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La partecipazione femminile alle attività scientifiche


È minoritaria, nella Triade solo 1/3 dei lavoratori, e “contano” meno degli uomini. Nel diagramma a forbice si evidenzia la quota femminile nell’intero percorso formativo, che alla fine degli anni 90 era: 52% scuola superiore (situazione qui paritetica), 44.9% studenti universitari, 37.8% dottori di ricerca, 37.8% assistenti, 27.8% professori associati, 11.6% professori ordinari. Le due lame si allontanano fino all’apice della carriera dove è presenta 1 donna ogni 9 uomini. Il cammino è quindi ancora lungo, con tempi non brevi.
Le ricercatrici sono più elevate nel settore pubblico (tra 30 e 50% dei ricercatori; per l’Italia, valori sopra la media negli enti pubblici di ricerca, e sotto la media nelle università) che nel privato (tra il 15 e il 28%). In generale, la componente femminile è più numerosa nei Paesi in cui le attività scientifiche sono meno sviluppate e in cui le istituzioni di ricerca e universitarie sono recenti; negli altri Paesi fanno fatica a inserirsi per via del predominio in passato accumulato dagli uomini. La presenza di donne in Usa e Giappone (10% circa) è più bassa della media europea (31%) e dei singoli Paesi membri. Se si rapporta il numero di ricercatrici al totale della forza lavoro si ottiene il 44%.
Le donne sono più concentrate nelle scienze mediche, sociali e umane, e meno nelle discipline ingegneristiche.

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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