I Criteri per la Determinazione del Fallimento
I criteri quantitativi individuati dal legislatore sono tre, e son elencati nell’Art 1 L.F.:
- attivo patrimoniale;
- ricavi lordi;
- debiti.
E’ sufficiente superare anche solo uno di questi tre criteri per essere dichiarati fallibili.
- Attivo patrimoniale di ammontare complessivo non superiore a 300.000 €; nel 2006 invece il legislatore faceva riferimento agli investimenti nell’azienda, ma nessuno li sapeva identificare, definire, comportando incertezza. Il legislatore del correttivo del 2007 è stato più chiaro usando il parametro dell’attivo patrimoniale. Nel rilevare tale valore bisogna prendere in considerazione la data di deposito dell’istanza di fallimento (istanza che può essere presentata dai creditori o dal pubblico ministero), andando ad analizzare i 3 esercizi precedenti: è sufficiente sovrastare a questo valore anche solo per uno di questi esercizi per essere considerati fallibili;
- Parametro dei ricavi lordi, desumibili dal conto economico, e sempre con riferimento ai 3 esercizi precedenti alla data in cui è stata presentata l’istanza di fallimento. Ricavi lordi “in qualunque modo risulti”, e quindi vanno considerati anche eventuali ricavi extra-contabili, “in nero”;
- Vengono compresi anche i debiti non scaduti, cioè ancora esistenti, per un ammontare che non deve superare i 500.000 €.
Il tribunale deve così verificare se l’imprenditore è iscritto nel registro delle imprese, se l’imprenditore è commerciale (dal registro delle imprese risulta difatti l’attività svolta) e dai bilanci (stato patrimoniale e conto economico) deve controllare che stia al di sotto delle soglie per i tre parametri visti per essere considerato non fallibile.
Dall’Art 1 L.F. II comma si legge “Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento…”, che non significa “non sono piccoli imprenditori”: il legislatore del 2007 non ha preso posizione nel definire chi siano piccoli imprenditori.
Ma quindi chi è piccolo imprenditore? Questa appena vista difatti è una norma che esaurisce la sua portata nell’ambito fallimentare, e quindi per la definizione di piccolo imprenditore continua a valere il 2083, piccoli imprenditori che non seguiranno lo statuto dell’imprenditore commerciale con le quattro classi di norme (i piccoli imprenditori sono anch’essi però iscritti nel registro delle imprese, ma in una parte speciale).
Si presentano tuttavia complicazioni ad esempio nel caso in cui tizio per il Codice Civile è considerato piccolo imprenditore, iscritto nella sezione speciale del registro delle imprese, non obbligato alla tenuta delle scritture contabili, e valgono inoltre per lui le norme sulla rappresentanza; nel momento in cui un creditore dovesse presentare istanza di fallimento nei suoi confronti, non si potrebbero verificare l’attivo, i ricavi e i debiti di tizio in quanto questi non era tenuto alla redazione delle scritture contabili per il Codice Civile, e rischierebbe quindi anche una condanna per bancarotta semplice (per non aver tenuto le scritture contabili): è questo un problema di non facile soluzione.
Una regola fondamentale nel processo civile è l’onere della prova: il giudice civile non è chiamato ad andare lui a compiere le verifiche in un processo civile, ma spetta alle parti, perché in caso in cui non vengano provate, si ritengono come circostanze inesistenti: l’attore deve provare i fatti costitutivi, il convenuto deve provare i fatti estintivi o impeditivi.
L’onere della prova spetta a chi ha più facilità nel provarlo.
Ora caliamo tutto ciò nell’ambito delle procedure concorsuali: l’istante della dichiarazione di fallimento deve provare che il fallendo è imprenditore, imprenditore commerciale, che è in stato di insolvenza: son tutti questi dei fatti costitutivi.
Io richiedente il fallimento devo provare che l’imprenditore è al di sopra di quelle soglie, oppure il convenuto deve dimostrare di essere al di sotto? Il legislatore del 2006 nulla diceva a riguardo, e ogni tribunale faceva a modo suo.
Se l’onere della prova è a carico del ricorrente e non lo dimostra, allora il convenuto non fallisce; se invece è il fallendo a dover dar prova di essere al di sotto, e non lo dimostra, allora egli fallisce.
Soluzione apportata dal legislatore del 2007: nell’Art 1 II comma si ha che “Non sono soggetti alle disposizioni sul fallimento e sul concordato preventivo gli imprenditori di cui al primo comma, i quali dimostrino…”: l’onere della prova spetta quindi all’imprenditore fallendo.
Perché il legislatore ha deciso così? E’ stata una regola dettata dal buon senso, in quanto è l’imprenditore fallendo che conosce i propri ricavi, debiti e l’attivo patrimoniale; sarebbe difatti più difficile l’onere della prova se fosse a carico del ricorrente.
Ulteriore complicazione: il giudice mette sul tavolo nel processo civile i fatti costitutivi e impeditivi, e non è chiamato a fare ulteriori indagini; trattandosi invece di tribunale fallimentare, il legislatore ha attribuito a questo potere istruttorio d’ufficio: difatti l’Art 15 L.F. relativo alla procedura di dichiarazione di fallimento prevede che il tribunale fallimentare possa provvedere autonomamente a compiere indagini istruttorie.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Andrea Balla
[Visita la sua tesi: "Analisi delle principali tecnologie applicate al settore automotive"]
[Visita la sua tesi: "I Diritti Particolari del Socio nella Nuova S.R.L."]
- Università: Università degli Studi di Torino
- Facoltà: Economia
- Docente: Prof. Cagnasso
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