Riassunto del testo "Introduzione al cinema". Nel riassunto vengono riprese riflessioni intorno alla macchina cinematografica, in particolare il rapporto nel cinema tra immagine e parola e il rapporto con le altre arti quali il teatro. Infine riflessioni sul ruolo della semiologia nel cinema.
Storia e critica del cinema
di Gherardo Fabretti
Riassunto del testo "Introduzione al cinema". Nel riassunto vengono riprese
riflessioni introno alla macchina cinematografia, in particolare viene trattato il
rapporto nel cinema tra immagine e parola, il rapporto con le altre arti quali il
teatro, e infine riflessioni sul ruolo della semiologia nel cinema.
Università: Università degli Studi di Catania
Facoltà: Lettere e Filosofia
Esame: Storia e critica del cinema
Docente: Sarah Zappulla Muscarà
Titolo del libro: Introduzione al cinema
Autore del libro: Fernaldo Di Giammatteo
Editore: Mondadori
Anno pubblicazione: 20021. La "non definizione" di cinema
La natura del cinema. Una storia di equivoci.
Che cos’è il cinema? A questa domanda solo il filosofo Henri Bergson, nel 1907, fornisce una risposta
concreta, e lo fa nel quarto capitolo de L’evolution crèatrice, collegando con filosofica freddezza i termini
“macchina” e “meraviglia”, laddove la stragrande maggioranza delle persone vi aveva visto solo la seconda,
come enigma insondabile.
Il cinema provoca nel consolidato sistema delle arti una vera e propria frattura, sia linguistica (tracciare una
concreta poetica del fenomeno che vada al di là della semplice definizione di una realtà che non ha
precedenti iconici) sia tecnica (è la riproduzione meccanico – ottica del movimento la riproduzione fedele
della realtà?).
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia e critica del cinema 2. Teorie sul rapporto cinema/teatro
Le scoperte, le certezze, l’arroganza dei precursori
Tutti i tentativi di normazione del linguaggio cinematografico convergono agli esordi sul tema della visività;
sotteso al tema della visività sta il rapporto del cinema con l’arte che più gli si avvicinava: il teatro. Ne
citiamo alcuni.
Louis Delluc fu teorico e regista negli anni Venti. Diresse sette film, il migliore dei quali fu senza dubbio
L’inondation (1924) che riassumeva e traduceva nella concretezza dell’immagine la sua idea di cinema
come arte basata essenzialmente sulla visività, che sola riesce a rivelare l’intima bellezza dei corpi, dei volti,
delle cose e della natura, la loro fotogenia. La fotogenia era concetto allora piuttosto ambiguo, definibile
come qualità determinata dal rapporto tra immagine in movimento e oggetto riprodotto.
Hugo Murstenberg analizzò le differenze tra teatro e cinema da un punto di vista strutturale e psicologico. Il
cinema dà un taglio degli eventi drammatici che, a differenza del teatro, si forma sulla base degli impulsi
della mente. Il cinema sacrifica i valori lineari e concreti dello spazio e del tempo, permettendoci, ad
esempio, di portarci al passato dell’azione in ogni momento. Il cinema è il trionfo della mente sulla realtà
immutabile del mondo esterno.
Sebastiano Luciani sostiene che il teatro si basa su elementi che svolgendosi senza soluzione di continuità
giungono ad un punto culminante; il cinema è, invece, un insieme di punti essenziali e culminanti.
Gyorgy Lucaks fu il tipico intellettuale arroccato nella propria torre d’avorio, incapace di sforzarsi di
comprendere la vera novità del cinema, considerata dall’ungherese come arte puramente visiva e
superficiale.
I Futuristi che vedevano nella visività il fulcro dell’arte cinematografica, che pur doveva staccarsi dalla
realtà. L’idea di cinema futurista è espressamente anti realista e anti narrativa, propensa a forme visive più
astratte, come il disegno animato, i film di pupazzi, le manipolazioni ottiche. Non desideravano leziosità
teatrali e pedisseque imitazioni del reale, ma costrutti visivi polisemantici.
Fino ad ora abbiamo parlavo della visività come criterio sufficiente e necessario alla definizione di partenza
di una poetica cinematografica. In realtà altro criterio imprescindibile è quello della narratività. In ogni
immagine, in ogni inquadratura, oltre allo spazio esiste il tempo, dunque una narrazione. Agli albori della
teoria cinematografica, il rapporto spazio – tempo che Bachtin aveva individuato nel campo della letteratura,
non veniva ancora considerato all’interno del mondo del cinema. Non ci si rendeva conto che le pellicole
narrano storie, e che le storie hanno un tempo, e che questo tempo provoca mutamenti nell’immagine anche
quando nulla sembra muoversi nella scena. Ciascun movimento, poi, produce un nuovo potenziale
significato, oltre a quello visibile. Basti vedere l’esempio della signora col cappello del primo film dei
Lumiere.
Gherardo Fabretti Sezione Appunti
Storia e critica del cinema