutturazione industriale degli anni 70, con grandi sforzi sull’innovazione, ma limitati a settori di media tecnologia; occorre una riprogettazione dei processi produttivi e dei mercati, e una vera interazione tra imprese, Università e centri di ricerca pubblica). In ultima analisi: il Giappone passa da inseguitore (follower, imitatore) a innovatore; i Paesi dell’Est Asia (Corea, Taiwan, Singapore, Hong Kong) stanno progredendo nell’esportazione di tecnologia avanzata.
Analizziamo il tasso di copertura (esportazioni/importazioni) nei settori high-tech: l’Italia ha tasso inferiore ad 1 in elettronica ed informatica, ma è ben posizionata nel settore manifatturiero; Usa comandano nel settore aerospaziale, Giappone in quello elettronico.

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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