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Industrie in Italia tra le due guerre. Fiat e Ilva


Industria: la mobilitazione industriale e la difficile riconversione post-bellica

Mobilitazione industriale: fare in modo che le industrie nazionali possano affrontare la guerra, cioè possano produrre armi ed automezzi.
Per questo si chiamano “ausiliarie” (sotto il controllo dello Stato) tutte le industrie belliche. Vennero militarizzate così agli operai vennero chiesti alti ritmi di lavoro. Le associazioni sindacali si sciolsero.
Chi andava a combattere?
I contadini del sud i quali accettarono perché il governo promise loro una riforma agraria consistente in una ridistribuzione delle terre (ma così non fu).

L'Italia aveva un problema: non aveva materie prime industriali (ferro, carbone).
Fino a questo momento erano importate dalla Germania ma da ora furono Francia, Inghilterra e Usa a fornirle.
Con la guerra lo Stato entra prepotentemente in economia: arriva a controllare delle industrie.

Durante le guerra le industrie aumentarono di dimensione: il completamento dello sviluppo industriale italiano non significò quindi solo un progresso dei settori meno sviluppati. Infatti l'Alfa Romeo (che produceva solo automobili) iniziò a produrre anche automezzi per la guerra, armi, bombe, proiettili, motori, aumentando il numero degli occupati.
Metalmeccanica
Per Pollard la 1° guerra mondiale è il differenziale della contemporaneità, cioè a seconda delle diversità dei paesi, produce differenti situazioni. In Italia ad esempio sostiene la produzione di materiale bellico ed è una spinta al decollo. La conseguenza più evidente è l'affermarsi del modello della grande (grandissima) impresa specie in alcuni settori: metalmeccanico e chimico.

Ad esempio nella Fiat del 1914 gli operai erano circa 4300. Alla fine della 1° guerra essi saranno 40.000 anche per l'assorbimento di altre fabbriche tramite fusioni.
Si passa dalle 4.600 auto alle 16.500 dopoguerra. La maggior parte sono autocarri per truppe e guerra. Ma la Fiat diversifica le attività produttive com'è tipico della grande impresa. Così la catena di montaggio auto serve anche per autocarri, parti di aeroplani, motori, mitragliatrici, proiettili. Durante la guerra costruisce un nuovo stabilimento (Lingotto 1922).
Finite le commesse belliche non è così semplice e automatico riconvertire le fabbriche ad uso civile.

L'Ilva prima della guerra produce il 90% della ghisa ed il 60% dell'acciaio (Bagnoli, Portoferraio e Piombino). [Il restante 40% diviso tra Falk, Ansaldo, Terni].
L'Ilva si fonde con altre società e non solo per l'acciaio, diversificando: officine navali di Napoli (fusione verticale). Per queste operazioni sono necessari ingenti capitali, finanziati in pochi mesi dalle banche.
Si trattò di “gigantismo” industriale che generò una forte compenetrazione tra industria e finanza. Ci furono anche operazioni speculative (più a vantaggio delle aziende che dello sviluppo industriale).
Molti di questi gruppi furono in difficoltà anche per le riconversioni.
Nel 1921 l'Ilva è in profonda crisi per la riconversione e per l'indebitamento. Viene messa in liquidazione e salvata (ripulendola dalle attività accessorie).
Altro esempio fu l'Ansaldo di Genova. Alla vigilia della 1° guerra aveva 6.000 dipendenti, alla fine 56.000, anche con assorbimenti.
Nell'Ansaldo si realizzò il sistema verticale a ciclo completo: controllava tutto il processo produttivo: dal reperimento materie prime al prodotto finito.
Trasversale a tre settori: siderurgico, meccanico, marittimo. Controllava anche l'estrazione dalle miniere di Cogne (AO) e fino al trasporto dei prodotti finiti.
Produceva il 46% di tutta l'artiglieria costruita durante la guerra, come 3.000 aerei, 96 navi. Se l'Austria voleva vincere la guerra doveva bombardare l'Ansaldo.
I proprietari sono i fratelli Perrone. Avevano bisogno di finanziamenti che arrivarono dalla Banca Italiana di Sconto (BIS). Tentarono anche una scalata. Finita la guerra l'Ansaldo entrò in crisi (1920) per il processo di riconversione che fu lunghissimo ed anche la BIS fu coinvolta. Fu necessario l'intervento della Banca d'Italia e rifondare una nuova Ansaldo.

Tratto da STORIA ECONOMICA CONTEMPORANEA di Barbara Pavoni
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