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Ipotesi di estensione della tutela del consumatore in Italia

L'esigenza di tutelare un soggetto debole anche se imprenditore ha sortito un interessante effetto anche sotto un altro profilo: una parte degli interpreti si è infatti chiesta se la tutela del consumatore contro le clausole eccessivamente squilibrate non possa estendersi anche all'imprenditore, tra l'altro producendo al solito uno strumento di tutela completamente diverso, perché un conto è l'abuso di potenza economica (difesa contro un abuso posto in essere nel corso della procedura della formazione del contratto, anche se poi si sostanzia nella stipulazione del contratto squilibrato: l'art. 9 della legge sulla subfornitura non dice che qualsiasi contratto squilibrato è condannabile, bensì dice che è da condannare quel contratto squilibrato risultato dell'abuso della parte forte; se le due parti hanno pari forza e stipulano un contratto squilibrato perché una parte vuole fare un regalo all'altra il contratto è valido; se una parte pur essendo debole vuole firmare un contratto squilibrato il contratto è valido; il problema sorge quando la parte forte compie un abuso, cioè nelle more della formazione del contratto), un conto è il contratto con il consumatore.
In questa ipotesi abbiamo un controllo sostanziale. Il legislatore, siccome il consumatore è un soggetto debole, ogniqualvolta una controparte è un consumatore presume la sua debolezza, ed introduce un controllo sul contenuto del contratto. Se quest'ultimo è squilibrato, il contratto è comunque invalido.
Una parte degli interpreti tenta di estendere il controllo sostanziale stabilito dal legislatore per i consumatori anche al piccolo imprenditore.
Questo tentativo si sostanzia in una controversia giudiziale, che ha un esito particolare.
Un soggetto, artigiano, che aveva stipulato un contratto particolarmente squilibrato si rivolge ad un giudice di pace chiedendo l'applicazione, nonostante lui fosse un imprenditore, delle regole di tutela previste per il consumatore (art. 1469 bis e segg. Codice civile, ora codice del consumo); e di fronte al giudice sostiene l'applicabilità di quelle norme anche al piccolo imprenditore, perché se così non fosse si sarebbe di fronte ad un problema di costituzionalità di quelle norme in quanto vi sarebbe disparità di trattamento in violazione dell'art. 3 della costituzione. Infatti, il piccolo imprenditore è un soggetto debole tanto quanto il consumatore, e l'articolo 3 prevede che situazioni simili debbano essere trattate in modo simile.
La Corte Costituzionale
Nel nostro ordinamento il problema di costituzionalità si risolve attraverso il sistema del rinvio alla corte costituzionale. Quindi il giudice al quale fu palesata questa questione (il pretore di Sanremo) bloccò il processo e, ritenendo la questione non priva di fondamento, rimise tutto alla corte costituzionale.
Investita del problema, la corte costituzionale rispose con la sentenza del 20 novembre 2002, dichiarando infondata la questione ed argomentando che le norme di protezione del consumatore sono finalizzate a tutelare soggetti che in base all'esperienza sono presumibilmente privi della necessaria competenza per negoziare, a differenza del piccolo imprenditore e dell'artigiano, dotati per via dell'attività svolta delle condizioni idonee per contrattare su un piano di parità con la controparte.
Quindi ci fu un tentativo indicativa di cosa si agita sotto le acque, ma quel tentativo fu bloccato: la corte costituzionale non ritenne fosse il caso di estendere le regole previste per la tutela del consumatore. Inoltre la protezione dell'imprenditore debole è già prevista dall'art. 9 della legge sul contratto di subfornitura.

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