Commerci Internazionali nell'economia industriale
Linee del pensiero economico tra XVIII e XIX secolo
Due impostazioni diverse di politica economica si vanno definendo tra 700 e 800.
Una linea di pensiero è quella liberale-liberoscambista, l'economia classica; i suoi principali teorici sono Adam Smith, secondo cui lo Stato dovrebbe avere compiti limitati e l'iniziativa economica essere in mano ai privati, David Ricardo (“I principi di economia politica”, 1819), teorico del libero scambio, secondo cui è conveniente che ogni paese produca ciò che gli è naturale produrre e che nel farlo ne risulta avvantaggiato, quindi si dovrebbe specializzare in quel tipo di produzione e vendere
i suoi prodotti all'estero, importando invece i beni che sanno fare meglio gli altri paesi, e John Stuart Mill. Il “nemico” del libero scambio è il dazio doganale, che contraddice alla base un principio del liberoscambismo, innalza barriere commerciali che limitano gli scambi e distorcono il mercato.
Nel 1791 negli USA, Alexander Hamilton (segretario di stato) scrive un rapporto sulle manifatture dove sostiene che per sviluppare l'industria manifatturiera sono invece assolutamente necessari dei dazi sull'importazione per difenderla dalla concorrenza dell'industria britannica, dal momento che uno scontro "alla pari" era perso in partenza.
Friedrich List scrive nel 1837 "Il sistema nazionale dell'economia politica", dove si pone il problema dello sviluppo industriale della Germania, allora un paese ancora preindustriale, e ritiene che per realizzarlo erano necessarie delle barriere doganali per proteggere la nascete industria. Questi due autori ritengono che il dazio doganale sia uno strumento che può aiutare lo sviluppo di qualcosa di nuovo o difendere qualcosa di già esistente ma decrepito o che sta attraversando fasi di difficoltà. E' in ogni caso visto come strumento di sviluppo, concepito e utilizzato in modo e con scopi molto diversi da quelli delle teorie mercantilistiche.
A inizio '800 le politiche economiche messe in atto dai paesi sono di stampo protezionistico, con strascichi mercantilistici (ad es in Inghilterra erano ancora in vigore i Navigation Acts e durante le guerre napoleoniche c'era la Corn Law): i dazi doganali erano presenti ovunque.
A partire dagli anni '30 del 800 ha inizio in Inghilterra una campagna politica a favore dell'abolizione dei dazi doganali; a capo di questo movimento c'era la “Manchester Anti-Corn Law league”, capeggiata da Richard Cobden, un industriale cotoniero. Le sue motivazioni erano ideali (era liberoscambista) da una parte, dall'altra motivate da interessi più concreti, in quanto l'industria tessile inglese di quel periodo non aveva rivali e quindi, per gli industriali del cotone, un mondo senza dazi sarebbe stato il mondo migliore possibile: l'abolizione delle Corn Laws avrebbe infatti permesso di attuare accordi internazion
Chi non era favorevole all'abrogazione erano invece i produttori di cereali, la grande proprietà terriera - una frazione cioè della classe dirigente - e che avevano messo in atto lo sviluppo dell'agricoltura nei decenni precedenti. Nel 1846 furono abrogate le Corn Laws (e ciò è significativo perchè indica che la borghesia industriale inglese era divenuta più potente della proprietà terriera, della borghesi agraria) e gli Atti di Navigazione (anche la flotta inglese era ormai da tempo la più potente al mondo, è comunque un'indicazione di politica economica).
Anche altri paesi adottano politiche liberoscambiste, tra cui anche il Regno Sabaudo (con Cavour, che vedeva nell'Italia la vocazione agricola e non industriale → era un proprietario terriero). Queste politiche prevedevano in un certo senso una divisione internazionale del lavoro, e furono
messe in atto attraverso trattati commerciali bilaterali, il più importante dei quali fu il trattato anglo- francese Copten-Chevalieu del 1860, che portarono a una riduzione dei dazi.
Questo trattato (e molti altri in seguito) conteneva la clausola "nazione più favorita": se uno dei due paesi contraenti avesse stipulato in una fase successiva un altro trattato con un terzo paese, e se questo trattato avesse contenuto clausole “più” liberoscambiste, queste sarebbero state automaticamente applicate anche al primo trattato. Questa clausola amplificava ogni passo avanti in direzione della liberalizzazione degli scambi (anni '60).
Alle fine degli anni '70 si ha invece un ritorno a politiche protezionistiche, da un lato caldeggiate dalla borghesia industriale dell'Europa continentale (che si voleva tutelare dalla concorrenza estera), dall'altro per via della diffusione dell'idea che vedeva lo sviluppo industriale come irrinunciabile caratteristica di ogni paese moderno → l'industria è sinonimo di modernità e di forza e lo sviluppo industriale va quindi favorito con tutti i mezzi. Risale inoltre a questo periodo l'arrivo massiccio sul mercato europeo dei cereali americani e russi a basso prezzo, che fa vacillare la fiducia nel libero scambio dei coltivatori europei. I dazi introdotti mirano a tutelare i cereali e i prodotti industriali. L'Inghilterra è l'unico paese che continua a politica liberoscambista. Nonostante tutto comunque i volumi del commercio mondiale continuano a essere in costante aumento. Il settore agricolo
europeo vive una forte crisi, che si traduce in migrazioni dalle campagne alle città.
L'adozione delle politiche commerciali si lega sempre alla tutela di interessi forti, delle frazioni più potenti del sistema economico.
Rapporto economico tra Europa e altri continenti
Sino alla metà dell'800 l'Europa accresce il suo peso nel mondo e i cittadini europei diventano ancora relativamente più ricchi rispetto a quelli di tutti gli altri continenti.
Per quanto riguarda l'America, va rapidamente sgretolandosi il vecchio modello del colonialismo europeo: prima negli USA, poi anche nelle colonie spagnole e portoghesi, si sviluppano dei movimenti di indipendenza, appoggiati dall'Inghilterra, che trova l'occasione di mettere in crisi gli imperi coloniali americani, con l'obiettivo di proporsi come il principale partner commerciale dei nuovi paese indipendenti.
In Asia e Africa si assiste a una nuova ondata di colonialismo europeo, mentre prima, colonie vere e proprie di controllo diretto dei territori, vi erano quasi esclusivamente in America. Gli olandesi occupano l'Indonesia, i francesi l'Indocina, l'Inghilterra occupa l'India, il Pakistan, l'Afghanistan. In Africa la Francia occupa Marocco, Tunisia, Algeria e Costa d'Avorio; l'Italia occupa la Libia......
Nel 1914 l'Africa sarà interamente colonizzata, ad eccezione della Liberia (dove trasferisce un certo numero di ex schiavi liberati, che diventano dominatori) e l'Etiopia, dove l'Italia aveva fallito il tentativo di conquista.
La Cina è un obiettivo, ma è troppo vasta per essere fatta colonia; i primi a farvi capolino sono gli inglesi, che vi esportano oppio, con i cui proventi riacquistano sete e porcellane da rivendere loro volta. Nel 1839 viene sequestrata a Canton dalle autorità cinesi una nave inglese carica di oppio: questo fatto scatena la c.d. “Guerra dell'oppio” (1839-42), vinta dall'Inghilterra, che afferma il principio che la Cina non deve impedire l'afflusso dei prodotti inglesi, qualsiasi essi siano e, inoltre, pur non potendo conquistare la Cina, prende Hong-Kong come sua base, che diventa un centro di sovranità extraterritoriale inglese (sino al 30 giugno 1997). Quest'esempio viene seguito anche dagli altri paesi europei (vedi "trattati ineguali").
Gli USA non creano colonie.
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Dettagli appunto:
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Autore:
Silvio Traverso
[Visita la sua tesi: "La Rivoluzione Industriale inglese. Variabili economiche e dibattito storiografico"]
- Università: Università degli studi di Genova
- Facoltà: Economia
- Esame: Storia economica
- Docente: Marco Doria
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