Nel corso verranno introdotti i modelli teorici psicologici per inquadrare i processi di sviluppo ed educazione in prospettiva interculturale. Inoltre, saranno affrontati i temi relativi alla cura e all’educazione dei piccoli (i diversi modelli di intendere l’infanzia e il rapporto con l’età adulta, i traguardi di sviluppo, le modalità di rimprovero e le forme di regolazione della disciplina, le pratiche del sonno, il racconto di storie, letture per l’infanzia, il gioco tra pari e con gli adulti), comparando modelli culturali diversi.
Anno accademico: 2017/2018
Pedagogia interculturale e della cooperazione
di Mariasole Genovesi
Nel corso verranno introdotti i modelli teorici psicologici per inquadrare i
processi di sviluppo ed educazione in prospettiva interculturale. Inoltre, saranno
affrontati i temi relativi alla cura e all’educazione dei piccoli (i diversi modelli di
intendere l’infanzia e il rapporto con l’età adulta, i traguardi di sviluppo, le
modalità di rimprovero e le forme di regolazione della disciplina, le pratiche del
sonno, il racconto di storie, letture per l’infanzia, il gioco tra pari e con gli adulti),
comparando modelli culturali diversi.
Anno accademico: 2017/2018
Università: Università degli Studi di Milano - Bicocca
Facoltà: Psicologia
Corso: Psicologia dello sviluppo e dei processi educativi
Esame: Pedagogia Interculturale e della Cooperazione
Docente: Alessia Agliati1. La pedagogia
Cosa è la pedagogia? È un’interdisciplina, perché è un ambito del sapere che attinge da discipline differenti:
psicologia, linguistica, storia, linguistica, antropologia -> il suo sapere teorico parte proprio da questi ambiti
disciplinare -> così può mettere a fuoco la conoscenza dei processi educativi, cioè le pratiche con cui il
bambino può essere educato al meglio. In quanto interdisciplinare la pedagogia necessita quindi della
conoscenza delle discipline da cui attinge. Perché interculturale? Perché molto del sapere sui bambini deriva
dalle ricerche antropologiche. Gli studi antropologici, dagli anni 90, dicono che la maggior parte dei
bambini nel mondo non vive in Europa o in nord-America, ma nel resto del mondo, cioè in quei contesti
culturali non presi in considerazione dalla ricerca psicologica (Africa, Asia, ecc), che prende in
considerazione soprattutto i contesti globalizzati e industrializzati.
Essere bambini in Africa o Asia è diverso dall’esserlo in America o in Europa -> ciò dipende da tutta una
serie di fattori di tipo ambientale (ad esempio clima, ciclo giorno-notte), che modificano il modo di vivere e
di conseguenza il modo di educare i bambini e di pensare a loro. Quindi gli studi antropologici stanno
rivoluzionando la psicologia. L’antropologia porta a riconsiderare che ciò che abbiamo creduto leggi
universali sullo sviluppo (ad esempio gli stadi di sviluppo) in realtà cambia totalmente in altre parti del
mondo, in cui gli studi di psicologia dello sviluppo non è arrivata. La pedagogia, influenzata da questi studi
antropologici, porta a considerare il bambino dentro un contesto molto concreto e specifico.
Interculturale vuol dire tra le culture, quando culture diverse entrano in interazione. Essendo pedagogia
interculturale, ci si concentrerà principalmente sul modo in cui la cultura plasma lo sviluppo e l’educazione
del bambino. Inoltre anche in uno stesso contesto (ad esempio l’Italia o anche solo l’’hinterland di Milano o
la famiglia di appartenenza) esistono diverse micro culture -> quando si parla di interculturale non si parla
solo di appartenenza nazionale, ma di comunità che condividono linguaggi, valori, ideali. Ragionare in
termini di interculturale vuol dire alla fine ragionare in termini di diversità, intesa come valore.
Considerare i metodi educativi di altre culture serve per aumentare la consapevolezza circa i propri metodi
(dato che i metodi di altre culture sono totalmente diversi). Capendo ciò che succede in altri contesti
culturali, si impara a non giudicarli (anche se bizzarri), dato che vengono inseriti nello specifico contesto
culturale, in cui ha un senso. Guardate dall’interno le pratiche più strane hanno un senso, un significato.
Questo è essenziale per uno psicologo, perché inevitabilmente lavorando nelle scuole si entrerà in contatto
con bambini e famiglie di culture diverse (con pratiche diverse, ma non sbagliate, anzi hanno un valore), ma
soprattutto perché lo psicologo deve entrare in relazione non solo con persone di altre culture, ma persone
italiane che comunque hanno una loro cultura di riferimento (lo psicologo deve essere in grado di entrare nel
punto di vista dell’altro -> è lo strumento più importante che deve possedere uno psicologo).
La pedagogia è molto pratica, nasce nei contesti di vita specifici.
Perché della cooperazione? La cooperazione è il fine ultimo del dialogo interculturale -> se si è in grado di
assumere una prospettiva interculturale si riesce a creare forme di cooperazione, si crea un terreno per la
nascita della cooperazione tra gruppi, comunità e culture.
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Pedagogia interculturale e della cooperazione 2. Il collage
Nuclei ricorrenti quando si chiede di comporre un collage riguardante il tema "bambino": famiglia /
immaginazione / gioco / scuola / futuro / curiosità / affetto / regole / sviluppo.
In questi collage il bambino viene rappresentato sorridente, vestito, con un aspetto curato, che interagisce
con degli oggetti -> in generale un bambino che sta bene. Inoltre è in relazione con la famiglia, prevale la
relazione con gli adulti di riferimento, individuati nei genitori -> il bambino è al centro delle loro attenzioni.
Questa relazione è caratterizzato da affetto, coccole, contatto fisico, intimità. Bambino e genitore si
guardano negli occhi. Ci sono anche le relazioni multilaterali, in cui il bambino si trova con i pari,
all’interno di un gruppo. Tale gruppo è comunque istituzionalizzato (la classe scolastica), formato dagli
adulti. Le immagini in cui il gruppo è spontaneo sono davvero poche. Che tipo di relazione ha con
l’ambiente? Sono più presenti ambienti interni o esterni? Interni, come se il mondo del bambino fosse la sua
casa, in particolare la sua camera. È molto presente anche la scuola. Quindi è un bambino che passa più
tempo all’interno piuttosto che all’esterno. Con cosa interagisce il bambino? Con gli animali domestici, con
il cibo (dolci, ma anche cibo che non piace, ad esempio broccoli -> si riconosce il fatto che il bambino ha
dei gusti), con i giochi (vi sono interi mondi costruiti per i bambini -> oggetti fatti su misura per i bambini),
con materiale scolastico (di nuovo torna la pervasività della scuola). Ci sono anche immagini di bambini di
altre culture, i quali però perlopiù sono seri o addirittura tristi, e si trovano all’aperto.
Immagine di bimbo di 11 mesi del Congo che maneggia un machete per aprire un frutto (è sul Rogoff): non
esprime emozioni particolare, a parte la concentrazione. Inoltre è nudo, e dietro di lui si vedono corpi di altri
adulti è bambini, quindi non è isolato ma si trova in un gruppo di altre person. È all’aperto e sta
maneggiando uno strumento pericolosissimo. Rogoff parla del contrasto tra immagini di infanzia -> nella
nostra civiltà europea occidentale il bambino è in un modo, in Congo è in un altro. A che età un bambino
può maneggiare un oggetto affilato? Dipende dalla cultura: nella nostra società a un’età elevata, in Congo
già a a 11 mesi, in modo da poter rendersi autonomo e poter sopravvivere nel suo contesto (nel nostro
contesto non sarebbe utile saper maneggiare un machete, così come nella cultura del Congo non è utile saper
maneggiare un pennarello).
Bambina di 6 anni che si occupa del fratellino: se ne occupa in modo globale (lo cambia, lo nutre ecc)
mentre i genitori lavorano nei campi. In alcune società bambini anche più piccoli di 6 anni si prendono la
totale responsabilità di un bimbo. Nelle società occidentali si pensa che circa un ragazzo di 14 anni può
occuparsi di un bimbo, mentre guardando questa fotografia si capisce che anche questa variabile dipende dal
contesto.
Quali sono i traguardi importanti che un bambino deve raggiungere nella nostra società? Mangiare da solo,
leggere e scrivere, acquisire abilità cognitive (ad esempio la capacità di astrazione), apprendere teorie,
acquisire abilità socio-relazionali -> queste abilità sono fondamentali per poter essere inserito nel mondo del
lavoro, che nelle società occidentali è un lavoro prevalentemente intellettuale. Quindi nella nostra società è
molto importante che i bambini acquisiscano molto precocemente certi tipi di abilità intellettuali e
relazionali.
Quali sono i traguardi importanti per i bambini del Congo? Sopravvivere nel suo ambiente, diventare
autonomo, apprendere abilità manuali, apprendere a procurarsi il cibo, sapersi coordinare a livello oculo-
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Pedagogia interculturale e della cooperazione motorio, occuparsi dei bambini. Come apprendono queste abilità? Attraverso un’osservazione diretta del
comportamento degli adulti. Il bambino partecipa attivamente nel suo apprendimento.
Come apprendono invece i bambini delle società occidentali? Attraverso la scuola, che trasmette in modo
diretto, esplicito e intenzionale degli insegnamenti. Anche qui è importante la componente della
partecipazione.
Con questi esempi si vedono bene alcune differenze nelle pratiche di apprendimento (da un lato
apprendimento per osservazione, dall’altro apprendimento tramite trasmissione esplicita).
Rogoff dice che lo sviluppo è una partecipazione guidata dall’adulto, e questo accade in tutte le culture. Ciò
che cambia sono i contenuti dell’apprendimento (in base ai traguardi di sviluppo importanti per adattarsi a
un dato di contesto) e le modalità di apprendimento (per osservazione o trasmissione).
In realtà anche nella nostra cultura una cinquantina di anni fa era normale che un bambino si occupasse di un
bambino più piccolo. Ciò che è cambiato in questi anni è stata l’industrializzazione, attraverso cui gli adulti
si sono spostati dalle campagne alle città, in cui hanno cominciato a lavorare nelle industrie, quindi ambienti
non accessibili ai bambini. Inoltre si è sviluppata l’idea che l’infanzia deve essere tutelata, e quindi la
partecipazione del bambino al lavoro è visto come sfruttamento (si può lavorare solo dai 16 anni in poi).
Dato che i genitori dovevano andare al lavoro si poneva il problema di dove lasciare i bambini (lasciarli a
casa da soli o con i nonni non permetteva loro l’apprendimento), è stata introdotta la scolarizzazione
obbligatoria, in cui potevano apprendere i nuovi lavori nelle industrie. L’industrializzazione ha quindi
determinato la segregazione del mondo dell’adulto dal mondo del bambino (il bambino nel mondo
scolastico, l’adulto nel mondo lavorativo).
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Pedagogia interculturale e della cooperazione 3. Metodologia del collage
In ambito sistemico si usa il collage anche a livello clinico
Sul collage non esistono tante pubblicazioni (sul libro di Anolli c’è una piccola parte).
La dimensione giocosa, che ha a che fare con con il contatto con i fogli e la manipolazione, è una
componente importantissima del collage, dal momento che coinvolge quella dimensione emotiva che ci ci
predispone bene all’attività (dimensione del fare prima ancora del pensare). La dimensione del piacere è
essenziale al funzionamento del pensiero -> la connessione tra processi cognitivi ed emotivi
nell’apprendimento è dimostrata da numerosi studi. Il piacere fa rilasciare ossitocina, che a sua volta fa
rilasciare dopamina e serotonina, le quali poi vanno ad attivare le aree della memoria -> fare una cosa che ci
mette in una condizione di massima distensione ci permette quindi di apprendere meglio.
Quali sono le principali funzioni del collage? Innanzitutto ha un valore semantico, nel senso che permette di
veicolare significati, i quali si trovano nella mente non di una sola persona, ma di tante persone, che devono
coordinarsi in un’unica narrazione. A questo proposito si può parlare di intenzione collettiva, che non è data
dalla somma delle singole idee, ma è qualcosa di sovraordinario rispetto alle singoli parti. È una intenzione
che nasce dal fatto che ognuno dà un contributo, ed è diverso da ciò che sarebbe venuto fuori se ognuno
avesse agito singolarmente. Ma che significati sono? Non passano attraverso il codice denotativo (delle
parole), che è anche il più convenzionale, ma attraverso le immagini (questo perché le associazioni che si
possono fare con un’immagine sono molte di più rispetto a quelle che si possono fare con una parola) ->
l’immagine impatta a livello emotivo e ciò fa aprire a significati molto più ampi -> ha una capacità
connotativa molto più ampia delle parole (le immagini aiutano a far venire in mente associazioni che a priori
non sarebbero emerse). Inoltre ogni persona ha un suo focus attentivo che lo porta a selezionare alcune
immagini piuttosto che altre -> il collage quindi, attraverso le immagini, permette di fare emergere le
differenze di prospettiva tra i membri del gruppo. Il collage inoltre si presta a molte interpretazioni diverse -
> ogni membro del gruppo vuole esprimere qualcosa con il collage, però se poi si fa vedere il collage ad
altre persone, le interpretazioni possono essere anche molto diverse (proprio perché le immagini sono molto
meno convenzionali delle parole). Questo è il fenomeno dell’opacità comunicativa: l’intenzione con cui è
stato costruito il collage non è inferita in modo coincidente, ma esiste sempre uno scarto di significato tra ciò
che pensa l’autore del collage ciò che pensa chi lo guarda -> questo in realtà riguarda in generale la
comunicazione (più si comunica in modo opaco, più l’altro capisce ciò che vuole), dato che la nostra mente
non è trasparente. Questa opacità comunque viene tenuta sotto controllo nella comunicazione verbale (dato
che come si diceva una parola ha poche interpretazioni), mentre nel collage, in cui il l’ingaggio è per
immagini, l’opacità si amplia.
Quindi in sintesi la prima funzione del collage è comunicativa -> il collage vuole comunicare qualcosa che è
dato dall’intenzionalità collettiva, anche se in realtà poi il significato del collage è opaco, quindi sottoposto a
interpretazione. La seconda funziona è quella di creare un clima giocoso (funzione socializzante). La terza
funzione è organizzativa: quando si fa un collage e si deve realizzare una cosa sola, si devono prendere delle
decisioni nel gruppo -> questo processo decisionale ha configurazioni diverse a seconda del gruppo.
Osservando il gruppo si può capire prima di tutto come le persone lavorano insieme. Quando le persone
svolgono il collage in modo forzato, in un clima rigido, il risultato non è unitario, ma è un insieme di
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Pedagogia interculturale e della cooperazione immagini attaccate a caso. In alcuni gruppi chi decide è una sola persona, poi ci può essere la persona che
polemizza sempre ecc… Far fare un collage in un gruppo serve quindi anche per capire le dinamiche del
gruppo.
Come si conduce il collage? Prima di tutto serve un tempo sufficiente in rapporto al numero di persone (ci
vuole tanto tempo sia per realizzare il collage sia per discuterlo; più sono le persone più serve tempo),
solitamente serve un’ora per realizzare il collage e un’ora e mezza per discuterlo (per circa 10 persone). Poi
si deve avere molta chiara la domanda da cui parte il collage (ad esempio: cosa è per te il bambino? Quali
emozioni suscita in te l’infanzia? -> in quest’ultimo caso però si vanno a toccare argomenti molto intimi) ->
la consegna deve essere pertinente al contesto (il riferimento alle emozioni è pertinente solo in ambito
clinico). Nella consegna si può anche dire “date un titolo al collage” -> è importante perché così dà la
possibilità di confrontarsi, e fa selezionare una pista per l’interpretazione del collage. Il titolo fu c’è anche da
magnete, che dà coerenza a tutto il resto. La discussione è la parte più complessa da condurre e si può
condurre in tanti modi diversi. Può succedere che un gruppo per volta si faccia avanti e descriva il
significato del suo collage -> il rischio però è quello di annoiarsi: i primi collage vengono ascoltati con
interesse, poi però l’attenzione decresce. Il vantaggio d’altra parte è che ogni gruppo può esprimere la sua
idea. L’altra modalità è quella di appendere il collage in modo che ognuno possa osservarli e poi far partire
da lì la discussione. La discussione comunque deve essere condotta in modo molto chiaro, per fare in modo
che ciascun partecipante possa ricavare qualcosa dall’esperienza -> con la discussione tutte le idee che sono
emerse vengono messe in ordine.
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Pedagogia interculturale e della cooperazione 4. Apprendimento
Qualsiasi abilità, pratica, competenza là si apprende così: osservando qualcuno più esperto di noi, provando
a fare insieme a chi è più esperto, provando a fare sotto la supervisione di chi è più esperto, provando a fare
in gruppo. In tutto questo processo si ha un ruolo molto attivo, non solo perché attivamente si deve mettere
insieme una sequenza di azioni, ma perché si ha l’interesse e la curiosità di apprendere -> L’osservazione
non avviene se non è mossa da curiosità, voglia di imparare, interesse di conoscere qualcosa. Questo dice
che nel processo di apprendimento culturale (qualsiasi apprendimento è culturale, dal momento che si
apprendono pratiche abilità ecc culturali) ci sono sempre 2 individui, uno esperto e l’altro novizio, che
interagiscono -> l’apprendimento quindi non può prescindere da una qualsiasi interazione, caratterizzata da
reciprocità, nel senso che entrambi i membri dell’interazione sono attivi (l’esperto mette in atto le sue
conoscenze, competenze, abilità / il novizio è curioso, interessato, motivato ad apprendere).
Non c’è apprendimento se non c’è reciprocità. Lo studioso che ha introdotto questo concetto
dell’apprendimento tramite interazione e reciprocità è Vygotskij -> sottolinea che l’apprendimento del
bambino avviene nell’interazione con un adulto che stabilisce la zona di sviluppo prossimale, cioè lo spazio
compreso tra il traguardo che l’adulto si aspetta che il novizio raggiunge e il traguardo che il bambino
raggiungerebbe da solo senza adulto -> il bambino segue il traguardo che via via si alza. Al di fuori di
questa dinamica interattiva è difficile parlare di apprendimento, ma piuttosto si parla di maturazione,
riguardante il cervello.
Lo sviluppo del bambino quindi non può prescindere da un contesto interattivo relazionale. La reciprocità fa
riferimento anche al fatto che adulto e bambino sono sincronizzati (i comportamenti dell’adulto dipendono
al comportamento del bambino e viceversa) -> ciò vuol dire che ogni apprendimento è peculiare e
contestuale e non vi sono regole di apprendimento generali che vanno bene per tutti. Socializzazione e
partecipazione guidata sono fenomeni che si riferiscono alla stessa cosa, solo che socializzazione è più usato
in psicologia, mentre partecipazione guidata in antropologia -> comunque entrambi si riferiscono
all’apprendimento culturale. Esso avviene prima di tutto per osservazione da parte del novizio (anche se è
necessario che anche l’esperto osservi il novizio per adeguare il suo insegnamento). Questa è una
socializzazione indiretta, perché l’adulto può anche non essere consapevole di essere guardato, oppure può
esserne consapevole, ma non sa quali sono i processi mentali del bambino. Comunque l’adulto all’inizio non
ha l’intenzione di insegnare ma semplicemente segue delle azioni.
Osservando i genitori non si apprendono solo le pratiche, ma anche a comunicare, a esprimere le emozioni
in un certo modo -> noi osservando gli adulti, in particolare i genitori, abbiamo appreso le nostre capacità
psicologiche. Il bambino non fa quello che il genitore dice, ma piuttosto ciò che il vede fare dal genitore.
Tutto questo processo avviene non solo tra genitore e bambino, ma anche all’interno di un gruppo.
L’osservazione di ciò che fa l’adulto è il modelling. Poi l’apprendimento culturale avviene attraverso
contingiency -> sia modelling che contingiency sono etichette assegnate da Saarni. Il contingiency è un
comportamento contingente dell’adulto con il bambino (esempio: cucinare insieme, ma anche agire sulle
emozioni del bambino).
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Pedagogia interculturale e della cooperazione