Metalmeccanica e armamenti in Italia negli anni 30
Metalmeccanica e Armamenti
Il settore era cresciuto fino a 1929, poi con la crisi intervennero Iri e Imi e poi la ripresa con la politica bellica (prima Etiopia e poi 2° guerra).
Il limite era che utilizzava come materia prima il rottame perché le nostre acciaierie non avevano materia prima. Si doveva usare il ciclo integrale: modificare gli impianti per usare rottame e ferro vergine, ma di fatto non si fece. Il progetto più ambizioso fu dell'Iri che con l'Iva cercò di creare un impianto a Cornigliano (GE) ma con la 2° guerra non ci riuscì. Distrutto dai tedeschi.
L'industria meccanica italiana faceva piccole macchine utensili (Marelli, Olivetti), auto (Fiat), e aerei (Fiat, Breda, Piaggio). Il settore era in espansione ma senza grandi impianti come con il chimico. Il mercato interno non poteva ancora assorbire grosse produzioni. Comunque ci furono importanti trasformazioni (ad es. Fiat con produzione di Balilla) ma non fu un fenomeno di massa (nonostante il Lingotto). Avvenne invece in un domani, negli anni '50 e '60 con la 500 e 600.
Le industrie meccaniche non erano state assorbite dall'Iri ed erano autonome. Crebbero per materiale bellico, ma non più di tanto a causa della mancanza di materie prime.
Abbiamo visto i settori e le imprese dello sviluppo in epoca fascista.
Comunque si arrivò impreparati alla 2° guerra mondiale (che è un momento di verifica di un apparato produttivo di un paese). Frenò fra l'altro la mancanza di materie prime.
Se ci paragoniamo all'Urss lo sviluppo industriale dello stesso periodo è notevole ed arriva alla guerra pronta e vincitrice. Anche per la disponibilità immensa di materie prime e risorse.
Secondo la Zamagni l'Italia non vinse la guerra perché:
1. Gli obiettivi militari erano poco definiti (molti fronti): Inghilterra, Francia, Grecia, Africa, Balcani, insostenibile.
2. Ci fu una responsabilità dei vertici: impreparati, disorganizzati, in competizione fra loro, burocraticizzati, vincoli gerarchici, vecchi.
3. Riguardo l'apparato industriale già detto, lo stesso per le materie prime
4. Crollò il grado di collaborazione fra imprese e popolazione (nella 1° guerra mondiale l'Italia vinse dopo Caporetto anche per l'unione: operai militarizzati e spirito di collaborazione). A volte invece gli stessi operai boicottavano la produzione perché volevano un'Italia sconfitta.
Come la 2° guerra influì sulla produzione? Non si ampliarono gli spazi ma si rafforzarono le industrie che già c'erano (triangolo industriale).
Si voleva da sempre caratterizzare il sud con l'agricoltura ma si era sempre in ritardo.
Durante il fascismo si definirono ulteriori realtà industriali: Pomigliano d'arco (Sme), P.to Marghera, Bolzano e Ferrara.
P.to Marghera è del 1917 ma la vera crescita si ebbe negli anni 30.
5.000 addetti nel 1928 e 15.000 nel 1939. In quali settori? Chimica ed elettro – metallurgica. Concentrazione di fine anni 30. Produceva l'80% dell'alluminio, il 100% del plexiglass e 100% di propano e butano. Era il principale polo chimico italiano , con investimenti italiani ma pochi anche americani.
Bolzano: fra gli anni 1940-42 aveva 6.500 addetti ma era importante perché nuovo: acciaierie, alluminio della Montecatini.
Ferrara: 24 imprese nel 1942 con 4.200 addetti, tradizionali (es.Fiat) ma sopratutto chimico.
I settori nuovi quindi si affermano al di fuori del triangolo industriale. L'Italia meridionale viene dimenticata. Al momento dell'Unità d'Italia già si doveva sanare la differenza ma non venne fatto per mancanza di soldi. Nel 1904 ci fu una prima legge speciale per Napoli per favorire lo sviluppo (consente lo stabilimento siderurgico a Bagnoli). Poi più niente fino al secondo dopoguerra con la cassa per il mezzogiorno.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Barbara Pavoni
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- Università: Università Politecnica delle Marche
- Facoltà: Economia
- Docente: Augusto Ciuffetti
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