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La fuga dei cervelli


(Brain drain, e brain gain per il Paese che riceve i cervelli), si ha quando la mobilità non è armonica e con flusso regolare tra i vari Paesi, con esodi di scienziati e ingegneri a seguito di condizioni migliori di remunerazione o di vita. Si è manifestata in maniera eclatante nel secondo dopoguerra dall’Europa agli Usa, e più recentemente dai Pvs ai Paesi industrializzati.
Vi sono poi altri concetti, quali il brain waste (spreco di cervelli, laureati impegnati in occupazioni che richiedono l’applicazione di una piccola parte delle conoscenze acquisite), il brain exchange (scambio di cervelli, quando vi è un flusso equilibrato di cervelli tra Paesi, settori o discipline scientifiche), il brain circulation (circolazione dei cervelli, cursus honorum con spostamento all’estero per approfondire gli studi, lavorare e fare ritorno in patria, dove si mettono a frutto le competenze acquisite; es.: ritorno dagli Usa in Cina e India di specialisti nel settore informatico, che hanno portato con sé competenze tecnico scientifiche e capitali con cui dar vita a nuove imprese). Quest’ultimo concetto sembra essere quello che maggiormente riesce a descrivere la realtà, con un tasso di ritorno dei cervelli molto elevato (uno studio francese mostra che, a 3 anni dal conseguimento del titolo, solo il 7% degli emigrati è ancora all’estero, e ha comunque intenzione di far ritorno in patria).
Tuttavia non si hanno informazioni affidabili e complete sull’argomento, né un impianto teorico di riferimento che consenta di valutare compiutamente tutti i vantaggi e gli svantaggi di breve e lungo periodo.
Un aspetto importante riguarda il fatto che le Ict contribuiscono a ridurre gli spostamenti fisici.
Per quanto riguarda l’Italia, all’inizio degli anni 90 solo l’1% dei laureati emigrava all’estero, mentre alla fine di quel decennio la percentuale era salita al 4%. Le destinazioni sono Francia, Germania, Uk e Usa, e il flusso non pare bilanciato. La percentuale di laureati emigrati (2.3%) è sette volte maggiore la percentuale dei laureati stranieri presenti nel nostro territorio (0.3%); questa tendenza è opposta in Francia, Germania e Uk. Cosa spinge i ricercatori ad emigrare (studio del Censis, 2002)? Mancanza di adeguati finanziamenti e strutture per la ricerca in Italia, stipendi bassi, mancanza di trasparenza nella valutazione del proprio lavoro scientifico e di certezza della carriera. Gli italiani all’estero godono di stipendi 2 o 3 volte più elevati che in Italia. Il nostro Paese sembra destinato ad un incremento del fenomeno della fuga piuttosto che un decremento, con visioni pessimistiche e testimonianze di ricercatori che, al rientro, sono disillusi e ritornano nel Paese ospitante. Il brain circulation potrebbe verificarsi solo se, in futuro, venissero destinate maggiori risorse alla R&S e il sistema nazionale della ricerca pubblica e dell’università venisse governato con criteri più moderni, simili a quelli dei Paesi più avanzati.

Tratto da TECNOLOGIA, PRODUZIONE E INNOVAZIONE di Moreno Marcucci
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