La Nouvelle Vague
La Nouvelle Vague nasce e si sviluppa in Francia tra la fine degli anni '50 e l'inizio degli anni '60 e costituisce una tendenza di importanza capitale per il cinema moderno, soprattutto perché favorirà la nascita di nuove manifestazioni cinematografiche a livello internazionale.
Punti di riferimento per la Nouvelle Vague sono due dichiarazioni di intenti che sembrano preannunciare il suo avvento:
• Nel 1948, il critico cinematografico Alexandre Astruc scrive un articolo intitolato “Una nuova avanguardia: la caméra-stylo”, nel quale sottolinea il ruolo del cinema come linguaggio, flessibile ed eclettico, che in quanto tale deve saper esprimere il pensiero umano. Ipotizza anche che non esista più una differenza tra autore della sceneggiatura e film vero e proprio, preannunciando l'idea di autore cinematografico, figura in grado di gestire tutti gli aspetti della lavorazione del film.
• Nel 1954, Truffaut, cinefilo, intellettuale, critico e regista, scrive un articolo intitolato “Una certa tendenza del cinema francese”. All'interno di questo articolo, Truffaut si scaglia contro il cosiddetto cinema di papà, cioè contro il cinema dei registi appartenenti alla generazione dei padri e che rappresenta un modello invecchiato di studio system. Il cinema francese di questi anni era infatti fortemente corporativizzato e sindacalizzato, posto sotto lo stretto controllo del governo. Si tratta di un cinema di sceneggiatura che faceva affidamento su un gusto prettamente letterario e su film interamente realizzati in teatri di posa.
L'espressione “Nouvelle Vague” non nasce in ambito cinematografico, ma viene usato per la prima volta nel 1957 in ambito sociologico all'interno di un'inchiesta condotta sulla gioventù francese.
Viene poi usato in ambito cinematografico a partire da maggio del 1959 quando, in occasione del Festival del cinema di Cannes, vengono presentati “Hiroshima mon amour” di Alain Resnais e “I quattrocento colpi” di Truffaut.
La Nouvelle Vague nasce soprattutto dalla cinefilia di questa nuova generazione di registi, che molto spesso svolgono prima l'attività di critici per le numerose riviste cinematografiche specializzate che si diffondono in questi anni. Questi non si limitano però solo alla critica ma sviluppano una propria idea di cinema che metteranno poi in pratica durante la loro carriera di registi.
Nei primissimi anni i registi della Nouvelle Vague devono fare affidamento su strumenti cinematografici vecchi. Negli anni seguenti si fa ricorso alla pellicola da 16mm, alle riprese in presa diretta del suono e a macchine da presa leggere, tenute a mano o in spalla all'operatore.
I film della Nouvelle Vague sono film a basso costo: le riprese venivano girate molto spesso in esterni e anche gli attori erano attori giovanissimi, esordienti e quindi economici dal punto di vista produttivo. L'impiego di questi attori comportava anche la presenza di tratti somatici e comportamentali nuovi, che si distanziavano parecchio dal cinema degli anni precedenti.
Altre caratteristiche sono:
• Il rinnovamento dei soggetti, della sceneggiatura e degli argomenti, molto più vicini alle giovani generazioni francesi.
• Ricorrenza di monologhi e soliloqui da parte di alcuni personaggi.
• Personaggi lontani dalla figura dell'eroe, caratterizzati dall' inazione e dall' incapacità di reagire o porsi un obiettivo.
• Impiego della luce opaca, naturale, quindi priva di drammaticità.
• Mescolanza di registri stilistici.
• Racconto personale, soggettivo, come se fosse scritto in prima persona da un autore.
• Volontà di non nascondere il processo del montaggio e della mediazione linguistica.
Evidente è soprattutto la presenza di raccordi, in particolare gli “jump cats”, cioè rapporti tra inquadrature disposte in successione volutamente disarmonici.
Manifesto della Nouvelle Vague è “Fino all'ultimo respiro”, film diretto nel 1959 da Godart, che potremmo considerare film di genere anche se, per come è costruito a partire dai personaggi, assume una forte connotazione noir.
Il protagonista della vicenda è Michelle, un piccolo malavitoso colpevole di un'uccisione di un poliziotto, che si reca a Parigi per vedere una ragazza americana di cui si è innamorato, nonostante sia braccato dalla polizia.
Le riprese si sono svolte soprattutto in esterni con il ricorso alla macchina a mano o tenuta in spalla dall'operatore, dettaglio che conferisce al film un grande dinamismo. La macchina segue i movimenti dei personaggi. Evidente è il montaggio delle inquadrature, spesso montate in successione senza il ricorso a segni di interpunzione e con differenze di angolazione minime che costituiscono un fattore disturbante. Sono privi di segni di interpunzione anche le numerose fratture sul piano spazio-temporale.
Queste scelte conferiscono al film un ritmo sincopato e manifestano una soggettività esasperata.
Il film è ricco di dialoghi, spesso banali, che sembrano non portare a nulla, quindi molto lontani dai dialoghi del cinema classico.
La luce è la luce opaca e naturale, ma si fa ricorso in alcune scene anche al contro-luce.
Nello stesso anno esce “I quattrocento colpi”, diretto da Truffaut e presentato in occasione del Festival del Cinema di Cannes e dedicato alla memoria di Andrè Bazin, con il quale aveva un rapporto molto stretto.
Il film ha carattere autobiografico (quindi il protagonista costituisce il doppio di Truffaut) e racconta la fase di maturazione di Antoine, un adolescente cinefilo alle prese con una situazione familiare complicata: la madre infatti lo ha avuto da giovanissimo e lo ha cresciuto da ragazza madre, per poi sposarsi con un uomo con il quale Antoine ha un rapporto problematico. A causa del suo atteggiamento irrequieto, il ragazzo finirà in un centro di rieducazione per minorenni, dal quale poi scapperà per raggiungere la spiaggia, realizzando il suo sogno di vedere il mare.
Antoine è interpretato da un giovanissimo Jean-Pierre Léaud, che interpreterà questo ruolo in altri 5 film di Truffaut, che ritraggono le altre fasi della sua vita, dalla giovinezza fino al matrimonio e la crisi coniugale.
Il film si apre con delle inquadrature in camera car che ci mostrano diverse vie di Parigi e nelle quali è sempre possibile scorgere la Tour Eiffel. Questo dettaglio risponde in parte all' ossessione di Truffaut per la Tour Eiffel, in parte al volere del regista di dare al film un tono lirico e sentimentale. Le inquadrature ci preannunciano inoltre che la città avrà un ruolo di primo piano all'interno del film.
In alcune parti del film si ha un passaggio molto libero da un'inquadratura all'altra, anche se meno evidente rispetto al film di Godart; in altre, come nelle scene in cui Antoine parla allo psicologo, le dissolvenze incrociate sottolineano il trascorrere del tempo e il succedersi degli argomenti.
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Dettagli appunto:
- Autore: Roberta Carta
- Università: Università degli Studi di Cagliari
- Facoltà: Beni culturali
- Esame: Storia del cinema e analisi dei film
- Docente: David Bruni
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